Il Forum per l’Energia dell’Est: una sintesi di Mario Agostinelli

Le tre linee di fondo della politica energetica europea, migliorare la competitività dell’economia, aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti e accrescere la sostenibilità, non trovano ancora una convergenza. Anzi, sembrano confliggere. Questo quanto emerso dai dibattiti cui ho partecipato durante il Forum per l’Energia dell’Est europeo organizzato a Danzica, in Polonia.

La Polonia guida quella parte dell’Eurozona che rimane scettica rispetto agli obiettivi “20/20/20” decisi dalla commissione Ue. Una coalizione di paesi che incontra un tacito sostegno da parte del nostro Governo, alleato ai governi dell’Est Europa nel privilegiare il ricorso al gas e, quindi, nel ritenere non strategica e solo integrativa la prospettiva di crescita di un sistema decentrato ad energie rinnovabili.

Il cavallo di battaglia di questa alleanza sta nella necessità – a suo dire – di abbassare i prezzidell’energia in Europa aumentando l’offerta di carbone, nucleare (sempre all’erta) e gas russo, istituendo un “enorme transatlantico di libero scambio” per evitare che gli Stati Uniti attraggano nuovi investimenti, a partire dall’industria ad alto consumo energetico. Secondo l’auspicio di questo scenario, diventerebbe decisiva la collocazione di centrali nucleari all’Est e lo sviluppo delle infrastrutture di trasmissione transnazionali basate sulla produzione di grandi impianti e il potenziamento dei gasdotti. La produzione eolica e solare risulterebbe pertanto solamente integrativa e da prendere in considerazione per il suo progressivo affermarsi in Germania e nel Nord Europa. Il vero ruolo d’innovazione sarebbe affidato al gas da scisto (shale gas) estratto nei Carpazi nonostante il dissenso della Ue, ai fini di svincolare gli ex satelliti sovietici dall’egemonia putiniana.

Date queste premesse, gran parte della discussione al Forum è stata di natura geopolitica e ci ha riportato ai conflitti europei dell’inizio Novecento, con la rivendicazione dei paesi balcanici di avere un’autonomia da Russia e Germania. Il Sud Europa svanisce e ci si ritrova in un contesto tutto determinato dal vecchio paradigma energetico. C’è da capire perché mai l’Italia dovrebbe dar corda ad una simile prospettiva.

Qui ho capito l’importanza straordinaria per il futuro dell’Europa di un diverso approccio energetico, fondato sulla rinnovabilità, il decentramento, il risparmio, l’economia regionale e territoriale. Un metodo capace di cogliere come la questione del riscaldamento globale e l’impatto delle risorse petrolifere mondiali sull’ambiente facciano prevedere un futuro diverso in cui la politica dovrà ridisegnare consumi, produzione, indirizzi economici e industriali, evitando atteggiamenti protezionistici.

Nonostante il nocciolo del problema polacco sia la dipendenza dal carbone, tra gli intervenuti ha preso piede una posizione imprevista: la riduzione delle emissioni sarebbe compatibile con una maggiore competitività e la graduale transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e l’ammodernamento delle infrastrutture si ripercuoterebbero positivamente su tutti i settori.  Mi ha sorpreso come anche in un paese dichiaratamente scettico rispetto al superamento delle fonti fossili, ci si renda conto che efficienza, fonti energetiche rinnovabili e a bassa emissione facciano guardare al futuro con maggiore ottimismo.

Si direbbe che sulle fonti di energia rinnovabili si stia aprendo una nuova linea di divisione in Europa – a ranghi non compatti nemmeno nei paesi dell’Est – e che la mancanza di un dibattito politico in Italia la ponga ai margini di una partita decisiva. È stato proprio Stephen Tindale, esperto del Centre for European Reform (Regno Unito), a sottolineare come risparmio, rinnovabili e clima agiscano per una profonda integrazione tra i paesi europei, dato che ci sono molti più vantaggi in un’economia a basse emissioni di carbonio, dall’aumento degli investimenti al rilancio dell’economia. “L’Europa – ha affermato – non deve guardare indietro, puntando sulla divisione “so-far” dei 27 Paesi in base a diversi tipi di energia prevalente. Gli ha fatto eco Wolfram Sparber,sostenendo che la massimizzazione della produzione da Fer e il soddisfacimento delle aspettative degli operatori in relazione alle fonti variabili di generazione può procedere a molti livelli (tecnici, organizzativi e informatici), producendo da subito l’integrazione delle energie rinnovabili nei sistemi energetici nazionali.

In conclusione, mi è parso bizzarro incontrare nel Paese sotto il profilo energetico più conservatore d’Europa aperture e riflessioni che avrebbero scioccato il nostro ministro Zanonato.

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