Rinnovabili: il sole è ormai competitivo

di Mario Agostinelli, 15 luglio 2013

Tenere un blog tematico come questo è straordinariamente interessante, perché obbliga al confronto, ad arricchirsi dei commenti, ad acquisire nuove conoscenze che l’interattività dello strumento mette a disposizione in tempo reale. La caratteristica di un post “pubblico”, accessibile a chiunque e non indirizzato a un circuito chiuso, è tale da non consentire all’autore di rispondere se non indirettamente alle osservazioni che vengono pubblicate in successione. Di conseguenza, le risposte e le integrazioni ad alcuni argomenti, oggetto di discussione o di critica da parte dei lettori, possono ritrovarsi in note come quelle che seguono, che, pur mantenendo la struttura di un’informazione generale, sono sollecitate dalle osservazioni – di cui sono grato – registrate in coda agli articoli.

Ci sono aspetti della indubitabile marcia delle rinnovabili a sostituzione delle fonti fossili che, suffragati dai dati, vanno rimarcati come fatti incontrovertibili (v. anche www.energiafelice.it).

1) La grid parity per il fotovoltaico

In Italia, rileva uno studio di Eclareon, la grid parity nel settore domestico è stata raggiunta su tutto il territorio nazionale. Gli ingredienti che l’hanno permessa sono un calo del costo degli impianti del 18,2% l’anno dal 2009 al 2013, una buona radiazione solare particolarmente accentuata al Sud, e prezzi dell’elettricità in bolletta piuttosto elevati. Anche non tenendo conto delle detrazioni del 50% dei costi sostenuti per installare gli impianti  misura che è valida peraltro solo per i sistemi fino a 20 kW  non occorrono più incentivi per recuperare l’investimento che rende autonomi dalla fornitura tradizionale. Solo se lo scambio sul posto fosse riformato in maniera sfavorevole e se si rendesse concreta la proposta dell’Authority di far pagare gli oneri di sistema anche sull’energia autoconsumata, allora si allontanerebbe nel tempo la parità. Ma il gap sorgerebbe questa volta per scelte politiche, non per “distorsioni” introdotte dall’esterno nel mercato.

2) Benefici complessivi per l’economia:

Ricordiamo che per l’Italia il saldo import-export nel settore energetico è stato nel 2012 pari a -63 miliardi di euro, mentre quello di tutti gli altri comparti ha raggiunto lo scorso anno un valore positivo pari a 74 miliardi di euro. Si calcola che l’incremento della quota di energia rinnovabile al 20% dei consumi energetici finali nel 2020 – obbiettivo UE  garantirà alla fine di questo decennio un risparmio di una decina di miliardi/anno. Ora lo sforzo già fatto ci consente di risparmiare circa 7 miliardi. Gli incentivi per il fotovoltaico ammontano a 6,5 miliardi e non cresceranno oltre. Già ho trattato nel post precedente gli effetti benefici e crescenti della produzione fotovoltaica sulla riduzione delle tariffe da noi pagate in seguito al meccanismo della borsa elettrica. Purtroppo, riguardo all’insieme delle energie “verdi”, mentre alcune tecnologie sono esportate, per la maggior parte l’Italia è un importatore netto. Per di più, siamo in ritardo sull’approntamento di sistemi di accumulo, che renderebbero più efficiente la rete e ottimizzerebbero l’immissione di fonti intermittenti. Questo è anche il risultato di una politica industriale dei Governi poco attenta all’innovazione ed è qui che occorrerebbe concentrare gli interventi.

3) Il ritorno energetico

L’energia spesa per la produzione di pannelli solari torna entro 4 anni. Come si può riscontrare sul sito del dipartimento energia USA l’energia investita per produrre un impianto fotovoltaico nel 2013, componenti e installazione compresa, va dal 13 al 3% di quella che il sistema produrrà in 30 anni. E’ vero che l’industria fotovoltaica è altamente energivora. Ma, come spiega uno studio della Stanford University, con l’aumento della potenza installata e il miglioramento dell’efficienza nei processi produttivi, gli impianti in funzione producono più di quanto venga consumato per farne di nuovi.

4) Lo spazio occupabile sull’edificato

Con la resa attuale, alle latitudini in cui si trova il nostro Paese, per soddisfare col sole metà della domanda elettrica prevista al 2050 occorrerebbe un quadrato di 50 Km di lato. Una superficie distribuibile almeno per oltre la metà su edifici e coperture già esistenti. Per fare un confronto con la logica dei grandi impianti centralizzati e rimanendo nel campo delle rinnovabili, si pensi che ENEL Greenpower prevede 5 centrali a biomasse per un totale di 150 MW, che necessiteranno, secondo la FIPER, di circa 2.250.000 ton/annue di biomassa legnosa corrispondenti a circa 56.250 ettari di terreni coltivabili, corrispondenti a una fascia di terra di 100 metri da Roma a Milano, per fornire biocombustibile agli impianti.

5)  I vantaggi occupazionali

Secondo il ministero dello Sviluppo Economico, per ogni mille euro spesi nelle rinnovabili, rimangono in Italia tra i 500 e i 900 euro, mentre un investimento di pari importo sulla produzione elettrica da gas dà al territorio solo 200 euro, mentre i rimanenti 800 euro vanno a beneficio di economie estere.

Secondo il MIT, investendo 1 milione di dollari nelle differenti filiere energetiche si possono ottenere: 5 occupati per il gas naturale, 7 per il carbone, 12 per le smart grid, 13 per l’eolico, 14 per il solare, 16 per le biomasse, 17 per la coibentazione degli edifici, 22 per il trasporto delle merci su ferrovia.

In Italia si valuta che nelle rinnovabili siano occupati 100.000 addetti, ma non esiste un rilievo preciso. In Germania gli occupati rigorosamente censiti per fonte sono 360.000. Inutile rimarcare quale spazio occupazionale sia disponibile. Eppure, le incerte politiche governative degli ultimi anni hanno provocato nel fotovoltaico una caduta del 22% (secondo stime, da circa 42 mila nel 2011 a 34 mila nel 2012).

In definitiva, perché ostacolare e non sostenere la rivoluzione energetica in corso?

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