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Petrolio, gas e fracking disegnano il futuro nero dell’Italia – due video di Mario Agostinelli

Mercoledì, in coincidenza con la Giornata Mondiale dell’Ambiente, il Consiglio Regionale della  si è riunito per  verificare la fattibilità di trivellazioni esplorative finalizzate all’implementazione di un progetto di estrazione di metano nel comune di Arborea (Oristano).

Le trivellazione ad Arborea rappresenterebbero solo la fase iniziale del più ampio “Progetto Eleonora”, permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi rilasciato il 18 dicembre 2009 dalla regione Sardegna alla società Saras s.p.a., di proprietà della famiglia Moratti. L’area di ricerca si estende per 44.300 ettari all’interno della provincia di Oristano. Il Progetto Eleonora se implementato, porterebbe a nuove trivellazioni in un territorio ricco di biodiversità, rappresentando quindi un’ipoteca sull’economia e sull’ambiente di uno dei paradisi terrestri presenti in Sardegna.

Il comitato civico “No al Progetto Eleonora” che si oppone alle nuove attività estrattive, denuncia tra l’altro il rischio di implementazione dei progetti di sfruttamento attraverso nuove pratiche estrattive particolarmente distruttive, tra cui il (http://noprogettoeleonora.wordpress.com).

Su questo ultimo argomento, pubblichiamo l’intervista di A Sud a Mario Agostinelli, presidente di  Felice. Agostinelli ci illustra le criticità presentate dalla tecnica estrattiva del fracking, che consiste nel frantumare la roccia usando fluidi saturi di sostanze chimiche ed iniettati nel sottosuolo ad altissima pressione per recuperare il gas intrappolato nelle porosità delle rocce. Vi sono molti rischi impliciti nell’utilizzo di questa tecnica, nello specifico la fratturazione della crosta terrestre a profondità superiori ai 1000 metri può potenzialmente innescare pericolosi effetti sismici, inoltre i materiali fossili riportati in superficie risultano avere un contenuto di radioattività superiore a quello dei combustibili fossili estratti secondo i “metodi convenzionali”. Mentre in Europa il tema e le problematiche collegate al fracking sono emerse già da tempo, in Italia il dibattito sull’estrazione di shale gas e di shale oil è ancora nelle sue fasi iniziali.

 

A Sud intervista Mario Agostinelli: “Il Fracking: un rischio ulteriore per territori e comunità”

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=o1KOsAfc0jA

Pubblichiamo inoltre la seconda parte dell’intervista ad Agostinelli, nella quale viene delineata e analizzata brevemente la Strategia Energetica Nazionale (SEN).

A Sud intervista Mario Agostinelli: ”Cosa c’è dietro la SEN – Strategia Energetica Nazionale

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=k9A3KBejDiQ

Alla strategia istituzionale di trasformare il nostro Paese nell’hub europeo della distribuzione del gas, vogliamo contrapporre alternative più praticabili e meno invasive, che rispettino l’ambiente e tutelino i territori.

 

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Le risposte di ENEL (elusive) agli azionisti critici

Nel 2012 il 31% dei 295,8 TWh di energia elettrica prodotti da Enel è venuto dal carbone, con una crescita del 6,6% rispetto all’anno precedente. Più carbone soprattutto in Italia, tanto che nel mix dell’azienda è passato dal 34,1% del 2010 al 48,4% nel 2012, crescendo di oltre il 14,3%. Nel solo 2009 il carbone Enel ha emesso 888 tonnellate di PM10, 19.825 di NOx, 24.033 di SOx e 27,7 milioni di tonnellate di CO2, inquinamento che tradotto in danni economici fa 1,7 miliardi di euro, di cui 840 milioni di costi esterni per inquinamento, 932 per la CO2 e 3,5 milioni di danni diretti all’agricoltura. Ci sono poi i danni sanitari: gli impianti Enel, con il loro inquinamento, in quell’anno secondo gli studi commissionati da Greenpeace avrebbero provocato 366 morti premature (si veda studio). Se si considerano i piani di espansione dell’azienda, con le centrali a carbone di Porto Tolle e Rossano Calabro, in futuro si potrebbe arrivare anche a sfiorare i 500 casi di morti premature all’anno.

Eppure se un azionista del gigante energetico – che tra l’altro è per il 31,24% del ministero del Tesoro, dunque anche degli italiani – solleva dubbi sulle politiche dell’azienda su questa fonte sporca, Enel ribatte in maniera evasiva, limitandosi a ricordare che i suoi investimenti sono perfettamente legali.

Basta leggere quello che l’ex monopolista ha risposto ai numerosi quesiti che gli azionisti critici, rappresentati da Banca Etica, hanno portato all’Assemblea dello scorso 30 aprile (vedi qui e allegato in basso). Domande che chiedono conto, oltre che di investimenti controversi all’estero (come quelli nel nucleare nei paesi baltici o in grandi progetti idroelettrici in Sudamerica), anche di tutte le problematiche correlate agli investimenti in nuovi impianti a carbone o riconversioni in Italia. Interrogativi molto puntuali, cui Enel risponde in maniera piuttosto generica.

Per fare solo un esempio, sull’impianto di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia si chiede nell’ordine:

  • Qual è stato, in media, il ritorno netto di ciascun MW di elettricità prodotto da carbone nel 2012?
  • Considerato il fatto che l’impianto si trova al confine con un’area urbana, quali precauzioni si sono prese al fine di evitare, in caso di eventi accidentali, il rischio di un effetto domino?
  • Dove sono state smaltite le ceneri radioattive e quanto è alto il costo dello smaltimento?
  • Qual è l’ammontare dell’indennizzo per ciascun comune e per istituzioni e associazioni, pubbliche o private?
  • Quali sono le spese legali e processuali che la Società stima in relazione ai processi su Torrevaldaliga e quanti e quali dirigenti e impiegati, in essere o cessati, sono coinvolti nei procedimenti e per quale ragione?
  • Qual è il costo per tonnellata del tipo di carbone usato oggi?
  • Quale sarebbe il costo nel caso in cui il carbone avesse un contenuto di zolfo < 0,3%?
  • A che punto è e quanto costerà il processo per la realizzazione del “Parco dei Serbatoi”? L’area del vecchio sito è stata oggetto di una procedura di recupero in conformità alla normativa ambientale applicabile?

Risposta di Enel: “L’impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord risponde pienamente alle prescrizioni di legge e ha ricevuto l’AIA con l’autorizzazione a restare in funzione per i prossimi 8 anni. I rapporti con il Comune sono regolati da un’apposita convenzione del 2008, che regola anche l’entità del contributo da erogare al Comune stesso per la presenza dell’impianto sul territorio”. Tutto qui. Di analogo tenore le risposte alle dettagliate domande sugli altri impianti: Rossano, Porto Tolle, la Spezia. Liquidate in maniera simile anche le obiezioni degli azionisti sul perché negli impianti geotermici del Monte Amiata Enel non stia utilizzando la tecnologia con il minor impatto ambientale disponibile, quella a ciclo binario (si veda sempre allegato in basso).

“Enel non ha mancato, in questa circostanza come in altre, di dimostrarsi un’azienda reticente – commenta amaro a QualEnergia.it Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – la solfa è sempre la stessa: i nostri impianti operano entro i limiti di legge e in base alle autorizzazioni concesse. Se anche non vi fossero indagini in corso riguardo molte delle attività produttive di Enel – da Brindisi a Genova, da Porto Tolle a Civitavecchia – e seppure non vi fossero sentenze di condanna a carico dell’azienda e dei suoi vertici passate in giudicato, questo tipo di risposte vuol dire poco o nulla. Greenpeace non contesta a Enel di operare fuori dalla legge: le contesta di causare danni sanitari ed economici enormi, col carbone, in Italia e in Europa; e di contribuire consistentemente alla distruzione del clima. Per questo chiediamo a Enel di cambiare strada, di puntare sull’innovazione, sulle fonti rinnovabili e sulla promozione dell’efficienza. Quando l’azienda non risponde con questo vuoto mantra aziendale – ‘tutto è a norma, tutto è a norma!’ – risponde attraverso le carte dei suoi avvocati. Ormai gli appuntamenti che Greenpeace ha con i legali di Enel, in molti tribunali italiani, non si contano. Per noi le carte bollate non sono un problema: già abbiamo battuto Enel sul piano legale, crediamo di poterlo fare ancora. Il punto è se un’azienda controllata dallo Stato, di fronte ad accuse gravi quali quelle che noi e altri le muovono, sia autorizzata a procedere così: senza mai rispondere davvero e – semmai – querelando, denunciando, promuovendo ricorsi e avanzando enormi richieste di risarcimento. A noi sembra un segno di gravissima irresponsabilità”.

Le risposte di Enel agli azionisti critici (pdf)

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Il gas fracking arriva anche in Italia?

Alberto Zoratti su comune.info.net

 

Sherry Vargson abita a Granville, in Pennsylvania, ed ha un problema: dal suo rubinetto di casa esce acqua addizionata a gas. Ma è metano, non anidride carbonica. Quindi può dire addio alle bibite gassate formato famiglia ed è meglio che faccia attenzione a non avvicinare un fiammifero al flusso d’acqua, se non si vuole fare flambé anche il lavello nuovo di pacca. Non stiamo parlando di una storiella buffa diffusa da qualche ambientalista buontempone, ma di un caso che ha meritato persino le pagine delWall Street Journal (foto) nel settembre 2011. Sono le conseguenze dell’attività di gas fracking per l’estrazione del gas di scisto, che avrà anche reso indipendente energeticamente gli States, ma il cui prezzo ambientale deve ancora essere considerato.

E’ una modalità estrattiva estremamente impattante, al punto che diversi Paesi nel mondo tra cui la Francia e, ultimamente, la città di Cinco Saltos, nella Patagonia Argentina, l’hanno messa fuori legge.

E in Italia? Ad oggi non esiste una normativa chiara sul bando a qualsiasi attività di gas fracking nel nostro Paese ed in Europa si è aperta una consultazione pubblica per capire gli orientamenti dei cittadini europei sull’argomento. C’è spazio fino a marzo per poter esprimere il proprio «no», ma aldilà delle consultazioni più o meno utili quello che manca è una norma chiara e non interpretabile.

L’ultimo governo Berlusconi era apertamente a favore, come il sottosegretario Saglia ha più volte ribadito. Il governo Monti è stato chiaro, ma solo sulla carta. La Strategia energetica nazionale esclude ogni attività di fracking nel nostro Paese, ma si tratta di una strategia, non di una legge, e per di più in bozza, perchè ancora aperta alla discussione.

Nel frattempo, in vacatio legis, qualcuno si muove o si è già mosso, anche sulla stampa. Tra i primi che provarono a lanciare il sasso fu Massimo Mucchetti dalle pagine del Corriere della Sera più di due anni fa dove, tra la Russia di Putin e l’Eni di Scaroni, provava ad insinuare il gas di scisto a buon mercato.

Un’opportunità già entrata nelle strategie di sviluppo di alcune aziende energetiche italiane. Come la Sorgenia, presentata nelle sua campagne di marketing come «sostenibile» e «pro-rinnovabili», che già prova a sfruttare la nuova rivoluzione del fracking con la sua partecipazione del 26,8% della polacca Saponis Investment che da quasi due anni sta perforando la Polonia, nonostante le dubbi di comunità locali e ambientalisti. Preoccupazioni a cui la società di De Benedetti non dà importanza, come ha confermato l’Amministratore delegato Massimo Orlandi in un’intervista al 24 Ore del giugno 2011 dal titolo che è tutto un programma («L’Italia punti sullo shale gas»).

Ma oltre a ciò? Al ministero per lo Sviluppo economico esiste un permesso di ricerca per la zona di Fiume Bruna, nel grossetano, concesso alla srl Indipendent Energy Solutions, posseduta al 100 per cento dalla britannica Independent Resources, con scadenza 8 agosto 2014. Una concessione rilasciata al costo di un canone annuo di 5,16 euro chilometro quadrato per un estensione di 246,7 kmq, cioè poco meno di 1274 euro all’anno. Per un progetto dalle dimensioni ben più grandi e cospicue, se sono confermate le dichiarazioni del 4 settembre al Sole 24 Ore di Grayson Nash, numero uno della Independent Resources, che parlava di un investimento iniziale di 5 milioni di euro, che salirà a 10 milioni se verrà completata la fase di progettazione e di ricerca. «In caso di piena operatività – ha detto Nash – genereremmo 200 milioni di euro». Una concessione che ha il sapore della beffa, in un momento di spending review. Ma il progetto andrà in porto? «Sono scettico», ha concluso Nash, e la perplessità nasce dalle lentezze della burocrazia e dall’opposizione delle comunità locali che, però, senza una normativa chiara rischiano di trovarsi invischiati in una mobilitazione crescente.

La stessa che si rischia di trovare nel bresciano. Uno scoop di Brescia Oggi del 13 dicembre poi ripreso dal periodico QualEnergia rendeva pubblica una richiesta di autorizzazione al ministero da parte della Exploenergy di San Donato Milanese per presunta estrazione di Shale gas dai 289 kmq compresi tra Brescia, Orzinuovi e Bagnolo. La data di presentazione è il 14 marzo 2012.

Il sindaco di Lograto Alberto Mezzana rispondendo alle domande di Elia Zupelli, giornalista di Brescia Oggi, non fuga alcun dubbio: «Istanza? Progetto? Shale gas? È la prima cosa che sento. Ai piani alti di Lograto posso garantire che non si è mai fatto vivo nessuno – ha chiarito il primo cittadino – Da parte mia posso solo dire che avrò l’assoluta premura di verificare al più presto i dettagli».

Sulla Strategia energetica nazionale si dichiara la non intenzione di procedere sullo Shale gas. Ma i progetti di Fiume Bruna e di Lograto rischiano di presentarci una realtà diversa. Sulla quale il ministero, lo stesso che spinge per un futuro all’insegna del gas e delle trivellazioni, avrebbe il dovere di fare chiarezza.

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