Nuove trivelle in Lombardia?

Questo articolo è tratto da www.salviamoilpaesaggio.it

Il preoccupante interesse per l’oro nero, insostenibile ed insensato, non si limita al Canale di Sicilia ma sbarca anche nella pianura lombarda, già martoriata da cemento e nuove autostrade. Un’analisi delle zone interessate con un approfondimento per la situazione nella zona est della Provincia di Milano.

PETROLIO LOMBARDO, MINACCIA OSCURA

La notizia pubblicata su Corriere Ambiente lo scorso 4 Ottobre porta all’attenzione di tutti il fatto che anche la Lombardia è a rischio trivelle. Riaffiorano interessi per petrolio e gas nelle stesse aree già sondate qualche decennio fa. Siti operativi già attivi in passato e nuove richieste in fase di valutazione: si allunga l’ombra di una minaccia oscura che interessa numerose provincie e spaventa anche oltre confine, in Svizzera.

Perché è ripresa la “corsa al petrolio”? Qual è la situazione?
Cosa sanno i cittadini? Quali sono i rischi?

I NUMERI E LE PROVINCIE INTERESSATE

L’articolo sopracitato ricorda che su tutto il territorio lombardo sono ben 25 i nuovi sitisotto esame da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, da ovest ad est, che si aggiungono alle 17 concessioni vigenti per la coltivazione di idrocarburi e 7 per lo stoccaggio di gas.
Una dettagliata planimetria colloca sul territorio lombardo siti attivi, permessi di ricerca già concessi e nuove richieste in esame.

Al momento sembrano “salve” solo le provincie di Lecco e Sondrio, anche se va ricordato che è di pochi anni fa l’assalto provato e respinto a Montevecchia (LC) dove la società australiana Po Valley era intenzionata ad effettuare pericolose ricerche in un area di grande valenza paesaggistica del Parco del Curone.

Le nuove istanze che interessano le provincie di Como e Varese spaventano oltreconfine. Nel Canton Ticino infatti non solo le associazioni ambientaliste, ma anche gli enti istituzionali, manifestano preoccupazione per una scelta, quella di puntare ancora sulle fonti fossili, che genera problemi ambientali locali e non risolve, anzi peggiora, i problemi climatici globali. I comuni svizzeri potrebbero anche attivarsi per presentare osservazioni ufficiali nelle istanze in corso.

Lo scenario complessivo sembra quello di una regione che prova a togliere alla Basilicata il titolo di “Texas d’Italia”.

L’EST MILANESE E LA SUA STORIA PETROLIFERA

Analizzando le informazioni riportate sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico in merito alle istanze in corso e il dettagliato archivio storico si scopre che:

– per la “ricerca di idrocarburi” figura un lungo elenco storico dei pozzi dal 1895 al 2011. Nelle provincie di Milano e Monza e Brianza sono ben 264 di cui uno rispettivamente a Monza, Lissone, Burago e Carugate e ben 31 nel solo comune di Brugherio dove risulta anche una concessione per lo stoccaggio di gas.

– per la “coltivazione di idrocarburi” sono elencate 17 concessioni, tra cui una riferita al comune di Pessano con Bornago, ambito d’interesse di ENI già da qualche anno. Una concessione che copre però un’area molto ampia che giunge fino al Vimercatese (Burago Molgora, Agrate Brianza e Caponago).

Tra le nuove istanze di “permesso di ricerca in terraferma” ce n’è una, arrivata alla fase di conferenza dei servizi, che fa riferimento al comune di Melzo, il cosiddetto “Progetto Melzo” della società italo-americana Mac Oil. L’istanza interessa, anche in questo caso, una serie di comuni della zona (Bellusco, Busnago, Cambiago, Cavenago di Brianza, Ornago e il già citato comune di Pessano con Bornago) e coinvolge anche alcuni comuni della provincia di Bergamo.

PESSANO CON BORNAGO: CORSI E RICORSI

Giuseppe Moretti del Circolo Legambiente “Il Molgora” di Pessano con Bornago ci racconta che l’Eni fece un carotaggio in quella zona già negli anni 70. La campagna fu poi abbandonata e il pozzo fu chiuso e sigillato.
Dopo anni, nel 2001, arrivò una proposta di riattivazione, finalizzata all’estrazione di gas che prevedeva inoltre la realizzazione di un’annessa centrale.

Ci fu l’opposizione dei cittadini e numerose proteste: furono convocate assemblee pubbliche in cui partecipò anche Eni. L’impianto proposto era troppo vicino alle abitazioni ed era inoltre nell’area del Parco del Molgora. L’impatto sarebbe stato devastante: oltre al traffico degli automezzi generato, il paesaggio sarebbe stato sconvolto da una torcia continuamente accesa come quella che si vede nella classica immagine dei pozzi petroliferi del medio oriente. La società fortunatamente rinunciò.

Ora le associazioni locali, alla luce anche delle notizie attuali, continuano a seguire con attenzione le vicende e non abbassano la guardia.

POCA INFORMAZIONE, TANTA PREOCCUPAZIONE

Sono poche le informazioni sull’argomento reperibili dalla stampa locale e dai comuni interessati, che abbiamo interpellato direttamente per conoscere l’avanzamento dei procedimenti in corso e le posizioni delle Amministrazioni Locali senza avere però alcun riscontro.

Per la zona del Vimercatese un recente articolo de “Il Cittadino”, conferma che il permesso di ricerca per Melzo ha ottenuto il via libera del Ministero. Sfruttando studi già fatti, saranno nuovamente oggetto di indagine le stratificazioni in cui potrebbero essere contenuti idrocarburi, confidando in risultati migliori della campagne di ricerca dei decenni scorsi.

Nella bassa bergamasca, interessata dal “Progetto Melzo”, cresce in rete la preoccupazione e la protesta: anche qui in diversi comuni (Arzago, Casirate, Fara Gera d’Adda, Treviglio e Calvenzano) riaffiorano situazioni che sembravano, dopo anni di silenzio, definitivamente accantonate.

GEOLOGIA ED ECONOMIA

La Pianura Padana ha geologicamente le caratteristiche per contenere idrocarburi, ma è tutta da valutare la quantità estraibile, su cui ovviamente vige il riservo da parte delle compagnie. Nei decenni scorsi sono state fatte numerose indagini e l’area è stata anche sfruttata. Ora però i residui ancora estraibili potrebbero trovarsi ad elevate profondità con forte possibilità di insuccesso.

Ma il prezzo del petrolio così alto e le discutibili agevolazioni dovute alle scelte governative italiane (bassi oneri di estrazioni rispetto ad altri paesi ed esigui obblighi di compensazione ambientale, le royalties) spingono comunque le compagnie, anche e soprattutto straniere, ad investire nuovamente.

La strategia energetica nazione proposta dal Governo ed in particolare dal ministro Passera è nuova sulla carta ma di vecchia concezione: prospetta infatti uno scenario futuro basato ancora principalmente sulle fonti fossili e non sulle rinnovabili. Una scelta esclusivamente economica, che mira a far cassa.

Ma per i territorio le previsioni non sono buone: più che una pioggia di soldi, il rischio è di una pioggia nera ed inquinante come quella che nel 1994 colpì Trecate (NO) dopo l’esplosione di un pozzo di trivellazione dell’AGIP.

PERICOLOSO MIRAGGIO

Le società petrolifere credono nel miraggio ed investono miliardi di euro, e promettono nuovi posti di lavoro, nuove entrate per lo Stato e risparmi in bolletta.

Ma se tutto questo sarà realizzato quale sarà il prezzo in termini di salute, inquinamento e sfruttamento del territorio?

Ogni compensazione economica sarebbe comunque insufficiente a giustificare il definitivo colpo di grazia per un territorio già devastato dalla cementificazione e inquinamento: occupare infatti le esigue aree agricole e libere con i nuovi pozzi, i relativi cantieri e gli impianti altamente inquinanti necessari ad estrazione, stoccaggio e trasporto di petrolio e gas, sarebbe insostenibile.

 

Diciamo la nostra sul ritorno al petrolio – un appello di Mario Agostinelli e dell’associazione Energia Felice

Care/i, il governo vara nientemeno che un piano energetico nazionale (l’ultimo era del 1988). Udite, udite!: ci sarà una consultazione online per fare osservazioni al documento che il governo ha messo sul web. peccato che non ci sia procedura pubblica, nè la possibilità di mettere in discussione il ritorno a petrolio, l’estensione del gas, la marginalità delle rinnovabili. E se provassimo a inondare il sito del ministero di Passera con osservazioni critiche, che facciamo girare tra noi e che potreste rendere visibili su www.energiafelice.it, indirizzandole a info@energiafelice.it?

Prendiamo sul serio la consultazione sul piano energetico di Passera-Monti? 

Sotto l’alto patronato di Giorgio Napolitano, l’“agenda Monti” transita, senza manifesti segni di irritazione dei candidati alle primarie di Primavera, dagli interventi d’emergenza per un Paese sull’orlo del baratro al disegno organico di un futuro stabilizzato nel segno dell’ingiustizia sociale e della definitiva rimozione della questione climatica. L’intenzione del premier “tecnico” è politicamente meditata: nelle more di un tempo necessariamente a scadenza, con una democrazia sospesa, un Parlamento esautorato e un’opinione pubblica concentrata ora sullo spread, ora sulla endemica corruzione degli amministratori, occorre dar corso alle ricette liberiste in tutti i campi possibili , così da marchiare irreversibilmente la modernizzazione del Paese, a dispetto dei programmi (se ce ne sono) dei suoi eventuali contendenti (se ce ne sono). Monti per sempre, insomma, anche quando questo moderno Cincinnato tornerà alle sue incombenze di ascoltato consigliere dei poteri finanziari che hanno mutato il volto dell’Europa sociale.

Il piano Passera per l’energia, messo sul sito del ministero tre giorni orsono, è parte rilevante di questa strategia a tutto campo. E’impressionante come la trentennale assenza di una politica energetica nazionale venga improvvisamente “risolta” da uno studio compilato con seducenti illustrazioni ed una retorica accattivante, che potrebbero ben figurare ad un convegno di esperti energetici vicini alla pensione, attorniati da finanziatori ed enti desiderosi di riprendersi lo spazio in esaurimento ostinatamente riservato alle fonti fossili e alle grandi opere ad esse “consustanziali”. Dovremmo pur chiederci se sia opportuno che un governo senza legittimazione popolare delinei la strategia energetica destinata a segnare le sorti del paese per qualche decennio.  Anche se tutti (singoli, associazioni, enti e chissà chi altro) siamo invitati ad una consultazione via web, dove potremmo fare osservazioni con la stessa fiducia, temo, con cui si spedisce una lettera senza ricevuta di ritorno.  Sarei tentato di mettere in discussione i cardini della proposta e di invitare tutti quelli che lottano per un nuovo paradigma climatico-energetico, a confutare con una azione organizzata le autentiche provocazioni che vengono avanzate: Italia hub europeo del gas; petrolio nazionale con un incremento delle trivellazioni; riaccentramento dei poteri in materia energetica a discapito degli enti locali; un profluvio di belle parole sull’efficienza mentre si cancella il 55% di detrazioni; attenzione alle rinnovabili in funzione integrativa e non sostitutiva del sistema attuale e per di più sottoposte ad una sopravvivenza competitiva sul mercato, rispetto a gas e petrolio depurati dei loro costi ambientali.

Ma chi mi assicura di essere in qualche modo ascoltato nella mia più totale dissonanza da questa impostazione di rilancio delle fonti fossili nell’era della presa di coscienza del cambiamento climatico? Nel piano governativo si trasformano le regole climatico-ambientali in strumenti commerciali  e si rilancia in chiave autarchica l’economia del gas e del petrolio.  Passera offre al capitale industriale nazionale e alle banche d’affari la ripetizione dello scenario che ci ha condotti alla crisi, assestando un duro colpo al tessuto di imprenditoria nuova a carattere locale, legata alle rinnovabili, che stava sviluppando grande flessibilità e capacità di innovazione, nuove professionalità e raccordi virtuosi con il mondo della ricerca. Così si prendono le distanze da quella riconversione ecologica dell’economia, che il nostro sistema deve con urgenza affrontare e che si può sviluppare solo in una dimensione culturale, democratica e politica agli antipodi rispetto a scenari energetici “futuri” da cui tecnici e banchieri  ammiccano al passato.

Per convincerci della necessità di prendere la parola e di rimettere in corsa un conflitto democratico, vale la pena di andare a guardare cosa succede nei contemporanei programmi energetici, ad esempio, di Germania e Svizzera.

In Germania si accelera lungo la “Road map UE 2050”, chiaramente protesa verso il 100% rinnovabili. E volutamente si diffondono notizie molto confortanti per quanto riguarda la sostituzione delle energie fossili con le rinnovabili e la capacità di realizzare risparmio energetico sul territorio. E’ di questi giorni la conferma che in Germania le luci lo scorso inverno sono state tenute accese dall’energia solare, proprio mentre veniva ridotto l’apporto del nucleare per decisione politica dopo Fukushima. Infatti, il governo tedesco, che si prepara a chiudere i suoi 22 reattori, ha ridotto anche gli scambi nucleari con la Francia rischiando il black-out, ma – come ha detto il responsabile per l’energia del Bunderstag: “Siamo stati salvati dal sole.”. E’ pur vero che lo scorso febbraio il territorio dalla Baviera alla Mosella ha goduto di una eccezionale insolazione, ma i 28 GW di potenza fotovoltaica, concentrati in Baviera, erano collegati alla rete ed hanno fornito circa il 3% della potenza totale. Il solare è un generatore di elettricità intermittente, dipendente dagli impianti di stoccaggio e di back-up – spesso convenzionale – che ovviano, se ben progettati, alla capacità di potenza quando il sole non splende. Così, è risultato determinante per la Germania l’avere investito nelle reti e nei sistemi di immagazzinamento: lo sforzo tedesco consiste nel ritenere le rinnovabili sostitutive dei fossili e quindi meritevoli della massima attenzione lungo tutta la filiera. Si è così creata una capacità di energia in eccesso, che ha consentito addirittura di aumentare le esportazioni di elettricità verso la Francia ipernucleare da 4GW a 5GW!
In quanto alla Svizzera, un Paese conservatore, sobriamente autonomo rispetto all’UE e fino a ieri moderatamente filonucleare, moderno, con un alto tenore di vita ed elevati consumi , con un’abbondanza della fonte idrica, ma non certo favorito quanto lo siamo noi per l’abbondanza delle altre fonti energetiche  naturali e in particolare di quella solare, viene messa in consultazione la  strategia energetica al 2050. Si tratta di un cambiamento radicale dell’intero sistema, ritenuto necessario dopo la decisione di abbandono dell’atomo.  La relazione che accompagna il piano energetico cita che: “ a livello mondiale abbiamo prezzi molto volatili di fronte ad un aumento della domanda di energia. Dal 2001 il solo prezzo del barile di petrolio è salito dagli 83 agli attuali 125 dollari, con conseguente aumento del prezzo del gas e delle energie convenzionali. Nello stesso tempo, vediamo che le energie alternative costano sempre  meno , ma sono ancora relativamente care e vanno quindi sostenute. Bisogna pertanto puntare decisamente su una graduale trasformazione del sistema energetico attuale”. La strategia elvetica risulta molto chiara: riduzione del consumo pro-capite di energia complessivamente del 35% entro il 2035 (del 50% per combustibili e carburanti!); risanamento degli edifici con inasprimento degli standard; prescrizioni sulle emissioni di CO2 delle automobili (al 2020 massimo di 95 gr CO2/Km); sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili, specialmente  nei settori del riscaldamento e della produzione di elettricità; diffusione delle smart grid per consentire un ricorso più efficiente all’autoproduzione e alla generazione decentrata di elettricità. Significativo è soprattutto il collegamento tra la politica energetica e quella climatica, con il varo di una riforma fiscale ecologica che accorpa in un’unica tassa  sull’energia la tassa sulla CO2 e quella per immettere in rete l’elettricità e il calore autoprodotti (favorendo così le rinnovabili per autoconsumo, che vengono ripagate fino al 30% dei costi di installazione).

Bisognerebbe farlo sapere a Passera, che punta sul rilancio delle trivellazioni e sulla costituzione di un “hub del gas” che saturerebbe l’Italia di tubi, rigassificatori e depositi di fonti fossili.  Il nostro governo, pur obbligato dal referendum a stoppare il nucleare, rientra tuttora nel gruppo degli avversari delle rinnovabili: continua in questo la politica di Berlusconi – d’altra parte gli interessi dei banchieri al governo sono contigui a quelli delle lobbies dei mega-impianti che ispiravano il Cavaliere – e quindi ostacola lo sviluppo di  un sistema decentrato, denso di innovazione e sostenuto da una componente elevata di ricerca, governato democraticamente sul territorio e alimentato dalle fonti naturali.

Forse inondando il sito del ministero di contro osservazioni, pubblicizzandole in rete, organizzando proposte e manifestazioni, si potrebbe reimpostare la questione energetica come contributo alla strategia dei beni comuni, al punto da dover contrastare anche con un referendum un piano di contabilità ordinaria, che ci disimpegna rispetto al futuro e che aumenta insostenibilmente il debito naturale.

L’energia nel dibattito USA per le Presidenziali

articolo tratto da L’Huffington Post  |  Di 

 

“Not true, Governor Romney, it’s just not true”. Così Obama ad una affermazione del suo avversario politico che lo accusava di aver ridotto la produzione di carbone e le licenze per la produzione di petrolio in territorio americano nel corso del secondo dibattito pubblico per la corsa alla Casa Bianca. Salgono quindi i toni dello scontro quando si parla di energia e tra i due contendenti sembrano esserci grandi differenze di visone del problema nonché, quindi, di programma. Vediamo allora di capire se ci sono e quali sono le differenze nelle politiche energetiche dei due candidati.

Prima di entrare nello specifico si deve però, e purtroppo, notare come nell’arco dei circa 10 minuti in cui si è parlato di energia non vi sia stato alcun riferimento da parte di nessuno dei due contendenti al problema dei cambiamenti climatici. Non resta che attendere e sperare che dell’argomento si parli nel corso del terzo ed ultimo dibattito.

DIPENDENZA ENERGETICA 
Obama in questa sua campagna elettorale propone una politica energetica definita “All of the above policy”, ovvero una strategia energetica che tenga insieme lo sviluppo di tutte le fonti di energia, ognuna per le proprie possibilità e potenzialità, dal nucleare al carbone, passando per biocarburanti e le fonti rinnovabili, fino al gas naturale. Questa diversificazione delle fonti nasce dall’impegno da parte di Obama di arrivare al 2020 con una riduzione del 50% delle importazioni di petrolio, sostituite quindi da un incremento della produzione interna di tutte le fonti.

Al riguardo Obama intende inoltre puntare sull’efficienza energetica con l’obbiettivo di riduzione al 2025 di 2 milioni di barili di petrolio al giorno.

Obama inoltre ha ritardato il progetto dell’oleodotto Keystone XL in considerazione dei suoi possibili effetti ambientali in Nebraska mentre ha indicato come prioritario il suo sviluppo nella parte meridionale fra l’Oklahoma e il Golfo del Messico.

Romney intende ridurre la dipendenza energetica degli USA attraverso un strategia “allargata” in base alla quale propone di rendere indipendente tutta l’America del Nord al 2020 incrementando le perforazioni di gas e petrolio, aumentando la collaborazione con Canada e Messico con i quali promuovere progetti congiunti e accordi specifici. Inoltre Romney ha dichiarato che una delle prime cose che farà da presidente è approvare la realizzazione dell’oleodotto Keystone XL che dal Canada, per precisione dall’Alberta, dovrà portare il petrolio fino alle raffinerie texane.

ENERGIE RINNOVABILI
Obama ritiene che le clean energies hanno e dovranno avere un ruolo centrale sia in termini di riduzione della dipendenza dall’estero sia in relazione alla sviluppo di politiche salva clima. Già nel 2009 stanziò 90 miliardi di dollari per lo sviluppo di progetti di energia solare ed eolica, di efficienza energetica, di alta velocità ferroviaria e di miglioramento della rete elettrica. Inoltre Obama ricorda che ha già stanziato 16 miliardi a garanzia di prestiti per progetti di sviluppo delle energie rinnovabili nonché conferma il sistema di credito d’imposta per gli impianti di energia eolica.

Romney è invece contrario a contributi per le fonti rinnovabili se non per le attività di ricerca e sviluppo e, forte del fallimento della società Solyndra LLC sostenuta e “sponsorizzata” dai finanziamenti della presidenza Obama, ritiene che il fondo di 90 miliardi sia stato un vero flop e che oltre il 50% delle aziende che hanno ricevuto questo finanziamento siano fallite. Nonché è contrario al rinnovo del credito di imposta per i produttori di energia eolica.

ESTRAZIONE DI PETROLIO E GAS
Riguardo quest’argomento i due sfidanti sono entrambi favorevoli all’incremento delle trivellazioni petrolifere, anche all’interno delle aree protette e delle “Public Land”. L’unica cosa che li differenzia al riguardo è una maggior attenzione di Obama alle istanze ambientali sollevate caso per caso.

Obama ritiene che la produzione di petrolio è cresciuta ogni anno nel corso del suo mandato ma che la maggior parte dei guadagni siano andati a chi faceva estrazione su terreni privati. Inoltre che le licenze di estrazione ritirate riguardavano soggetti che non avevano alcuna intenzione di estrarre ma che le tenevano e usavano esclusivamente come strumento per speculare sui prezzi del petrolio.

Per quanto riguarda il gas Obama si dichiara favorevole al Fracking, la tecnologia oggetto di grandi discussioni che tramite il processo di fatturazione idraulica permette di aumentare il tasso di recupero del gas nei giacimenti, ricordando che l’EPA, l’agenzia per la protezione dell’ambiente americana ha fornito nel periodo della sua presidenza i primi regolamenti per il settore e che questa dovrà continuare a disciplinare e controllare questa pratica per eliminare qualsiasi rischio ambientale.

Romney rilancia il ruolo strategico delle trivellazioni soprattutto quelle off-shore per lo sfruttamento di nuovi giacimenti concentrando la propria attenzione soprattutto sulle coste della Virginia e della Carolina. In più propone per le estrazioni sul terreno una sorta di federalismo energetico per cui saranno i singoli Stati i veri controllori.

Romney è anche lui a favore del Fracking e al riguardo ritiene che debbano essere i i singoli Stati, e non l’EPA, a disciplinarne le procedure.

NUCLEARE E CARBONE
In questi due settori Obama e Romney sono sostanzialmente d’accordo, infatti sostengono entrambi lo sviluppo dell’energia nucleare, riguardo alla quale Obama nel corso di questi anni ha rivisto in modo considerevole la propria posizione inizialmente contraria.

Anche per il carbone sono entrambi favorevoli al cosiddetto “carbone pulito” e alla sperimentazione del Carbon capture storage ovvero il confinamento geologico dell’anidride carbonica (CO2) prodotta da grandi impianti di combustione

RUOLO DELL’AGENZIA NAZIONALE DELL’AMBIENTE
Obama ha sin dall’inizio del suo mandato riabilitato l’Agenzia che nel corso della precedente amministrazione Bush era in buona parte stata limitata nella propria attività se non addirittura bloccata. Dopo il fallimento della legge sul clima nel 2010 l’agenzia ha comunque proposte regole per limitare le emissioni delle centrali elettriche costringendo alcune centrali a carbone alla chiusura perché troppo inquinanti.

Romney ha, sulla scia di quanto già indicato dal George Bush, imputato all’Agenzia un ruolo troppo invasivo indicandola come un ostacolo allo sviluppo economico degli Stati Uniti e si propone di rimuovere i “regolamenti anticarbone”.

FORUM SOCIALE MONDIALE – TUNISI 2013

APERTURA DELLE ISCRIZIONI PER IL FORUM SOCIALE MONDIALE A TUNISI

rappresentanti del Forum Sociale Maghrebino e del Segretariato Tunisino saranno a Firenze 10+10 dall’8 all’11 novembre

per promuovere la mobilitazione e la partecipazione italiana e europea

A seguito della dichiarazione del Comitato di Coordinamento del Forum Sociale Maghrebino sul Forum Sociale Mondiale 2013 a Tunisi,

al calendario adottato nella stessa dichiarazione

e per fare del Forum Sociale Mondiale del 2013 un successo:

 

il Comitato di Coordinamento del Forum Sociale Maghrebino e il Segretariato Tunisino per il FSM 2103

invitano movimenti, sindacati, organizzazioni e gruppi di attivisti della società civile di Tunisia, Maghreb, Mashrek, del continente Africano,

della regione Mediterranea e di tutto il mondo

a iscriversi nel processo di registrazione delle organizzazioni e delle proposte di attività

 

Da oggi al 1° dicembre, potete iscrivere la vostra organizzazione e proporre attività (seminari, gruppi di lavoro, incontri)

che avete intenzione di organizzare durante il prossimo FSM 2013.

Vi ricordiamo che alla fine della fase di registrazione delle proposte potrete,

durante la fase di agglutinazione dal 1° dicembre al 15 gennaio,

far convergere la vostra proposta con quelle di altri gruppi, reti e campagne, prima della registrazione definitiva e del pagamento.

Vi invitiamo a visitare da oggi in poi il sito ufficiale del FSM 2013:  http://www.fsm2013.org/registration 

Se avete difficoltà di accesso a internet, o conoscete organizzazioni che hanno bisogno di registrarsi ma non hanno internet, vi consigliamo di contattare il segretariato del comitato organizzativo a Tunisi secretariat@fsm2013.org

In caso di difficoltà tecniche riguardo alla registrazione consultare webmaster@fsm2013.org

Trovate anche, nella sezione Commissioni del sito, la lista delle commissioni di preparazione alle quali potete partecipare iscrivendovi nelle rispettive mailing list. Visitare a proposito: http://www.fsm2013.org/commissions

Ci impegniamo, tutti insieme, per la riuscita del 12° Forum Sociale Mondiale a Tunisi, dal 26 al 30 marzo

per un altra Tunisia, un altro Maghreb Mashrek, un’altra Africa e un altro mondo!

Perché i fiori della primavera fioriscano, perché un’altro mondo sia possibile.

Per il segretariato Tunisino

Per il comitato di coordinamento del Forum Sociale Maghreb

Abderrahman Hedhili

Tel : 00 216- 97456541 Mail : secretariat@fsm2013.org http://www.fsm2013.org

Green Building: quando la sostenibilità fa rima con lavoro

Il 19 ottobre è stato presentato ufficialmente il primo rapporto dell’Osservatorio sulla edilizia sostenibile della Fillea CGIL e Legambiente. Stimati 600 mila posti di lavoro puntando su riqualificazione energetica e messa in sicurezza.

SCARICA IL RAPPORTO QUI: Innovazione e sostenibilità nel settore edilizio

Oltre 2 milioni di abitazioni risultano vuote; 6 milioni di italiani vivono in zone ad alto rischio idrogeologico e 3 milioni di persone abitano in zone ad alto rischio sismico. Il patrimonio edilizio esistente è costituito in massima parte da case costruite male, nelle quali fa freddo d’inverno e caldo d’estate malgrado la spesa energetica delle famiglie sia cresciuta del 52% in 10 anni.

Ma uscire da questa impasse è possibile. Dobbiamo rendere più vivibili le città, ammodernare l’edilizia esistente usufruendo delle nuove tecnologie per migliorare la qualita’ della vita e la sicurezza delle persone che ci abitano e ci lavorano, diminuire le spese di gestione delle case; possiamo rendere più belli e funzionali i quartieri recuperando l’esistente creando così nuovi posti di lavoro duraturi e qualificati.

Contro la crisi, Fillea Cgil e Legambiente propongono un nuovo modello per il settore delle costruzioni e nel primo rapporto congiunto su Innovazione e sostenibilità nel settore edilizio “Costruire il futuro” – che sarà presentato oggi al salone internazionale dell’edilizia (SAIE) di Bologna – espongono un’ampia analisi della situazione dell’edilizia sul territorio e degli strumenti che in molti casi Regioni, Province e Comuni, hanno messo in campo per introdurre nuovi criteri energetici e ambientali, andando spesso anche oltre la normativa in vigore.

In Italia, quindi, ci troviamo in una evidente situazione di stallo nelle costruzioni; in Europa intanto, le direttive per la certificazione e riqualificazione energetica degli edifici, nonché gli obblighi per il nuovo costruito a partire dal 2019, si strutturano in una strategia coerente (il cosiddetto 20-20-20) che in questi anni ha posto il vecchio continente all’avanguardia mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici. Tutto questo indica una nuova strada da percorrere: quella della riqualificazione, del recupero dell’esistente e dell’innovazione tecnologica in edilizia.

Per Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil “in questi anni in Italia sono spariti 500mila posti di lavoro nell’intero settore delle costruzioni, la metà direttamente nel comparto dell’edilizia. Una ecatombe figlia della tempesta perfetta scatenata dall’insieme di due fattori di crisi: uno congiunturale scatenato dalla bolla immobiliare del 2008, ed uno strutturale, cioè la crisi di un modello industriale vecchio ed obsoleto, che non ha saputo capitalizzare gli anni di crescita del settore per rafforzare la qualità delle imprese, sia in dimensione che in investimenti finalizzati alla ricerca ed innovazione dei materiali e delle filiere. Per questo la crisi delle costruzioni in Italia è più forte che in altri paesi. Chi ha saputo per tempo intervenire sui modelli industriali ed innovarli nella direzione della sostenibilità si è difeso meglio dalla crisi”.

Per Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente “oggi possiamo uscire da questa drammatica situazione puntando su due obiettivi: l’innovazione, perche c’è bisogno di una profonda trasformazione delle pratiche progettuali e costruttive se si vuole realizzare sul serio un miglioramento della sostenibilità ambientale nelle costruzioni e in particolare delle prestazioni energetiche, tale da ridurre consumi e bollette delle famiglie, e la messa in sicurezza del patrimonio edilizio in un territorio tanto fragile quanto a rischio a nche per la costruzione di nuove case legali o abusive. Se consideriamo che il 60% degli edifici a prevalente uso residenziale è stato realizzato prima dell’introduzione della legge antisismica (1974), si comprende la dimensione del rischio che si corre e dove si deve prioritariamente intervenire, creando così  tanti nuovi posti di lavoro, qualificati e duraturi”.

Diventa necessaria una gestione strategica dell’intero processo di recupero e rinnovamento del patrimonio edilizio attraverso l’applicazione di un mix di soluzioni progettuali tecnologiche e impiantistiche sostenibili che servano anche a metterlo in sicurezza (parliamo di 11 milioni di edifici ad uso residenziale per 28 milioni di abitazioni), ma con caratteristiche diverse e priorità di intervento per i rischi sismici e idrogeologici, per il degrado edilizio e anche sociale, distribuiti in modo differente in ogni parte del Paese.

Questi ragionamenti riguardano da vicino la crisi economica che stiamo attraversando e per questo, Fillea e Legambiente hanno individuato una serie di interventi mirati al sostegno dell’economia sostenibile delle costruzioni, indicando un processo (già in corso in tante città) in continua evoluzione con particolare attenzione alle prestazioni energetiche degli edifici, allo sviluppo delle rinnovabili e alla certificazione energetica. Ciò porterebbe ad un innalzamento della qualità della vita dei cittadini e ad un aumento dell’occupazione pari a 600 mila nuovi posti di lavoro nei prossimi 10 anni, che possono arrivare, considerando l’indotto della filiera, a circa un milione.

Il primo intervento riguarda la necessità di una regia nazionale che dia certezze alla prospettiva della innovazione energetica in edilizia. In attuazione delle Direttive europee si devono fissare i riferimenti normativi che valgano su tutto il territorio nazionale, e che le Regioni possono dettagliare ma senza vuoti normativi o contraddizioni. In particolare è fondamentale un intervento in materia di prestazioni energetiche e di certificazione, perché le classi degli edifici devono diventare un riferimento imprescindibile e credibile per tutti gli operatori. E poi un intervento che dia certezze rispetto alle regole sull’accreditamento dei certificatori, sui controlli e le sanzioni.

Il secondo intervento riguarda gli edifici di nuova costruzione, dove occorre accompagnare il miglioramento delle prestazioni previsto dalle Direttive Europee stabilendo da subito un obbligo minimo di Classe A per tutti i nuovi interventi. Questo obiettivo, oggi a portata di mano da un punto di vista economico e tecnico, permetterebbe di preparare il settore delle costruzioni alla scadenza del 1° gennaio 2021. E permetterebbe di azzerare le bollette delle famiglie, anche grazie al contributo delle fonti rinnovabili ai fabbisogni elettrici e termici già previsto dalle Direttive.

Il terzo intervento concerne la riqualificazione del patrimonio edilizio per dare finalmente certezze sugli interventi e sugli strumenti di incentivazione. Occorre rendere permanenti le detrazioni fiscali del 55% per gli interventi di efficienza energetica e allargarlo alla sicurezza statica. Ma soprattutto, occorre introdurre un nuovo incentivo per promuovere interventi di retrofitting e messa in sicurezza di interi edifici.

Il quarto intervento riguarda il patrimonio edilizio pubblico, per superare il Patto di stabilità nel caso di interventi che migliorino l’efficienza energetica. Agli Enti locali deve essere data la possibilità di realizzare questi interventi direttamente o attraverso Esco, in tutti i casi in cui è dimostrata la riduzione complessiva di spesa realizzata grazie agli interventi e la fattibilità tecnica e finanziaria dell’intervento.

Il quinto obiettivo riguarda la messa in sicurezza del patrimonio edilizio con la necessità di aggiornare l’apparato normativo per gli aspetti di sismica e statica. Occorre intervenire sugli incentivi per premiare chi realizza interventi sia energetici che statici e introdurre il libretto del fabbricato.

Infine, si deve intervenire rispetto all’impatto ambientale del settore delle costruzioni, riducendo il prelievo di materiali da cava. E’ possibile farlo premiando nei capitolati di appalto i materiali provenienti da inerti riciclati, e rivedendo i costi di smaltimento in discarica e di prelievo da cava come si è fatto negli altri Paesi europei dove si sono ridotte le cave e aumentati i posti di lavoro.