Meno 90% di emissioni entro il 2030

Un percorso da imitare in Italia: l’esercizio inglese del “meno 90% di emissioni entro il 2030”

Nel libro Heat (pubblicato nel 2007 da Penguin) il giornalista e ambientalista inglese George Monbiot conduce un interessante esercizio rispetto alla situazione delle emissioni di gas serra – e dunque del modello energetico – del suo paese: verificare se in ogni settore si possano ridurre del 90% entro il 2030 le emissioni di gas serra allo stato attuale delle tecnologie e senza contare sulle compensazioni e sul commercio di carbonio (un facile meccanismo di indulgenze). Perché meno 90% entro il 2030, se tutti parlano di percentuali di riduzione molto minori? (La richiesta di riduzione più elevata ai paesi Ocse (ricchi), che rientrano nell’Annex I del Protocollo di Kyoto è quella della Bolivia: chiede ai ricchi una riduzione del 50% entro il 2020).

Il ragionamento di Monbiot, basato su stime di istituti di ricerca come il Potsdam, è questo: i due gradi di aumento della temperatura terrestre, soglia vista come senza ritorno (e già piuttosto alta per molti) potrebbero essere raggiunti già nel 2030 a meno di drastici tagli. Intanto, nel 2030 la capacità totale di assorbimento di carbonio da parte della biosfera sarà ridotta dai 4 miliardi di tonnellate all’anno a 2,7 miliardi di tonnellate (secondo il Met Office). Per mantenere dunque l’equilibrio a quel punto, senza aggiungere altri gas serra ogni anno, la popolazione mondiale non dovrebbe emettere più di 2,7 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno. Il mondo è intorno a 7 (ndr: ma solo per quanto riguarda le emissioni da combustione di fossili. Per l’Ipcc (RAPPORTO 2007)  le proporzioni delle emissioni totali di gas serra sono: emissioni totali annuali 49 mld tCO2eq/anno, emissioni fossili di CO2: 27.7 mld ton/anno; da deforestazione:  8.5 mld tCO2eq/anno; di metano: 7 mld tCO2eq/anno; di N2O: 3.9 mld tCO2eq/anno; altra CO2: 1.3 mld tCO2/anno; F-gas: 0.5 mld tCO2/anno).

Quindi la riduzione delle emissioni dovrebbe essere pari al 60%. Ma poi, nel 2030 la popolazione mondiale sarà di 8,2 miliardi di persone. Dividendo il pozzo di carbonio totale, 2,7 miliardi, per il numero di terrestri, si trova che per raggiungere una stabilizzazione nelle emissioni (già non di per sé sufficiente…) il peso delle emissioni pro capite (siamo tutti uguali come esseri viventi o qualcuno ritiene che una parte degli umani – per esempio noi – abbia più diritti di emissione?) non dovrebbe superare le 0,33 tonnellate di carbonio all’anno. Si noti che per tradurre il carbonio in anidride carbonica, occorre moltiplicare per 3,667: quindi le emissioni pro capite massime accettabili sarebbero intorno alle 1,2 tonnellate all’anno. Nei paesi ricchi, anche in Italia, questo significa appunto una riduzione del 90%, più o meno. Allora Monbiot percorre, settore per settore, la vita produttiva e di consumo del suo paese: dall’elettricità (che fa funzionare anche l’industria) ai trasporti, dal riscaldamento alla grande distribuzione, e cerca passo passo di verificare se con soluzioni strutturali come il risparmio energetico e il passaggio alle energie rinnovabili, e anche con cambiamenti negli stili di vita, questa riduzione si possa verificare. La risposta è sì. Tranne che per un singolo settore al quale riserva un intero capitolo anche per il loro crescente peso per il clima: gli aerei. Il settore non è riformabile, occorrerà soltanto tagliare e molto (sta succedendo il contrario, una minoranza dei terrestri vola forsennatamente). Monbiot non si occupa, salvo per la parte commercio, un settore importante: l’agricoltura e l’alimentazione. Nondimeno, il suo esercizio sarebbe da imitare per l’Italia…

A cura di Marina Correggia

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