L’appello di Alfonso Navarra per il digiuno del 7 settembre

In questi giorni decisivi, alla vigilia del voto al Congresso USA sul disco verde chiesto da Obama alla “punizione” di Assad, dovremmo concentrare intelligenze e forze sul compito urgentissimo di “prevenire una guerra mondiale” (non sottovalutiamo affatto questo rischio che diventa sempre più concreto nel groviglio Medio-orientale!).

Una guerra che sarebbe da stolti aggettivare perché tutti ne usciremmo

perdenti: occidentali, orientali, meridionali, cristiani, musulmani (sunniti e sciiti), ebrei, etc; e soprattutto i non schierati come la maggior parte di noi, espressione della “gente che suda e soffre”, appartenenti agli “uomini” e non ai “caporali” .

Da questo punto di vista mi sembra che, per fare qualcosa che incida positivamente proprio nella congiuntura presente, che cioé raccolga la volontà prevalente dell’opinione pubblica mondiale, sia stata concepita una importante proposta dal Forum del MIR: utlizzare la scadenza, di straordinaria importanza, indetta da Papa Francesco: la “giornata di digiuno e di preghiera” – il 7 settembre prossimo – che nello stesso nome ricorda, non a caso, una iniziativa nonviolenta che a suo tempo prese Gandhi, il 6 aprile 1919, dopo il massacro di Amistar perpetrato dalle truppe dei colonialisti inglesi.

Da anticlericale “storico”, ma non ideologico, mi sento di dire che stavolta il Papa, con vero coraggio, con accenti di lucidità profetica, ci ha davvero azzeccato, nella forma e nella sostanza del suo discorso!

Eccone alcuni passi: “Vogliamo ascoltare il grido della pace che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità. E’ il grido che dice con

forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società dilaniata da divisioni e da conflitti scoppi la pace, mai più la guerra. La pace è un dono troppo prezioso che deve essere promosso e tutelato… Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza. Con tutta la mia forza chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi ma di guardare all’altro come a un fratello e di intraprendere con coraggio e decisione la via dell’incontro e del negoziato”…

Chi può, mi sento di dire, allestisca in piazza delle tende di digiunatori che, in sintonia con l’appello del Papa, sollecitino e meditino questi 4 punti che ho avanzato (sui quali anche il MIR sta lavorando per elaborarli e svilupparne il senso):

1- Cessate il fuoco tutti in Siria, trattative al posto dei combattimenti!

2- Aiuto alla popolazione civile massacrata dalle milizie di qualsiasi bandiera!

3- Embargo ONU su tutte le forniture di armi entro il territorio sirano!

4- No a bombardamenti “punitivi”: Obama, fermati!

(Non ci metto di mezzo la denulearizzazione euro-mediterranea, perché, pur giusta e fondamentale, non sarebbe compresa come congrua e tempestiva nel momento presente).

Mi sembra importante che, proprio in questo momento, si agisca per esprimere ed accrescere il consenso dei popoli che già c’è, non per confonderlo e disperderlo con le velleità di “denuncia anti-imperialista” a senso unico (si veda la fotografia apparsa di recente sul Corsera della manifestazione “pacifista” in cui viene impugnata la bandiera con la faccia di Assad!).

Personalmente ho deciso di disertare quelle manifestazioni che di “pacifista”, comunque vogliamo definire il termine, hanno le parole ma non uno spirito comunicabile e comprensibile. Quelle che invece di diminuire AUMENTANO DI FATTO IL CONSENSO ALL’INTERVENTO MILITARE.

La gente comune, nelle sue varie declinazioni, in Italia (e nel mondo) capisce subito chi ha in testa come preoccupazione principale

a- lo “smascheramento” dei “cattivi americani” (e, naturalmente, del loro “alleato sionista”);

oppure:

b) l’esigenza che, dal punto di vista di chi spera di vivere in pace, non si butti ulteriore benzina su un focolaio locale da cui può venire fuori un incendio globale.

Se vogliamo contribuire a spegnere l’incendio, proviamo – è il mio invito – ad usare l’acqua di un “discorso di comune umanità” e non la benzina delle polemiche fuori tempo e fuori luogo, volte inutilmente ad inchiodare “il più cattivo ed ipocrita del reame”.

Quest’ultimo – ripeto – è un terreno di sabbie mobili che porta a fondo le speranze di attivare dinamiche di pace, bene indicate da parole papali che mostrano di recepire alcuni pilastri di quella cultura nonviolenta “che è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere”.

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