Dodici miliardi di euro all’anno gli aiuti pubblici in Italia alle fossili

da qualenergia.it

A livello mondiale il problema dei sussidi alle fonti fossili è abbastanza noto: l’ultima denuncia è contenuta nel World Energy Outlook 2013 della IEA, che li quantifica in 544 miliardi, cinque volte quelli alle fonti rinnovabili. Secondo stime di Ong ambientaliste, solamente eliminando questi aiuti si ridurrebbero le emissioni mondiali di CO2 di 750 milioni di tonnellate, ovvero il 5,8% al 2020, contribuendo al raggiungimento della metà dell’obiettivo climatico necessario a contenere l’aumento di temperatura globale di 2 °C.

Quasi mai invece si sente parlare di questo tema su scala nazionale italiana. Prova ad accendere il dibattito pubblico nazionale un dossier targato Legambiente che mette in evidenza un dato: sono circa a 12 miliardi di euro all’anno i sussidi di cui beneficiano le fonti fossili nel nostro Paese. Il rapporto fa una sorta di censimento degli aiuti diretti e indiretti che finiscono a petrolio, carbone e altre fonti inquinanti e climalteranti (vedi allegato in basso) e cerca di fornire un po’ di trasparenza su questo argomento: le vie che portano al sostegno delle fonti sporche sono diverse, tortuose e individuarne la portata non è sempre semplice.

Secondo il dossier stiamo parlando di 4,4 miliardi di sussidi diretti, distribuiti ad autotrasportatori, centrali alimentate fonti fossili e imprese energivore, e di 7,7 miliardi di sussidi indiretti, tra finanziamenti per nuove strade e autostrade, sconti e regali per le trivellazioni. Il totale, appunto, è di 12,1 miliardi di euro.

La voce più importante riguarda i trasporti. Al settore dell’autotrasporto sono andati, dal 2000 al 2013, quasi 5,3 miliardi di euro attraverso fondi diretti al sostentamento del settore (400 milioni l’anno), sconti sui pedaggi autostradali (120 milioni in media ogni anno), riduzioni sui premi INAIL e RCA (rispettivamente 105 e 22 milioni), oltre a deduzioni forfettarie non documentate per circa 113 milioni annui. Per il 2013 si tratta di 400 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i 330 per il 2014, ad oggi in discussione nella Legge Stabilità.

Un’altra voce di sussidio riguarda gli sconti sulle tasse per l’acquisto di carburante; secondo l’OCSE, l’Italia nel 2011 ha sostenuto il settore con riduzioni e esenzioni dall’accisa per oltre 2 miliardi di euro.

C’è poi il capitolo termoelettrico. Diversi impianti da fonti fossili beneficiano di sussidi diretti per la produzione elettrica. L’esempio più noto è l’incentivo CIP6 alle assimilate. Complessivamente, agli impianti a fonti fossili, dal 2001 al 2012 sono stati assegnati 40,149 miliardi di euro, si legge nel report. Secondo i dati del GSE, nel 2012 il sussidio è stato pari a 2,166 mld di euro e continuerà, riducendosi nel tempo, ancora fino al 2021. Sempre secondo i dati del GSE, si può stimare che i CIP6 da qui al 2021 costeranno alla collettività circa altri 4,880 miliardi di euro.

Un nuovo sussidio diretto a centrali vecchie e inquinanti poi è entrato in funzione nel 2012, giustificato con presunti allarmi legati all’emergenza gas. In pratica le vecchie centrali a olio combustibile vengono remunerate con 250 milioni di euro (per il 2013), a fronte della disponibilità a entrare in funzione contro possibili nuove emergenze gas e per di più potranno operare con “deroghe alla normativa sulle emissioni in atmosfera o alla qualità dei combustibili”.

Diversi altri aiuti sono invece più difficili da individuare e contabilizzare. Ad esempio ci sono i rimborsi ai nuovi entranti nel meccanismo europeo di scambio delle emissioni ETS: gli impianti entrati in funzione negli ultimi quattro anni riceveranno rimborsi per circa 160 milioni, prelevati da risorse che sarebbero dovute invece servire a ridurre le emissioni di CO2 (vedi QualEnergia.it).

Altra voce che Legambiente mette nel conto come sussidi alle fonti fossili sono gli sconti ai grandi consumatori di energia: circa 600 milioni di euro l’anno. Stesso discorso per il servizio di interrompibilità, cioè il compenso garantito a certi grandi consumatori in cambio alla disponibilità di vedersi interrompere la fornitura nell’eventualità (a dire il vero piuttosto remota) che l’energia immessa in rete non basti per tutti. Nel 2013 il servizio di interrompibilità si può stimare in 736,5 milioni di euro. Altro sussidio diretto a favore delle aziende energivore è la riduzione dell’accisa sul gas naturale impiegato per usi industriali da soggetti che registrano consumi superiori a 1.200.000 mc annui, per 60 milioni di euro l’anno.

Altri sussidi potrebbero essere in arrivo: nella proposta di Decreto del Fare 2, ad esempio, è previsto un incentivo per la costruzione di una centrale al carbone cosiddetto “pulito” nel Sulcis: 60 milioni di euro l’anno, per un costo totale di 1,2 miliardi di euro, che saranno coperti tramite il prelievo nella bolletta elettrica.

Ma gli incentivi alle fossili sono anche indiretti. Una forma di sussidio indiretto riguarda ad esempio il campo delle infrastrutture. “Invece di investire su metropolitane e tram per aiutare i cittadini a lasciare l’auto a casa, o di migliorare la logistica delle merci per avere un’alternativa più efficiente con treni e navi, in Italia la priorità degli investimenti infrastrutturali continua ad andare a strade e autostrade, con la conseguenza di favorire il trasporto privato su gomma e quindi il consumo di fonti fossili”, spiegano gli autori del dossier. Nel 2012 la spesa per gli investimenti in nuove opere stradali e autostradali è stata pari a 2,4 miliardi di euro; erano 3,3 nel 2011.

Ancora, altri sussidi indiretti e sconti sono applicati a coloro che sfruttano le risorse fossili nel territorio italiano. Il caso più eclatante riguarda le irrisorie royalties previste per trivellare in Italia, portate con il Decreto Sviluppo al 10% (a parte il petrolio a mare dove la percentuale è al 7%). “Se in Italia avessimo portato le royalties al 50%, nel 2012 ci saremmo trovati invece che un gettito di 333,5 milioni di euro circa, con uno da 2,859 miliardi di €. Se si aggiornassero i canoni per la prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio con cifre più adeguate (almeno 1.000 €/kmq per la prospezione, 2mila per le attività di ricerca fino a 16mila per la coltivazione), le compagnie petrolifere potrebbero versare alle casse dello Stato oltre 300 milioni di euro invece dell’attuale milione. Anche in questo caso, la ‘distrazione’ nell’aggiornare i canoni determina evidenti sussidi indiretti pari a circa 300 milioni di euro”, denuncia l’associazione ambientalista.

Dossier Legambiente (pdf)

Condividi