Referendum 17 aprile

Lettera di un padre ad una figlia che il 17 Aprile voterebbe per la prima volta

a cura di Andrea Fontana

Cara Eleonora, il prossimo 17 aprile per la prima volta avrai la possibilità di esprimere attraverso il voto la tua opinione. Mi hai spiegato che la politica non ti affascina e che non sai se andrai a votare perché hai l’impressione che non serva granché. Non posso darti torto. Spesso anch’io ho l’impressione di vivere in una finta democrazia, ma resto convinto che qualsiasi altra forma di governo sia peggiore e che la sensazione di disgusto sia causata dalle scelte sbagliate della maggioranza che non ha saputo scegliere gli uomini giusti da cui farsi rappresentare. Questo, però, è un discorso complesso, riguarda demagogia, rappresentatività, onestà intellettuale, opportunismo e integrità dei vari candidati. Lo affronteremo, se vorrai, quando si tratterà di votare per eleggere il sindaco o per le elezioni politiche.

L’appuntamento del 17 aprile è diverso. Si vota per un referendum, anche se a differenza di quanto è successo per quelli sul divorzio, sull’aborto e sul nucleare questa volta il tema è marginale e c’è un significato nascosto. Il referendum è la più alta forma di democrazia perché siamo chiamati a esprimere un’opinione su un aspetto specifico, un po’ come se fossimo tutti in parlamento a votare per l’introduzione o l’abolizione di un articolo di legge. Grazie ai referendum è possibile divorziare, sono scomparsi gli aborti clandestini e abbiamo evitato la costruzione di costosissime e inutili centrali nucleari. Questa volta il quesito è marginale e riguarda la possibilità di concedere proroghe alle concessioni per l’estrazione di gas e petrolio alle poche piattaforme che operano entro le dodici miglia dalla costa. I quantitativi di gas e petrolio estratti da queste piattaforme sono talmente irrisori da rendere quasi insignificante l’esito della consultazione popolare, ma, come ti dicevo, questa volta c’è un significato nascosto.

Una vittoria del sì darebbe un ulteriore chiaro segnale al governo della volontà dei cittadini di accelerare la transizione verso le energie rinnovabili. Una transizione oggi ritenuta inevitabile anche dai sostenitori del no e questo è un grande risultato. Chi sosteneva il nucleare nel 2011, in gran parte gli stessi che oggi invitano all’astensione o a votare no sulle trivelle, ritenevano, infatti, che le fonti rinnovabili avrebbero potuto rappresentare al massimo una quota marginale del fabbisogno energetico di qualsiasi nazione. Cinque anni sono bastati a dimostrare che avessero torto. Come sai, ritengo che energia e acqua rappresentino i temi fondamentali per lo sviluppo dell’umanità. Questioni che riguardano ciascuno di noi molto più da vicino di quanto si possa immaginare. Ti faccio soltanto un esempio per non tediarti. In Siria per conquistare una città agli infami terroristi dell’Isis è bastato assetarla e controllare i pozzi di petrolio e le centrali elettriche. Chi può gestire energia e acqua ha un immenso potere.

Lo sviluppo economico in occidente è stato possibile grazie alla rivoluzione industriale, con lo sfruttamento del carbone per produrre energia all’inizio, del petrolio e del gas in seguito. Questo modello di sviluppo non appare più sostenibile e ha smesso di generare benessere diffuso da tempo. Sono in pochi a raccontare questa verità, che pure è sotto gli occhi di tutti. Tra questi pochi ci sono due personaggi, diversissimi tra loro, capaci di proporre una visone alternativa, papa Francesco e l’ex presidente dell’Uruguay Josè “Pepe” Mujica. Il papa ha scritto un’enciclica rivoluzionaria, nella quale individua con chiarezza le cause dell’imbarbarimento umano e del degrado ambientale. Il secondo, che prima di essere a capo della piccola nazione sudamericana è stato un combattente dei Tupamaros, uno che si è sporcato le mani, non un intellettuale tutto teorie e riconoscimenti accademici, ha invitato a sostituire l’indice di benessere economico con l’indice di felicità. Fai uno sforzo. Leggiti l’enciclica Laudato sì (in allegato trovi il pdf con evidenziate le parti che reputo più significative) e documentati su Pepe (qui uno dei suoi discorsi per me più convincenti https://youtu.be/3SxkMKTn7aQ).

Non sto divagando. Come ho già avuto modo di spiegarti, la democrazia impone alcuni sacrifici. Per esempio informarsi. Sì, perché anche nell’epoca di Internet spesso è difficile informarsi. Richiede tempo, attenzione e presuppone la volontà di non accontentarsi di proclami e slogan. Alcuni diritti che oggi diamo per scontati hanno richiesto grandi battaglie civili e impegno per affermarsi. Pensa alla condizione delle donne, per esempio, o alla cosiddetta rivoluzione sessuale di fine Anni ’60. Conquiste non ancora universalmente valide nonostante la globalizzazione. Le tue coetanee nel mondo arabo non godono delle tue stesse libertà. Ecco, libertà è la parola chiave, il principio dal quale per me derivano tutti gli altri. Libertà non significa fare quello che ti pare, significa soprattutto poter lottare per rendere più giusta e migliore la società, significa poter esprimere il proprio dissenso nei confronti di ciò che ci appare ingiusto.

Tornando al referendum del 17 aprile, ritengo occorra andare oltre la specificità del quesito. Fondamentalmente sono in ballo due visioni contrapposte sul tema dello sfruttamento delle risorse e sulla distribuzione dell’energia. La contrapposizione tra fonti fossili e rinnovabili non è l’unica questione sul tavolo e, forse, è la meno importante, anche perché le prime sono destinate a esaurirsi e tra non molto i costi per il loro sfruttamento diverranno talmente alti da risultare economicamente insostenibili. La questione a mio avviso più significativa riguarda i modelli di sviluppo: centralizzati o diffusi. Con le fonti fossili e con il nucleare era inevitabile avere grandi centrali che smistassero l’energia a chi ne ha bisogno. Dal controllo delle centrali e dei pozzi deriva, inevitabilmente, un grande potere. Oltre all’esempio della Siria che ti ho fatto poco fa, vorrei che tu riflettessi sul fatto che tutte le guerre in Medio Oriente sono avvenute, di fatto, in funzione del petrolio. Lo stesso è capitato nei paesi dell’ex Unione Sovietica, principalmente in funzione del gas. Lo sviluppo delle rinnovabili ha aperto nuovi scenari con la possibilità di produrre energia esattamente nei luoghi dove deve essere consumata. Tante piccole centrali decentrate, invece di pochi grandi impianti centralizzati. Capisci da sola che questo rappresenterebbe una rivoluzione. Renderebbe autonomo dal punto di vista energetico qualsiasi Paese e quasi impossibile il controllo della distribuzione da parte di un’unica entità. Risulterebbero perfino inutili molti conflitti bellici, perché sole, acqua e vento non si possono fermare.

Se domani tutta l’energia necessaria fosse prodotta grazie alle fonti rinnovabili, ma restasse centralizzata, avremmo fatto un grande passo in avanti sul fronte della sostenibilità, ma una rivoluzione a metà. La gestione del potere resterebbe sempre nelle mani di pochi. Ecco, credo che il vero quesito da porsi domenica 17 aprile sia: voglio che in un futuro non troppo lontano la gestione dell’energia diventi più democratica e non resti concentrata nelle mani di pochi?

Io la vedo così. Domenica 17 aprile mi verrà posta una domanda apparentemente insignificante, con risvolti immediati quasi totalmente ininfluenti, che nasconde una questione di fondo fondamentale per la libertà di mia figlia.

Come al solito, ti lascio con una canzone.


Un grande bacio, papà

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