Olimpiadi ed ecomostri

di Mario Agostinelli

Una temperatura di 18°C, condizioni di innevamento non certo ideali per esaltare una competizione sportiva, un’ostentazione del nazionalismo russo che torna sulla scena geopolitica in una improbabile reincarnazione zarista proprio quando ogni spreco è una ferita al pianeta. I 51 miliardi di dollari per le Olimpiadi di Sochi sono già tristemente famosi per rimanere nella storia come la maggior spesa per i giochi. La contabilità offerta dagli organizzatori alla stampa per lenire le critiche, è sintomatica ai fini del nostro discorso: “solo 6 miliardi di dollari sono stati spesi “direttamente” sui Giochi. Il resto se n’è andato in infrastrutture pesantissime, tanti elefanti bianchi a presidiare territori sconvolti, come la “strada del caviale” dal costo di 8,7 miliardi di dollari nel distretto di montagna che sale alle spalle del mare. Occorre ricordare che nella Russia di Putin non si conta il denaro, quando si tratta di esibizione di potenza quasi sempre a danno dell’ambiente.

I giornalisti presenti all’evento rimarcano aspetti positivi: il traffico è sicuramente migliorato con le tangenziali costruite, la vita dei disabili in città è grandemente facilitata, l’aeroporto è efficiente, nuovi autobus urbani e treni navetta spostano i tifosi per 90 miglia lungo la costa.

Ma trascurano il fatto che sono state costruite undici grandi sale sportive e innumerevoli edifici annessi, di cui il governo locale sembra non avere un’idea di cosa fare. Quarantanove alberghi con una capacità di 26.000 letti rimarranno inutilizzati per l’afflusso turistico di Sochi in anni normali.

E quel che è più insopportabile – è denunciato dai giornali di opposizione (Alexei Navalny) – è che il governo ha speso il doppio di quanto necessario per costruire dieci dei siti olimpici. Perfino un controllo governativo nel 2012 ha trovato 430 milioni di dollari di superamento per costi “irragionevoli”. Questo non sorprende se si considera che gli uomini d’affari con stretti legami con i dirigenti federali e regionali, hanno vinto molti degli appalti.

Nel frattempo, i residenti del villaggio locale di Akhshtyr, dove una cava e una discarica abusiva sorti durante i lavori hanno inquinato l’ambiente, o Vesyoloye , dove rifiuti da costruzione hanno provocato una colata di fango su larga scala, si sono rivolte a Human Rights Watch per un risarcimento. Il futuro di Sochi come meta di sport invernali è già in dubbio: si avanzano proposte per farne una zona di gioco o una base gigante di atletica per bambini!

Evidentemente non sono bastate la lezione di Atene, quando la culla dei Giochi si è trasformata nella tomba del Paese (i costi, che inizialmente dovevano essere di 5 miliardi di euro, lievitarono fino a 8,95 miliardi) e quella di Torino, messa sotto il tappeto dai nostri governanti (i costi effettivi sono stati di 2,8 miliardi, sette volte in più rispetto all’iniziale preventivo).

Anche sotto le Alpi gli elefanti bianchi sono rimasti a sopravvivere inutilizzati in uno scenario surreale, come la pista da bob di Cesana (61 milioni di euro), i trampolini del salto di Pragelato (34 milioni), lo stadio di freestyle di Sauze d’Oulx (8 milioni), le strutture al Sestriere, il villaggio Olimpico a Torino, il mulino a Pinerolo addirittura mai aperto.

In definitiva, in Russia, Grecia e Italia non ha fatto scandalo buttare soldi per una fiammata di eventi, mentre ci si rifiuta ostinatamente di investire per preservare l’ambiente che lasceremo in eredità a figli e nipoti.

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