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Documenti del convegno “Laudato si’ e Cop21”

Giovedì 3 Marzo si è tenuto a Milano il Convegno:
“Laudato si’ e Cop21: tra il dire e il…decarbonizzare”.  Un bilancio dopo il messaggio dell’Enciclica e le conclusioni della conferenza di Parigi.

Ecco alcuni dei documenti presentati al Convegno e consultabili:

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Appello al Governo sulla Strategia Energetica Nazionale

Appello al Governo sulla Strategia Energetica Nazionale

FIRMA L’APPELLO >>>

Siamo un gruppo di docenti e ricercatori dell’Università e dei Centri di ricerca di Bologna. In virtù della conoscenza acquisita con i nostri studi e la quotidiana consultazione della letteratura scientifica internazionale, sentiamo il dovere di esprimere la nostra opinione sulla crisi energetica e sul modo di uscirne.

Abbiamo quindi scritto al Presidente del Consiglio ed ai Ministri competenti una lettera aperta nella quale critichiamo la politica energetica del Governo e presentiamo proposte alternative.

Chiediamo ai colleghi delle Università e Centri di ricerca di altre sedi e a tutti i cittadini interessati di firmare questo appello nella apposita sezione (firma).

Definire le linee di indirizzo per una valida Strategia Energetica Nazionale è un problema complesso, che deve essere affrontato congiuntamente da almeno cinque prospettive diverse: scientifica, economica, sociale, ambientale e culturale. I punti fondamentali dai quali non si può prescindere sono i seguenti:

1) E’ necessario ridurre il consumo eccessivo e non razionale di energia. Sia i singoli cittadini che le aziende devono essere indotte  a consumare di meno, non solo per i vantaggi economici che ne derivano, ma anche perché il consumo di energia è collegato al consumo di materiali e alla produzione di rifiuti. L’obiettivo fondamentale della riduzione del consumo di energia deve essere perseguito mediante un aumento dell’efficienza energetica e, ancor più, con la creazione  di una cultura della parsimonia, principio di fondamentale importanza per vivere in un mondo che ha risorse limitate.

2) La fine dell’era dei combustibili fossili è inevitabile e ridurne l’uso è urgente per limitare l’inquinamento dell’ambiente e per contenere gli impatti dei cambiamenti climatici che potrebbero avere, in alcuni casi, conseguenze catastrofiche. Ridurre il consumo dei combustibili fossili, che importiamo per il 90%,  significa anche ridurre la dipendenza energetica del nostro paese da altre nazioni e migliorare la bilancia dei pagamenti.

3) E’ necessario promuovere, mediante scelte politiche appropriate, l’uso di fonti energetiche alternative che siano, per quanto possibile, abbondanti, inesauribili, distribuite su tutto il pianeta, non pericolose per l’uomo e per l’ambiente, capaci di sostenere il benessere economico, di colmare le disuguaglianze e di favorire la pace.

4) Allo stato attuale, le possibili fonti di energia alternative ai combustibili fossili sono l’energia nucleare e le energie rinnovabili.

5) L’energia nucleare non ha i requisiti elencati al punto 3 e, proprio per questo, il suo sviluppo incontra serie difficoltà di ordine economico, tecnico, sociale, sanitario e politico; tanto che su scala globale, dopo aver raggiunto un culmine di 635 Mtep (tep = tonnellate equivalenti di petrolio) nel 2006, il consumo di energia nucleare è diminuito a 563 Mtep nel 2013 e non c’è evidenza di un’inversione di tendenza.

6) Le energie rinnovabili non sono più una fonte marginale di energia, come molti vorrebbero far credere: oggi producono il 22% dell’energia elettrica su scala mondiale, il 40% in Italia. Per ottenere il restante 60% dell’energia elettrica che serve in Italia, basterebbe coprire con pannelli fotovoltaici lo 0.5% del territorio, molto meno dei 2000 km2 occupati dai tetti dei 700.000 capannoni industriali e dalle loro pertinenze. Su scala mondiale, il fotovoltaico fornisce energia pari a quella prodotta da 23 centrali, nucleari o a carbone, da 1000 MW e l’eolico pari a quella di 85 centrali; in Italia, l’energia elettrica prodotta dal fotovoltaico è pari a quella prodotta da due centrali da 1000 MW.

7) La transizione dai combustibili fossili e dal nucleare alle energie rinnovabili sta già avvenendo, sia pure con tempi diversi, in tutti i paesi del mondo. In particolare, l’Unione Europea (UE) ha già da tempo messo in atto una strategia basata sui punti sopra elencati (il Pacchetto Clima Energia 20 20 20, l’Energy Roadmap 2050).

L’Italia non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e le tecnologie solari altro non sono che industria manifatturiera. Quindi l’Italia – Paese povero di materie prime che storicamente ha basato sull’industria manifatturiera e sul commercio i suoi periodi di prosperità economica e prominenza internazionale – ha un’occasione straordinaria per trarre enorme vantaggio dalla transizione energetica in atto, uscendo dalla drammatica crisi economica in cui si è avvitata. E’ del tutto evidente che il futuro economico, industriale e occupazionale del nostro Paese deve essere basato sullo sviluppo delle energie rinnovabili e non su quello di risorse energetiche convenzionali che non possediamo in quantità significative.

Purtroppo la Strategia Energetica Nazionale, che l’attuale governo ha ereditato da quelli precedenti e che apparentemente ha assunto, non sembra seguire questa strada. In particolare, il recente decreto Sblocca Italia agli articoli 36-38, oltre a promuovere la creazione di grandi infrastrutture per permettere il transito e l’accumulo di gas proveniente dall’estero, facilita e addirittura incoraggia le attività di estrazione  di petrolio e gas in tutto il territorio nazionale: in particolare, in aree densamente popolate come l’Emilia-Romagna, in zone dove sono presenti città di inestimabile importanza storica, culturale ed artistica come Venezia e Ravenna, in zone fragili e preziose come la laguna veneta e il delta del Po e lungo tutta la costa del mare Adriatico dal Veneto al Gargano, le regioni del centro-sud e gran parte della Sicilia (http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/cartografia/tavole/titoli/titoli.pdf)

Il decreto attribuisce un carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi, semplifica gli iter autorizzativi, toglie potere alle regioni e prolunga i tempi delle concessioni con proroghe che potrebbero arrivare fino a 50 anni. Tutto ciò in contrasto con le affermazioni di voler ridurre le emissioni di gas serra e, cosa ancor più grave, senza considerare che le attività di trivellazione ed estrazione ostacolano e, in caso di incidenti, potrebbero addirittura compromettere la nostra più importante fonte di ricchezza nazionale: il turismo. D’altra parte il decreto non prende in considerazione la necessità di creare una cultura del risparmio energetico e più in generale della sostenibilità ecologica e non semplifica le procedure che ostacolano lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Mentre fonti governative parlano di un “mare di petrolio” che giace sotto l’Italia, secondo la BP Statistical Review del giugno 2014 le riserve di combustibili fossili sfruttabili nel nostro paese ammontano a 290 Mtep. Poiché il consumo di energia primaria annuale è di 159 Mtep, queste ipotetiche riserve corrispondono al consumo di meno di due anni. Spalmate su un periodo di 20 anni, ammontano a circa il 9% del consumo annuale di energia primaria. Si tratta quindi di una risorsa molto limitata, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può apportare.

Il mancato apporto di questa risorsa marginale potrebbe essere facilmente compensato, senza il rischio di creare problemi, riducendo i consumi. Ad esempio, come accade nei Paesi del Nord Europa, mediante una più diffusa riqualificazione energetica degli edifici, la riduzione del limite di velocità sulle autostrade, incoraggiando i cittadini ad acquistare auto che consumino e inquinino meno, incentivando l’uso delle biciclette e dei mezzi pubblici, trasferendo gradualmente parte del trasporto merci dalla strada alla rotaia o a collegamenti marittimi e, soprattutto, mettendo in atto una campagna di informazione e formazione culturale, a partire dalle scuole, per mettere in luce i vantaggi della riduzione dei consumi individuali e collettivi e dello sviluppo delle fonti rinnovabili rispetto al consumo di combustibili fossili e ad una estesa trivellazione del territorio.

L’unica via percorribile per stimolare una reale innovazione nelle aziende, sostenere l’economia e l’occupazione, diminuire l’inquinamento, evitare futuri aumenti del costo dell’energia,  ridurre la dipendenza energetica dell’Italia da altri paesi, ottemperare alle direttive europee concernenti la produzione di gas serra e custodire l’incalcolabile valore paesaggistico delle nostre terre e dei nostri mari consiste nella rinuncia definitiva ad estrarre le nostre esigue riserve di combustibili fossili e in un intenso impegno verso efficienza, risparmio energetico, sviluppo delle energie rinnovabili e della green economy.

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21-22 Luglio: Nuove Rigenerazioni Urbane a Milano

Milano fa i conti con l’abitare sostenibile. Dibattito Pubblico

Informi per stimolare cambiamenti concreti nei comportamenti.
Il ruolo della stampa. Comunicare le buone pratiche fa notizia?
Milano – Triennale 21/22 Luglio 2015

Il ruolo della Stampa nell’informazione

Un mondo dell’informazione in forte contraddizione: da un lato stiamo assistendo all’aumento “esponenziale” dei lettori di giornali online “classici” e dall’altro al declino della carta stampata e delle notizie generaliste.

Se nel passato recente il giornalista si occupava di costruire e confezionare l’informazione facendo da tramite tra la sfera pubblica e i cittadini, oggi tale ruolo sembra venire meno: “tutta colpa” dell’accesso facile al web che ha portato a sua volta alla concorrenza della stampa gratuita, dei siti aggregatori di contenuti come Google News o Yahoo! Notizie e dei social network.

I mezzi di comunicazione di massa, accessibili a un pubblico indefinito, hanno ormai portato a regime il “giornalismo partecipato”: il “citizenreporters”, informatore dal potere aumentato dalle possibilità date dalla Rete, è ormai un collaboratore fisso delle testate giornalistiche (alla faccia di precari e free lance sottopagati). Sono gli stessi “media dominanti”, a chiedere costantemente agli internauti di postare foto, video e commenti su avvenimenti di cui sono testimoni. Perché questo è il modo “più veloce” per rispondere alla “dittatura dell’urgenza” di questo millennio.

Infatti, pare proprio che l’opinione della gente comune abbia iniziato ad avere un certo valore per la comunità, al contrario del passato in cui il sapere era custodito da una cerchia ristretta di professori, professionisti ed esperti. E così l’attenzione dell’opinione pubblica verso il giornalista, prima unico incaricato di riportare i fatti alla luce, in qualche modo si è allentata a favore di una partecipazione attiva al dibattito pubblico.

Nel giornalismo di oggi, c’è una discrasia tra la domanda e l’offerta: meno del 15% di ciò che i giornali pubblicano interessa davvero ai loro lettori. Il crollo della credibilità dei giornali è una delle cause della loro crisi, la loro perdita di centralità nella formazione dell’opinione pubblica. La gente non acquista più i giornali per informarsi. Li acquistano per capire, per mettere a confronto, per analizzare, per esaminare il dritto e il rovescio della realtà.

I lettori continuano a reclamare il loro diritto a una informazione affidabile e di qualità. Ma non si dimentichi l’essenziale: amano leggere delle storie. Il giornalismo non consiste solamente nel fornire delle statistiche, delle cifre e dei fatti, ma nell’elaborare e costruire, a partire da questa materia prima, una narrazione ricca di tutti gli ingredienti – lessicali, retorici, grammatici – delle grandi storie di sempre.

Cosa fa notizia oggi, e tu cosa scegli?

Le Buone pratiche fanno notizia?
Se si vuole si può fare, o far fare, per esempio, un passo avanti lasciando intorno a noi la scia pulita dell’altruismo e della solidarietà. Raccontando anche di una bella Italia, in questo caso di una bella Milano, capace di remare anche controcorrente, spina dorsale di quella società che vuole ricostruire i ponti per una migliore convivenza, senza rassegnarsi alla decadenza di quelli che chiamiamo ancora, senza vergognarcene, valori.

Fare i conti con l’abitare sostenibile a Milano

Vuole rappresentare un modello di diffusione delle idee non governato dalla commercializzazione; si può definire come “un contenuto, una conoscenza prodotta e/o acquisita e messa in condivisione all’interno della comunità non per fini di profitto ma con lo scopo di renderlo disponibile a ulteriori miglioramenti, distribuzione e confronti da parte di altri”. Abitare sostenibile è un tema trasversale di interesse collettivo che facilita il rapporto di comunità tra i cittadini.

Triennale – 21 luglio 2015 ore 14,30/18,30
Dibattito pubblico con i Media Ambientali

Se ne discute con:
Andrea Poggio Vicedirettore generale Legambiente
Andrea Lavorato Vicedirettore Assimpredil Ance
AgimeGerbetiRegulatory Affairs Unit GSE (Gestore Servizi Energetici)
Serena Rugiero Direttore scientifico osservatorio Energia e Innovazione Ires
Gianni Silvestrini Direttore scientifico Quale Energia?
Sergio Ferraris Direttore QualeEnergia, giornalista scientifico
Marco Moro Direttore editoriale di Edizioni Ambiente
Roberto Rizzo Giornalista scientifico
Paolo Hutter Direttore Ecodallecittà
Antonio DisiResp. Unità Tecnica Efficienza Energetica ENEA
Giacomo Lev Mannheimer IBL Istituto Bruno Leoni
Piero Pelizzaro Esperto resilienza Climalia

Moderano: Giovanni Pivetta Responsabile progetto Habitami
Cristiana Ceruti Responsabile Habitami Network
Coordina: Sergio Ferraris Direttore QualeEnergia, giornalista scientifico

Triennale – 22 luglio 2015 ore 10,00/14,30
Dibattito pubblico con i Media di Milano

Andrea Poggio Vicedirettore generale Legambiente
Andrea Lavorato Vicedirettore Assimpredil Ance
Ulrich Klammsteiner Agenzia CasaClima
Leo Spinelli Segretario Sicet Milano
Stefano Chiappelli Segretario Sunia Milano
Maria Berrini Presidente Amat Comune di Milano
Bruno Villavecchia Direttore Direttore Ambiente Energia Amat Milano
Mario Agostinelli, Presidente Energia Felice
Silvio Boccalatte IBL Istituto Bruno Leoni
AgimeGerbetiRegulatory Affairs Unit GSE (Gestore Servizi Energetici)
Serena Rugiero Direttore scientifico osservatorio Energia e Innovazione Ires
Sergio Ferraris Direttore QualeEnergia, giornalista scientifico
Marco Moro Direttore editoriale di Edizioni Ambiente
Roberto Rizzo Giornalista scientifico

Sono stati invitati:
Ass. Claudia Maria Terzi (Regione Lombardia)
Vice Sindaco Ada Lucia De Cesaris (Comune Milano)
Ass. Pierfrancesco Maran (Comune Milano)
Ass. Daniela Benelli (Comune Milano)

Modera: Giovanni Pivetta Responsabile progetto Habitami

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Rinnovabili 2015

a cura di Roberto Meregalli

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L’Italia è uno dei paesi più avanzati in Europa e nel mondo in materia di energie rinnovabili. Ricordiamo che già lo scorso anno abbiamo raggiunto il target previsto dalla Direttiva Europea 2009/28 conosciuta volgarmente con la sigla “20-20-20”, poiché già a fine 2013 la percentuale di energia rinnovabile sul totale dei consumi finali (elettricità, calore, trasporti) era salita al 16,7% (il target italiano al 2020 è del 17%).

Quota dei consumi finali lordi di energia - Fonte GSE
Fonte GSE

Il Bilancio energetico nazionale del 2013 (ultimo disponibile) evidenzia come a livello di fonti primarie, ossia delle fonti di base che servono a produrre tutta l’energia necessaria al paese, quasi il 20% è rinnovabile, mentre nel non lontano 2007 questa quota era sotto l’8%; quindi il balzo è stato notevole.

Bilancio energetico nazionale 2013
Fonte: Ministero dello sviluppo economico

In particolare è molto elevata la penetrazione nel settore elettrico, dove la percentuale nel 2013 era pari al 31,3% rispetto al target previsto per quell’anno, del 21%.

Grafico H
Fonte GSE

E’ ormai un luogo comune la critica sui costi dell’incentivazione alle fonti rinnovabili, soprattutto al fotovoltaico, ma non è così consolidata la consapevolezza di quanto siano riuscite, queste fonti, a rivoluzionare il sistema dell’energia italiano e di quanti benefici diretti e indiretti siano portatrici. Ad esse va unito l’effetto delle misure di efficienza che negli ultimi anni sono state fatte e che hanno contribuito in maniera sostanziale a ridurre i consumi.

Il risultato, nell’elettrico, è la crisi ormai irreversibile della generazione tradizionale termoelettrica, nessuna utility potrà pensare di affrontare il futuro senza radicali cambiamenti. A pronunciare la parola “fine” alle grandi centrali del passato è stato Francesco Starace che sta ripetendo con insistenza che Enel non costruirà più alcun grande impianto: “dobbiamo stare attenti al “gigantismo”, quindi ci impegneremo in tante piccole opere evitando quelle grandi[2]. Al contrario saranno chiuse per sempre 23 centrali a carbone, olio combustibile e gas, per un totale di 13 mila MW di potenza (vedi l’elenco completo nella cartina).

Questo per il nostro paese significa basta grandi centrali a petrolio, carbone o metano, un risultato non di poco conto sul fronte della salute e della tutela dell’ambiente, da non dimenticare in tema di bilanci.

Il rapporto annuale sui comuni rinnovabili, pubblicato nei giorni scorsi da Legambiente, conferma l’immagine di un paese che, pur tra mille contraddizioni, crede sia intelligente ricavare l’energia necessaria al nostro stile di vita, da acqua, sole, vento, geotermia e biomasse. In tutti gli 8.047 comuni italiani (tale il numero dei nel 2015), è installato almeno un impianto solare fotovoltaico e in 6.803 c’è almeno un impianto solare termico. 700 sono invece i comuni dell’eolico, 1160 quelli dove esiste un impianto mini-idroelettrico, 2.451 quelli con una centrale a bioenergie, infine 484 i comuni della geotermia.

La crescita dei comuni rinnovabili
Rapporto “Comuni Rinnovabili 2015” di Legambiente

La crescita della generazione elettrica da FER ha prodotto molteplici ricadute anche sui mercati elettrici, quello più evidente è la diminuzione dei prezzi dell’energia elettrica in Borsa, il cosiddetto effetto peak shaving, cioè dell’abbassamento del prezzo nelle ore di punta (picco) a causa della disponibilità di elettricità fotovoltaica ed eolica (la prima produce al massimo proprio nelle ore di picco). Nel 2014 ciò si è tradotto in un risparmio di 896 milioni di euro, meno rispetto al 2013 perché più bassi i prezzi rispetto a quell’anno (di anno in anno il solare sta abbassando i prezzi e, di conseguenza, i risparmi che riesce a produrre, come mostrato nel grafico che segue).

Meno evidente è la riduzione di fossili che abbiamo bruciato, nel 2014 ben 16,6 miliardi di metri cubi di gas metano in meno rispetto al 2007:

Meno fossili importati significa minor deficit nella bilancia dei pagamenti; nel 2012 per la voce energia, il saldo negativo era di circa 63 miliardi, nel 2014 si è contratto a 43 miliardi (dati Istat), il calo del prezzo del petrolio che ha interessato la seconda parte dell’anno si è tradotto in un risparmio di 5,5 miliardi, ma quasi tre volte tanto è stato il risparmio sulle importazioni di gas.

Risultato finale della prima rivoluzione energetica è che l’Italia è oggi il primo paese al mondo per percentuale di generazione fotovoltaica che copre la domanda elettrica: 7,9% davanti a Grecia (7,6%) e Germania (7%).

Fine della prima rivoluzione

Ma la grande crescita delle rinnovabili è terminata poiché la fine degli incentivi nel fotovoltaico (nel 2013) e il sistema delle aste per le altre fonti ha ostacolato ulteriori sviluppi. In particolare, per il fotovoltaico l’approvazione del cosiddetto spalma-incentivi ha bloccato il settore spingendo le imprese all’estero. Il Rapporto Irex Annual Report 2015 mostra come l’industria italiana delle rinnovabili abbia spostato i suoi investimenti olteconfine con circa 2,5 miliardi di investimenti, in prevalenza nell’eolico, soprattutto nelle Americhe. Gli investimenti fuori dai confini nazionali sono stai nel 2014 l’88% della potenza, ossia l’88% degli impianti costruiti dalle nostre imprese sono ubicati all’estero.

I dati sulle installazioni domestiche negli anni 2013 e 2014 sono a disposizione di tutti, il solare fotovoltaico nel 2013 era calato a 1.700 MW per le code residue del conto energia, per il 2014 non è ancora disponibile un dato definitivo ma si parla di 600 MW.

Per l’eolico il sistema delle aste ha colpito prima, dopo il record del 2012 di 1.239 MW, nel 2013 le installazioni erano crollate a 444 MW e nel 2014 a soli 107 MW.

I risultati delle aste dell’eolico sono stati fallimentari perché le regole hanno permesso la partecipazione a un sacco di società parassite, lasciando fuori le imprese che davvero volevano costruire impianti. Risultato: gran parte dei vincitori non hanno messo in piedi nulla perché per vincere hanno abbassato i prezzo sotto i valori reali, così dei vincitori delle aste del 2012 il 46% dei progetti è rimasto sulla carta, di quelli del 2013 addirittura il 75%. Globalmente solo il 21% degli impianti è stato realmente messo in piedi, 461 MW su più di 2.200 MW previsti (vedi tabella seguente).

A conferma della fine della “prima rivoluzione” è utile guardare i dati relativi all’elettricità prodotta nei primi quattro mesi del 2015; a domanda stabilizzata rispetto al 2014, la generazione rinnovabile è in calo perché ormai le variazioni dipendono dal meteo e il fotovoltaico non è ancora così diffuso da poter compensare la riduzione dell’idroelettrico quando al nord le precipitazioni calano come è accaduto in questo 2015.

Le fonti rinnovabili nel periodo gennaio-aprile 2015 (che includono anche circa 5,7 TWh da biomasse registrate nel termoelettrico) hanno contribuito per il 40,3% alla produzione elettrica nazionale e per il 34,5% alla domanda elettrica. Nello stesso periodo del 2014 queste due percentuali erano più elevate: rispettivamente del 43,7% e del 37,2%. Nel mese di aprile il consumo di gas nel termoelettrico è tornato a salire del 4,7% (dato GME).

Quale futuro quindi per le FER? Quali indicazioni provengono dal governo? Giovedì 7 maggio, rispondendo al question time in Senato, la ministra dello Sviluppo Economico Federica Guidi ha promesso entro la fine del mese di maggio un decreto di incentivazione alle rinnovabili non fotovoltaiche, specificando che non sarà definito alcun budget aggiuntivo, che durerà due anni e che come metodo di assegnazione si useranno ancora aste e registri.

Il tetto di spesa rimarrà fermo a 5,8 miliardi, quindi sarebbero a disposizione degli operatori i circa 100 milioni attualmente liberi sul contatore del Gse (che monitorizza il tetto raggiunto e segna 5,7 miliardi) e le risorse che potrebbero in futuro liberarsi per la fine di alcuni incentivi (i certificati verdi) sia per le revoche degli incentivi assegnati mediante aste e registri a impianti che non sono stati costruiti.

Secondo alcuni analisti (eLeMeNS) potrebbero essere a disposizione circa 250 milioni di euro più altri 150 milioni per l’anno 2016, che insieme potrebbero sostenere lo sviluppo di circa 1.500 MW di nuovi impianti rinnovabili. Ma sono solo ipotesi e molte sono le incognite (si pensi agli ex-zuccherifici convertiti a biomassa, che possono accedere direttamente agli incentivi senza preventive procedure e che potrebbero erodere pesantemente la cifra ipotizzata).

Per il fotovoltaico nulla, anzi per questa risorsa le modifiche normative che l’Autorità sta studiando per riformare la suddivisione degli oneri di rete sulle bollette potrebbe costituire un nuovo ostacolo. L’idea è quella di applicarle in toto anche agli autoconsumi (il che danneggerebbe i SEU che oggi sono la via di sopravvivenza del FV in Italia) perché, per usare le parole della Guidi “ragionando al limite, se tutti i consumatori autoproducessero l’energia di cui hanno bisogno … tutti sarebbero esenti e nessuno pagherebbe”. Vero ma nessuna politica si può basare su ragionamenti “al limite”, della serie “se tutti fossero onesti” o “se tutti avessero un lavoro”. Banalmente non esiste una strategia per la generazione distribuita per far sì che tutti autoproducano, perché non c’è alcuna convinzione alle spalle.

Ma l’evoluzione tecnologica farà quello che lo politica non farà, nel mondo la progressione è impressionante, l’annuncio di Tesla sulle batterie (con costi annunciati dimezzati rispetto ai concorrenti) ha dato una ulteriore spinta che le utility stesse stanno cavalcando (Enel ha annunciato il 12 maggio un accordo per realizzare un sistema di accumulo Tesla da 1,5 MW di potenza e 3 MWh di capacità di stoccaggio). La transizione verso un nuovo sistema energetico è in corso e non si fermerà.

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