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In diretta dal Social Forum di Dakar

Quattro varesini dall’XI Forum Sociale Mondiale, Dakar 6-11 febbraio 2011

La manifestazione di apertura del Forum Sociale Mondiale si è tenuta domenica a Dakar tra la Piazza dell’Obelisco, nel cuore della Medina, a due passi dalla Grande Moschea, e l’Università Diop, una delle più prestigiose dell’Africa nera. Ventimila i partecipanti secondo le autorità locali, ma a nostro parere quattro volte di più, in rappresentanza di oltre 130 paesi e di qualche migliaio di associazioni accreditate. Le sole preiscrizioni paganti al Forum erano attorno alle 50.000 unità. Soverchiante la presenza africana: in testa i senegalesi, come ovvio, seguiti da una folta e vivacissima rappresentanza marocchina. Netta la prevalenza delle donne di ogni età, e di giovani: riflesso non tanto dell’assetto demografico del Maghreb e dell’Africa nera, quanto del risveglio panarabo e panafricano in corso, che potrebbe contagiare per primo proprio il paese che ospita il Forum, il vivace, politicamente strutturato e culturalmente più moderno Senegal urbano, e di qui generare un effetto domino sul resto del continente, a partire dai paesi più sofferenti sul piano politico, come Nigeria e Camerun. Il titolo della nota e la foto evocano un possibile parallelismo tra le donne africane di oggi e gli operai torinesi del luglio ’60, che inaugurarono una formidabile stagione di emancipazione del lavoro. A significarne l’apertura al futuro, il corteo era guidato simbolicamente da un centinaio di bambini di una scuola elementare privata di Dakar, ciascuno con un palloncino colorato, accompagnati da una dozzina di suore giovanissime che sembravano suggerire “Un’altra chiesa è possibile”. Dagli altri continenti, folta la presenza dei brasiliani e dei venezuelani seguaci del controverso presidente populista Chavez. Molte le organizzazioni di cooperazione, tra cui le internazionali Oxfam e Caritas in primis, e l’italiana Mani Tese. Tra le associazioni italiane, oltre a Arci e Uisp, significativa soprattutto la delegazione della CGIL, con una forte presenza di lavoratori migranti da ogni continente. Dall’Asia di qualche consistenza la sola presenza indiana. Al termine, il comizio conclusivo è stato aperto dal presidente boliviano Morales.

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Sulla Manifestazione del 5 a Cremona

Il giorno 2 febbraio si costituirà il Comitato Nazionale per il SÌ al referendum antinucleare: la trasformazione in questa direzione sia del comitato “SÌ alle rinnovabili NO nucleare” sia di “Energia Felice” è scontata. Le caratteristiche di pluralismo e di unitarietà che ci siamo dati, oltre alla caratterizzazione di raccordo tra associazioni, movimenti, forze sindacali e politiche, saranno preservate, anche sulla base dell’esperienza positiva svolta finora.

Proprio per evitare dispersioni di forze e per favorire una convergenza rapida verso un linguaggio comune, oltre ad un’organizzazione sinergica, abbiamo chiarito che, sulla scorta dell’esperienza dell’acqua, la convocazione di un Forum dei movimenti di base previsto a Cremona per il 5 febbraio non dovesse in alcun modo porsi come eccentrico all’avvio dell’unico Comitato nazionale. A tal fine, dopo una rapida consultazione, abbiamo inviato una nota agli organizzatori del Forum (nella fattispecie Lino Balza in rappresentanza di tutti) che qui riportiamo:

Caro Lino, non ti abbiamo risposto – Navarra ed io – per differenti ragioni. Navarra è ricoverato a Palermo per un malore serio che gli impedisce di tenere le relazioni abituali, ma abbiamo avuto modo di sentirci. Io ho sentito il bisogno di una rapida consultazione estesa anche ai territori. Così ho preferito mantenere il coordinamento lombardo EnergiaFelice – con il suo straordinario lavoro di consolidamento territoriale e plurale – all’interno della dimensione unitaria e nazionale che ha svolto finora a partire dalla nostra regione. Ho quindi dato priorità alla riflessione nazionale del 22 scorso a Roma nel comitato No nucleare Si rinnovabili ed ho deciso di attenermi alle indicazioni che ne sono uscite. Lì sono state prese decisioni (v. allegato) che prefigurano un unico comitato nazionale (che si intreccerà con modalità da concordare con quello dell’IDV che ha promosso il referendum in Cassazione) su cui tutte le iniziative autonome e dal basso possono confluire rafforzando il proposito del NO al nucleare, ma evitando di disperderci in diversi comitati. Comitati che rischierebbero alla fine di entrare in competizione o di ricercare primazie, magari non dichiarate, ma nei fatti sottintese.

Anch’io penso che il movimento antinucleare nazionale stia arrivando all’appuntamento referendario con un grave ritardo organizzativo. Ritengo perciò che vadano intraprese tutte le azioni per cercare di ridurre questo handicap al fine di riuscire ad esprimere una forte azione unitaria e coordinata il più presto possibile. In questa prospettiva l’appuntamento di Cremona è sicuramente utile, purché risponda non solo all’urgenza, ma anche a modalità organizzative e ad un approccio contenutistico irrinunciabili per far crescere una pratica unitaria fatta di discussione, contributi, articolazioni, che ci posizionino anche per l’energia al livello di consapevolezza cui è arrivato il Forum per l’acqua. Per la scadenza del 5 a Cremona la mia posizione è ovviamente di sostegno, purché il Forum risulti finalizzato al dibattito, alla conoscenza e al collegamento tra realtà di base e faccia da stimolo alla mobilitazione il più ricca possibile. Quello che non condividerei è la costituzione di un comitato diverso da quello nazionale, che è stato prefigurato per convergenza di tutte le associazioni che si sono mobilitate per la raccolta di firme o che condividono l’esclusione del nucleare dal nuovo paradigma energetico. Ad esso il Forum può decidere in autonomia di contribuire e partecipare nelle forme che concorderà. In definitiva, per amplificare al massimo la voce del SI e non disperdere le energie in mille rivoli occorre, a mio parere, che l’appuntamento di Cremona condivida un atteggiamento unificante e punti dichiaratamente e in tempi rapidi alla costituzione di unico organismo di coordinamento nazionale. In questo caso, anche se io non potrò parteciparvi direttamente perché il 5 sarò a Dakar per il Forum Sociale Mondiale, un nostro rappresentante interverrà volentieri a portare il contributo del comitato Energiafelice .

Un abbraccio. Mario

Così l’iniziativa del 5 a Cremona può essere l’occasione di una prima sferzata in direzione della mobilitazione per il referendum. La partecipazione diventerà anche la conferma di un buon lavoro svolto fin qui solo se lo spirito che è riportato sopra sarà confermato e se i tentativi di “mettere il cappello” saranno scartati dalla maturità di tutti i comportamenti e scoraggiati dalla volontà vincente di costruire un fronte rigoroso, netto, ma unitario, che aggreghi e mobiliti masse e non nicchie nella battaglia su “acqua e energia”.

Dopo la settimana il 5 febbraio, Energia Felice convocherà una propria assemblea larga per definire, con altrettanta partecipazione di quanta è cresciuta nel periodo di raccolta firme, la “road map” di preparazione della campagna referendaria. Vi proponiamo la terza settimana di febbraio, quando un quadro nazionale – compresi i rapporti tra il comitato IDV che si è presentato in Cassazione e il comitato delle associazioni e dei movimenti in cui confluiremo nazionalmente – si sarà meglio precisato. Il sito www.energiafelice.it e questa mailing list continueranno ad aggiornarvi in tempo reale.

Dal 6 al 12 febbraio si svolgerà il Forum Sociale Mondiale di Dakar (Senegal) al quale alcuni di noi partecipano e da cui avremo ulteriori stimoli nella nostra battaglia contro il nucleare e per i beni comuni.

Un abbraccio

Mario Agostinelli e Alfonso Navarra (a riposo a Palermo per una rapida ripresa)

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L’anno nucleare prima del referendum

Da Il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2011

L’anno che si è appena chiuso si era aperto con l’annuncio della nomina dei vertici dell’Agenzia per il nucleare (“entro il mese di gennaio”, v. Staffetta Quotidiana 5 gennaio 2010). Sarebbero poi seguite le delibere CIPE riguardanti le tecnologie da adottare e la formazione dei consorzi per la costruzione dei reattori; delibere che avrebbero permesso di affrontare il tema delle localizzazioni, sulle quali sarebbe seguito “un ampio confronto con le regioni e i territori”. Un anno dopo, i passi avanti risultano pochi, anche se nel mese di dicembre il governo ha tentato di recuperare terreno.

È utile ricordare che la Legge n.99 del 2009 e il decreto legislativo 31/2010 prevedono l’adozione di ben 34 provvedimenti per definire tutte le norme tecniche ed amministrative relative alla regolamentazione della pianificazione, progettazione, autorizzazione ed esercizio degli impianti elettronucleari in Italia. Entro il 23 giugno 2010 avrebbe dovuto essere approvata la strategia nucleare. Tuttavia il 13 dicembre scorso, Sara Romano, direttore generale del Ministero per lo Sviluppo economico retto per un semestre da un Berlusconi in tutt’altre faccende affaccendato, ha ribadito per l’ennesima volta che la strategia “è a buon punto”, ma non è ancora pronta. Le delibere CIPE sulla tipologia degli impianti avrebbero dovuto essere pronte per metà febbraio 2010. Sono invece state presentate alla Conferenza Stato-Regioni il 16 dicembre, senza ricevere un parere vincolante visti i difficili rapporti tra i territori e il centro (solo 4 Regioni, tra cui la solita solerte Lombardia di Bossi-Formigoni hanno dato via libera ai reattori di III generazione).

Nel 2010 è giunto in porto solo lo statuto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, ma ancora il governo non è riuscito a completare le nomine del suo vertice. Rimane entusiasta della sua futura funzione l’incompetente Umberto Veronesi che, messone a capo, sproloquia dicendo che dormirebbe con un contenitore di scorie sul comodino e che nel 2150, esauriti tutti i fossili, rimarrà in campo solo l’inesauribile (?) uranio. Inoltre manca la mappa per il deposito delle scorie, lo schema di copertura finanziaria e assicurativa per gli operatori, e manca all’appello la campagna nazionale di comunicazione e sensibilizzazione prevista dalla legge (art.25 comma 2). Vista la latitanza delle istituzioni, le imprese si sono già mosse autonomamente e il 19 dicembre è partita la campagna del Forum Nucleare di Chicco Testa (budget di sei milioni di euro). Una campagna che vorrebbe proporsi come imparziale ma che non può esserlo visti i finanziatori, così come non poteva esserlo lo studio firmato Ambrosetti, spesso citato come riferimento super partes, ma finanziato da Enel/EDF, coppia che da due anni spende qualche decina di milioni di euro all’anno per creare consenso attorno al nucleare (ultima uscita il dvd con Cecchi Paone distribuito dal Corrierone).

In verità, il Ministero, conscio delle difficoltà, sta lavorando a una semplificazione delle procedure di autorizzazione contenute nella legge 31/2010 e ha come obiettivo quello di finalizzarle entro marzo 2011 (dopo, secondo la legge,  non sarebbe possibile). A premere in questa direzione sono le imprese che aspirano a una fetta del budget previsto per i primi 4 reattori EPR, budget stimato in almeno 30 miliardi di euro, se si pensa che il primo reattore di questo tipo, in costruzione in Finlandia, pianificato all’avvio del cantiere per un costo di 3,3 miliardi è attualmente arrivato oltre i 6. Questo reattore doveva essere costruito in 48 mesi e consegnato nel maggio-giugno 2009. L’ultimo comunicato stampa del committente, del 26 novembre 2010, dichiara che l’entrata in servizio non avverrà prima della fine del secondo semestre 2013. Se questa data sarà rispettata, i mesi costruttivi diventeranno 100, più del doppio di quanto preventivato, in linea col raddoppio dei costi. Di certo il primo EPR (ma anche il secondo, a Flamanville in Francia, non si discosta molto da questo trend), sta offrendo una performance decisamente negativa. Tutta colpa dei committenti/costruttori? Oppure l’EPR è un reattore complesso e difficile da realizzare? È un dato di fatto che gli stessi francesi parlino ora di sviluppare un nuovo reattore, più piccolo e meno complesso e il numero uno di EDF, Henri Proglio, abbia recentemente confermato che desidera avviare gli studi di sviluppo per un reattore da 1.000 MW (v. Staffetta Quotidiana 16/12/2010).

Abbiamo parlato di nucleare perché in tema di energia elettrica è l’unico fronte su cui il governo si è impegnato nel 2010. Mentre l’impegno per le fonti rinnovabili è stato semplicemente dettato non da volontà politica ma dalla necessità di ottemperare alle regole dell’Unione Europea. Solo per questo in giugno è stato redatto un piano nazionale per le fonti rinnovabili, che pone l’obiettivo di produrre 99TWh di energia elettrica da FER entro il 2020 (nel 2009 eravamo a quota 69). Ma nonostante le mille difficoltà legislative inventate da questo governo, le fonti rinnovabili hanno ormai raggiunto una maturità e uno sviluppo significativi. Solo un dato: il 20,8% del consumo interno lordo di elettricità è stato coperto da energie rinnovabili nel 2009. Dato che verrà confermato nel 2010, durante il quale lo sviluppo dell’eolico è stato rallentato da mille problemi ma arriverà comunque a una potenza installata di quasi 6.000 MW, mentre il solare fotovoltaico supererà la già rilevante previsione dei 2.500 MW. Uno studio di Isuppli stima che nel solo ultimo trimestre 2010 nel nostro paese siano stati installati quasi 1.000 MW (per avere un riferimento a inizio anno il totale installato era di 1.142 MW). E sempre secondo questa analisi nel 2011 il trend non cambierà e le nuove installazioni saranno pari a 3.900 MW.

Allora: cosa succederà nel 2011? Moltissimi gli impegni, dalla redazione del piano nazionale per l’efficienza energetica (vero antidoto alla costruzione di qualsiasi centrale), al decreto legislativo per le fonti rinnovabili, già approvato dal Consiglio dei Ministri. Decreto che peraltro ha davanti a sé una lunga strada di modifiche prima di arrivare all’approvazione definitiva e che dovrebbe delineare modi e strumenti perché il nostro Paese arrivi a raggiungere gli obiettivi europei fissati per il 2020.

I prossimi mesi saranno certamente caratterizzati dal pressing di Enel-Edf per rendere irreversibile la scelta governativa di tornare al nucleare, poiché in loro è forte la consapevolezza che “se perdiamo il treno, questa volta non ripasserà”. Adesso però c’è di mezzo una consultazione popolare prevista entro l’estate, con tutta la necessità di fornire informazione adeguata e imparziale ai cittadini. Questo blog, che prende ispirazione da un modello energetico imperniato su fonti naturali distribuite e da comportamenti sobri e stili di vita compatibili con la tutela della biosfera e più giustizia sociale, si propone di ragionarne con una certa continuità e con rigore, aprendosi a tutte le voci disponibili. Riusciremo a fermare consapevolmente il treno?

Mario Agostinelli

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Energie rinnovabili (da La Repubblica)

Rinnovabile significa lavoro ma in Italia ancora troppi ‘no’

Articolo di Antonio Cianciullo (La Repubblica.it, 24 gennaio 2011)

Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil, lancia l’Associazione Bruno Trentin. E affronta le questioni che legano occupazione e green economy, il nucleare che rischia di rallentare la corsa del Paese, e l’opportunità rappresentata dalle nuove fonti di energia. “Ma l’Italia è dominata da una logica che blocca l’innovazione e il futuro”

I POSTI di lavoro assicurati dalla green economy? Tra qualche anno in Germania supereranno quelli nel settore automobilistico. Il ritorno al nucleare? Una sottrazione di fondi e di attenzione che rischia di rallentare la corsa dell’Italia che può riagganciare il locomotore dei paesi guida. Parola di Guglielmo Epifani. L’ex segretario della Cgil ha scelto un tema caldo e una platea qualificata per lanciare l’Associazione Bruno Trentin, il nuovo laboratorio di riflessione sindacale.

Il tema è il rapporto tra energia e lavoro. A intervenire sono stati, tra gli altri, il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, il segretario dell’Ueapme (l’associazione europea delle piccole e medie imprese) Andrea Benassi, il presidente della Lega Coop Giuliano Poletti, il segretario della Cgil Susanna Camusso. Guest star: Jeremy Rifkin, il teorico della terza rivoluzione industriale che ha dipinto lo scenario di una democrazia rafforzata dalla creazione di una rete energetica diffusa che toglie potere agli oligopoli, distribuisce ricchezza, offre garanzie contro i blackout e protegge l’ambiente.

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Uranio: ancora per quanto?

Da Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2011

Lo svolgimento del referendum sulle centrali nucleari è l’occasione per riconsegnare sovranità ai cittadini su una politica energetica nazionale requisita dalle lobbies e preclusa agli orizzonti della sostenibilità e della democrazia. Una consultazione popolare evoca partecipazione, impossibile se non c’è rigore nell’informazione, se non si dà spazio al pluralismo di opinioni e se le opzioni contrapposte non sono chiaramente leggibili. Questo richiede di capire che le scelte in discussione, comprese le alternative, devono reggere ad un esame di ragionevolezza e quindi che il gioco vale la candela. Nel caso dell’energia nucleare, l’esaurimento assai prossimo e inevitabile dell’uranio decreta di per sé l’insensatezza di approntare ex novo una filiera di reattori nel nostro Paese.

Di fronte alla presa di coscienza dell’imminenza del picco del petrolio, la prima reazione emotiva è “allora useremo l’uranio”. In effetti, l’energia nucleare è spesso presentata come il toccasana che risolverebbe tutti i malanni e che ci permetterebbe di superare senza danni la crisi energetica ormai in corso da qualche anno. Tuttavia, i fautori dell’energia nucleare glissano sulla questione della disponibilità di uranio, il quale è una risorsa minerale limitata, così come lo è il petrolio. Quanto uranio abbiamo, realmente? È possibile che siamo vicini al “picco dell’uranio”, allo stesso modo in cui ci stiamo avvicinando al picco del petrolio?

In effetti, si tratta di fonti e di forme di conversione di energia molto diverse: mentre petrolio, gas e carbone hanno a che vedere con la combustione istantanea di forme di vita alimentate dal sole migliaia di secoli fa e accumulate nelle viscere della terra, per l’uranio si tratta di trasformazione per via artificiale e controllata di massa in energia. L’uranio è un “combustibile” che non brucia e che si è formato indipendentemente dall’esistenza di forme vitali e in tempi ben più remoti, relativamente più vicini alla grande esplosione iniziale, il big bang. Per capirne l’origine, le miriadi di stelle che vediamo sono il motore della costruzione incessante, nel processo di fusione nucleare, di atomi sempre più complessi a partire dal più leggero idrogeno, fino a quelli stabili come il ferro e a quelli assai più instabili con numero di massa alto, come l’uranio 235. Un elemento non rinnovabile che, proprio per la lunga sequenza di fusioni nucleari da cui proviene, è abbastanza diffuso, ma relativamente scarso e perciò drammaticamente esauribile sul nostro pianeta.

Come dirò di seguito, tutti i fattori che agiscono sul picco del petrolio, compresi quelli di natura economica, determinano il rapido esaurimento anche del “combustibile” dei reattori. È solo l’idea di superpotenza e di enorme densità energetica dei processi atomici che avvengono nel nocciolo del reattore o nel cuore di una bomba che fa pensare a tempi illimitati di durata. Ma se parliamo del minerale di uranio – ossia la roccia estratta dalla miniera che va successivamente purificata e trattata per essere utilizzata nel reattore – dobbiamo pensare ad una densità energetica dello stesso ordine di grandezza dei combustibili fossili di cui si profila il picco nei prossimi anni. Cioè, quantità equivalenti in peso (ad esempio tonnellate di roccia contenente uranio e tonnellate di carbone) producono effetti energetici analoghi e si consumano in tempi confrontabili. Anzi, essendo più scarso, il minerale di uranio che è in gioco da poco più di 50 anni avrà alla fine una durata complessiva sulla scena inferiore a quella del carbone o del petrolio, che sono in uso da qualche secolo in più.

Di conseguenza, le riserve di minerale convenienti e utili e la loro durata sono tutt’altro che illimitate e sono determinate dal costo del combustibile sul mercato (che non deve essere superiore a 130 $/Kg per competere con il costo dei fossili), dalla percentuale di uranio presente nelle rocce, dalla potenza totale dei reattori funzionanti, dal ciclo di arricchimento (7 Kg di uranio purificato danno luogo solo ad 1 Kg di uranio arricchito). Tenendo conto di tutti questi fattori e per essere utilizzato economicamente nella fabbricazione del combustibile da destinare alle centrali nucleari, il minerale deve possedere delle concentrazioni di ossidi di uranio che non possono scendere al di sotto della soglia dello 0,01%. Tenendo presente che il consumo annuale di uranio arricchito nel mondo è oggi di 11.521 tonnellate (circa 70.000 t. di uranio “purificato”) e che si stima che sia possibile estrarre a meno di 130 $/kg al massimo 5,5 milioni di tonnellate di uranio “purificato”, di cui 3,3 milioni sono rappresentate da quelle ragionevolmente sicure, si va da una disponibilità di 46 anni ad un massimo di 78 anni. Questi calcoli ipotizzano che il consumo rimanga costante, ovvero che non entri in funzione nessuna nuova centrale se non per sostituire impianti chiusi.

Un’ultima osservazione: sembrerebbe che anche l’uranio abbia già passato il proprio picco di estrazione, dato che già oggi vengono in soccorso le scorte militari (provenienti dallo smantellamento delle testate atomiche), che oggi costituiscono il 33% della produzione per soddisfare la domanda di reattori esistenti. Comunque, nemmeno l’impiego di tutto l’uranio contenuto nelle armi nucleari disponibili sposterebbe di molto la fine del minerale. Si può fare un rapido calcolo. Il totale delle bombe atomiche costruite da Russia e Stati Uniti insieme ha raggiunto qualcosa come 70.000 unità negli anni ’80. La maggior parte di queste bombe sono però già state demolite. Ci sono volute 15.000 bombe atomiche Russe per generare 375 tonnellate di uranio ad alto arricchimento. Questo uranio è stato poi trasformato in uranio a basso arricchimento (utile per le centrali) per un totale di circa 11.000 tonnellate.

Dai dati riportati, sembra di poter dedurre che questa quantità è equivalente a circa 80-100 mila tonnellate di uranio minerale “purificato”. Non è una quantità enorme. Oggi rimangono circa 6000 testate nucleari negli Stati Uniti, mentre pare che la Russia, secondo l’ultimo trattato Salt, ne abbia poco meno di 1500, il che significa che si potranno smantellare circa 7000 testate. Fatti i dovuti conti, queste testate corrispondono a più o meno 50.000 tonnellate di uranio minerale. Se il gap tra l’estrazione corrente e il consumo è oggi intorno alle 20.000 tonnellate, entro meno di dieci anni, l’uranio proveniente dalle bombe nucleari si esaurirà. Da quel momento per l’uranio per le centrali nucleari dovremo dipendere unicamente dalle risorse minerarie.

In definitiva, i calcoli più accurati e più ottimistici dicono che, arsenali militari compresi, avremo a disposizione uranio ancora per un minimo di 55 e un massimo di 85 anni, sempre che il parco reattori non aumenti (e il prezzo non scoraggi l’estrazione). Tenuto conto che le prime nostre centrali non entrerebbero in produzione prima di un decennio, non riesco a capire quale sia la convenienza di un “ritorno lampo” dell’atomo, come invece vorrebbe darci a intendere lo scacchista dello spot del Forum Nucleare Italiano in onda su tutti i media in queste settimane. Credo che in base a queste considerazioni fatte, allo scacchista non resti che abbandonare sconfitto la partita.

Mario Agostinelli

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