Desertec in crisi: le due vie alle rinnovabili

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 10 giugno 2013

Per la prima volta nella storia umana siamo vicini alla soglia delle 400 ppm di CO2un livello critico per il riscaldamento globale. Con una rapida svolta verso le energie rinnovabili e pulite, supportata da forti misure per l’efficienza energetica, saremmo in grado di ridurre drasticamente le emissioni e la concentrazione di CO2.

Gli approcci in questa direzione, soprattutto per il fabbisogno elettrico, sono essenzialmente di due tipi. Da una parte, un mutamento radicale della struttura della fornitura e del consumo energetico, dovuto a un’ampia diffusione di apparati decentrati e di piccola-media taglia integrati nel territorio (pannelli sugli edifici, reti intelligenti, sistemi di accumulo e di risparmio etc). Dall’altra, un’enorme concentrazione della produzione in luoghi particolarmente favorevoli alla trasformazione delle fonti naturali con impianti ancora più mastodontici delle attuali centrali (campi fotovoltaici nei desertidighe che formano grandi bacini, campi eolici offshore etc.) e linee di trasporto che, dopo aver attraversato mari e continenti, si riallacciano ai sistemi ereditati e governati dalle grandi corporation elettriche oggi sul campo.

E’ evidente a chiunque come i due scenari comportino soluzioni economiche, sociali, ambientali e democratiche tra loro profondamente diverse, pur marciando nella medesima direzione di ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Ma, mentre la diffusione di rinnovabili per sostituzione dei fossili procede, pur scoraggiata dalle grandi utilities e da governi come il nostro, la notizia clamorosa riguarda la messa in discussione quasi definitiva del progetto Desertec, voluto dal consorzio delle grandi utilities del nostro continente per l’esportazione di energia solare generata dal Sahara verso l’Europa.

In una intervista telefonica, il ceo del consorzio, Paul Van Son, ha ammesso che l’Europa può fornire la maggior parte del suo fabbisogno energetico dal proprio interno, con la creazione di mercati integrati in cui cresca la produzione locale di rinnovabili. Senza, quindi, dover costruire impianti e linee di trasporto dal Maghreb. Si tratta di una svolta clamorosa, che ha a che fare non solo con le difficoltà tecnologiche e i rischi industriali, ma – diciamolo pure – con la filosofia delle grandi opere e con la constatazione che le rinnovabili sono finalizzate al consumo territoriale e aumentano la loro efficacia solo se abbinate all’efficenza del sistema e al contenimento del trasporto.

In effetti, i critici del ricorso ad opere faraoniche per risolvere la crisi avevano messo in dubbio la fattibilità di un progetto per generare 100GW entro il 2050 a un costo di 400.000.000.000 di euro. L’Europa è già alle prese con i problemi di assorbimento di energia rinnovabile prodotta in loco e ormai concorrente con quella prodotta da fossili. Il primo compito, nell’interesse dei suoi cittadini, sembrerebbe quello delle reti, degli accumuli e dell’integrazione tra i sistemi, prima che l’importazione da altri continenti.

In compenso, i Paesi del Nord Africa si stanno concentrando sulla soddisfazione delle proprie richieste nazionali di potenza – che stanno crescendo rapidamente – e sono di conseguenza riluttanti a impegnarsi per una esportazione che richieda enormi investimenti e una gestione onerosa. L’obiettivo dell’Algeria è di produrre il 40% della sua elettricità da fonti energetiche rinnovabili entro il 2030. Il Marocco intende mettere in opera 50 MW fotovoltaici e impianti eolici per 50 MW nel Regno. In definitiva, Desertec si sta trasformando in un’ottima occasione per costruire una fornitura di energia rinnovabile per il Nord Africa.

Anche se poco riportata dai nostri media, la “riconversione” di Desertec ha un enorme significato: stiamo andando verso un modello energetico davvero nuovo, distribuito, a dimensione integrata e territoriale, non più “mimato” su quello che ci consegnano le utilities spiazzate dalla loro stessa imprevidenza nel non considerare la questione della giustizia sociale e climatica come la nuova frontiera. Che il nuovo stia avanzando – seppure contrastato – lo si poteva vedere lo scorso weekend in una affollatissima ricorrenza organizzata alla Cascina Cuccagna nel centro di Milano: alla prima edizione di “La potenza di helios”, una mostra-evento per fare il punto sulle possibilità di utilizzo dell’energia solare anche in città, una tensione realizzativa animava visibilmente gli incontri e le dimostrazioni, nella migliore sinergia tra bisogno di innovazione  e aspirazione alla convivialità.

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