Archivi categoria: Fonti fossili

Sequestrata la centrale a carbone di Vado Ligure

Intorno alle 13 di oggi i carabinieri sono entrati nella centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure e Quiliano e l’hanno posta sotto sequestro per attuare l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari, Fiorenza Magni,  che prevede lo spegnimento dei gruppi a carbone e il commissariamento della centrale

La Giorgi imputa a Tirreno Power si imputa l’assenza del sistema di monitoraggio a camino, che avrebbe dovuto essere realizzato entro il 14 settembre 2013, ma dice che «una volta attuate le prescrizioni la centrale potrà ripartire».

Secondo l’ordinanza c’è stato un «comportamento negligente» e «i dati sulle emissioni provenienti dalle centraline sono inattendibili». Inoltre «le indicazioni dell’Aia non sono state rispettate».

Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria, ha dichiarato: «Ben venga il sequestro e la chiusura degli impianti a carbone della centrale di Vado Ligure. Negli ultimi mesi i controlli effettuati da organismi istituzionali e la stessa Procura avevano evidenziato le problematiche sanitarie ed ambientali prodotte dalla presenza della centrale su questo territorio. Non è un caso che i capi di imputazione per gli indagati siano il disastro ambientale e l’omicidio colposo. Da anni denunciamo il rischio di convivenza tra la popolazione locale e le attività produttive legate al carbone, uno dei peggiori combustibili ancora oggi utilizzato per la produzione di energia elettrica».

Secondo Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, «il sequestro dell’impianto della Tirreno Power di Vado Ligure (Sv) rappresenta un importante passo avanti nella lotta all’inquinamento ambientale e sanitario da anni denunciato in Liguria. Ora ci aspettiamo che la centrale a carbone di Vado Ligure venga riconvertita con progetti utili e sostenibili e che possa così diventare un esempio da seguire anche per gli altri impianti industriali vecchi e inquinanti presenti ancora in Italia, che arrecano solo danni all’ambiente e alla salute dei cittadini. Dall’altra parte è però necessario che ci sia un cambio di rotta nella politica energetica di questo Paese. È ora di dire basta ai sussidi per le fonte fossili e alle politiche a favore del carbone, bisogna invece optare per una politica energetica che guardi alle fonti rinnovabili e alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano. Al premier Renzi cogliamo l’occasione per ricordare che si possono recuperare le risorse tagliando i sussidi alle fonti fossili».

Anche l’assessore all’Ambiente della Regione Liguria, Renata Briano, ha sottolineato che «le inottemperanze e le inosservanze alle prescrizioni dell’Aia ( l’autorizzazione ambientale integrata) che hanno motivato il provvedimento sono contenute in un verbale di Ispra dopo una visita fatta insieme con i tecnici di Arpal alla centrale. Il dipartimento Ambiente della Regione Liguria aveva già precedentemente inviato, fra l’altro, una serie di lettere al Ministero dell’Ambiente, in cui si chiedeva di verificare l’esistenza di inadempienze ambientali sull’Aia stessa».

I sindacati sono preoccupati per i circa 700 i lavoratori della  produzione di energia o che lavorano per la Tirreno Power di Vado Ligure e Quiliano, Maurizio Perozzi della Rsu, ha detto al Secolo XIX: «Siamo allibiti per la portata del provvedimento deciso dal tribunale e richiesto dalla Procura. Già domani chiederemo di essere ricevuti dal Prefetto Gerardina Basilicata per poi essere convocati urgentemente dal ministero. Una situazione del genere è decisamente pesante e non ce l’aspettavamo». Pino Congiu, segretario della Uilcem di Savona, però ammette che ci sono diverse cose che non vanno: «Sono i due gli aspetti che gravano sulla centrale. Uno riguarda le rigorose prescrizioni imposte dall’Aia. L’altro è la crisi che da tempo grava anche in questo settore. Non vorremmo che questa chiusura potesse avere delle conseguenze gravi anche sui lavoratori».

 

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Petrolio, gas e fracking disegnano il futuro nero dell’Italia – due video di Mario Agostinelli

Mercoledì, in coincidenza con la Giornata Mondiale dell’Ambiente, il Consiglio Regionale della  si è riunito per  verificare la fattibilità di trivellazioni esplorative finalizzate all’implementazione di un progetto di estrazione di metano nel comune di Arborea (Oristano).

Le trivellazione ad Arborea rappresenterebbero solo la fase iniziale del più ampio “Progetto Eleonora”, permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi rilasciato il 18 dicembre 2009 dalla regione Sardegna alla società Saras s.p.a., di proprietà della famiglia Moratti. L’area di ricerca si estende per 44.300 ettari all’interno della provincia di Oristano. Il Progetto Eleonora se implementato, porterebbe a nuove trivellazioni in un territorio ricco di biodiversità, rappresentando quindi un’ipoteca sull’economia e sull’ambiente di uno dei paradisi terrestri presenti in Sardegna.

Il comitato civico “No al Progetto Eleonora” che si oppone alle nuove attività estrattive, denuncia tra l’altro il rischio di implementazione dei progetti di sfruttamento attraverso nuove pratiche estrattive particolarmente distruttive, tra cui il (http://noprogettoeleonora.wordpress.com).

Su questo ultimo argomento, pubblichiamo l’intervista di A Sud a Mario Agostinelli, presidente di  Felice. Agostinelli ci illustra le criticità presentate dalla tecnica estrattiva del fracking, che consiste nel frantumare la roccia usando fluidi saturi di sostanze chimiche ed iniettati nel sottosuolo ad altissima pressione per recuperare il gas intrappolato nelle porosità delle rocce. Vi sono molti rischi impliciti nell’utilizzo di questa tecnica, nello specifico la fratturazione della crosta terrestre a profondità superiori ai 1000 metri può potenzialmente innescare pericolosi effetti sismici, inoltre i materiali fossili riportati in superficie risultano avere un contenuto di radioattività superiore a quello dei combustibili fossili estratti secondo i “metodi convenzionali”. Mentre in Europa il tema e le problematiche collegate al fracking sono emerse già da tempo, in Italia il dibattito sull’estrazione di shale gas e di shale oil è ancora nelle sue fasi iniziali.

 

A Sud intervista Mario Agostinelli: “Il Fracking: un rischio ulteriore per territori e comunità”

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=o1KOsAfc0jA

Pubblichiamo inoltre la seconda parte dell’intervista ad Agostinelli, nella quale viene delineata e analizzata brevemente la Strategia Energetica Nazionale (SEN).

A Sud intervista Mario Agostinelli: ”Cosa c’è dietro la SEN – Strategia Energetica Nazionale

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=k9A3KBejDiQ

Alla strategia istituzionale di trasformare il nostro Paese nell’hub europeo della distribuzione del gas, vogliamo contrapporre alternative più praticabili e meno invasive, che rispettino l’ambiente e tutelino i territori.

 

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Le risposte di ENEL (elusive) agli azionisti critici

Nel 2012 il 31% dei 295,8 TWh di energia elettrica prodotti da Enel è venuto dal carbone, con una crescita del 6,6% rispetto all’anno precedente. Più carbone soprattutto in Italia, tanto che nel mix dell’azienda è passato dal 34,1% del 2010 al 48,4% nel 2012, crescendo di oltre il 14,3%. Nel solo 2009 il carbone Enel ha emesso 888 tonnellate di PM10, 19.825 di NOx, 24.033 di SOx e 27,7 milioni di tonnellate di CO2, inquinamento che tradotto in danni economici fa 1,7 miliardi di euro, di cui 840 milioni di costi esterni per inquinamento, 932 per la CO2 e 3,5 milioni di danni diretti all’agricoltura. Ci sono poi i danni sanitari: gli impianti Enel, con il loro inquinamento, in quell’anno secondo gli studi commissionati da Greenpeace avrebbero provocato 366 morti premature (si veda studio). Se si considerano i piani di espansione dell’azienda, con le centrali a carbone di Porto Tolle e Rossano Calabro, in futuro si potrebbe arrivare anche a sfiorare i 500 casi di morti premature all’anno.

Eppure se un azionista del gigante energetico – che tra l’altro è per il 31,24% del ministero del Tesoro, dunque anche degli italiani – solleva dubbi sulle politiche dell’azienda su questa fonte sporca, Enel ribatte in maniera evasiva, limitandosi a ricordare che i suoi investimenti sono perfettamente legali.

Basta leggere quello che l’ex monopolista ha risposto ai numerosi quesiti che gli azionisti critici, rappresentati da Banca Etica, hanno portato all’Assemblea dello scorso 30 aprile (vedi qui e allegato in basso). Domande che chiedono conto, oltre che di investimenti controversi all’estero (come quelli nel nucleare nei paesi baltici o in grandi progetti idroelettrici in Sudamerica), anche di tutte le problematiche correlate agli investimenti in nuovi impianti a carbone o riconversioni in Italia. Interrogativi molto puntuali, cui Enel risponde in maniera piuttosto generica.

Per fare solo un esempio, sull’impianto di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia si chiede nell’ordine:

  • Qual è stato, in media, il ritorno netto di ciascun MW di elettricità prodotto da carbone nel 2012?
  • Considerato il fatto che l’impianto si trova al confine con un’area urbana, quali precauzioni si sono prese al fine di evitare, in caso di eventi accidentali, il rischio di un effetto domino?
  • Dove sono state smaltite le ceneri radioattive e quanto è alto il costo dello smaltimento?
  • Qual è l’ammontare dell’indennizzo per ciascun comune e per istituzioni e associazioni, pubbliche o private?
  • Quali sono le spese legali e processuali che la Società stima in relazione ai processi su Torrevaldaliga e quanti e quali dirigenti e impiegati, in essere o cessati, sono coinvolti nei procedimenti e per quale ragione?
  • Qual è il costo per tonnellata del tipo di carbone usato oggi?
  • Quale sarebbe il costo nel caso in cui il carbone avesse un contenuto di zolfo < 0,3%?
  • A che punto è e quanto costerà il processo per la realizzazione del “Parco dei Serbatoi”? L’area del vecchio sito è stata oggetto di una procedura di recupero in conformità alla normativa ambientale applicabile?

Risposta di Enel: “L’impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord risponde pienamente alle prescrizioni di legge e ha ricevuto l’AIA con l’autorizzazione a restare in funzione per i prossimi 8 anni. I rapporti con il Comune sono regolati da un’apposita convenzione del 2008, che regola anche l’entità del contributo da erogare al Comune stesso per la presenza dell’impianto sul territorio”. Tutto qui. Di analogo tenore le risposte alle dettagliate domande sugli altri impianti: Rossano, Porto Tolle, la Spezia. Liquidate in maniera simile anche le obiezioni degli azionisti sul perché negli impianti geotermici del Monte Amiata Enel non stia utilizzando la tecnologia con il minor impatto ambientale disponibile, quella a ciclo binario (si veda sempre allegato in basso).

“Enel non ha mancato, in questa circostanza come in altre, di dimostrarsi un’azienda reticente – commenta amaro a QualEnergia.it Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – la solfa è sempre la stessa: i nostri impianti operano entro i limiti di legge e in base alle autorizzazioni concesse. Se anche non vi fossero indagini in corso riguardo molte delle attività produttive di Enel – da Brindisi a Genova, da Porto Tolle a Civitavecchia – e seppure non vi fossero sentenze di condanna a carico dell’azienda e dei suoi vertici passate in giudicato, questo tipo di risposte vuol dire poco o nulla. Greenpeace non contesta a Enel di operare fuori dalla legge: le contesta di causare danni sanitari ed economici enormi, col carbone, in Italia e in Europa; e di contribuire consistentemente alla distruzione del clima. Per questo chiediamo a Enel di cambiare strada, di puntare sull’innovazione, sulle fonti rinnovabili e sulla promozione dell’efficienza. Quando l’azienda non risponde con questo vuoto mantra aziendale – ‘tutto è a norma, tutto è a norma!’ – risponde attraverso le carte dei suoi avvocati. Ormai gli appuntamenti che Greenpeace ha con i legali di Enel, in molti tribunali italiani, non si contano. Per noi le carte bollate non sono un problema: già abbiamo battuto Enel sul piano legale, crediamo di poterlo fare ancora. Il punto è se un’azienda controllata dallo Stato, di fronte ad accuse gravi quali quelle che noi e altri le muovono, sia autorizzata a procedere così: senza mai rispondere davvero e – semmai – querelando, denunciando, promuovendo ricorsi e avanzando enormi richieste di risarcimento. A noi sembra un segno di gravissima irresponsabilità”.

Le risposte di Enel agli azionisti critici (pdf)

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No ai sussidi per le centrali a combustibili fossili

Con il Decreto sviluppo, LEGGE 7 agosto 2012 , n. 134 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese. Pubblicato sulla GU n. 187 del 11-8-2012) all’art. 34 comma 7 bis è stato introdotto un meccanismo di incentivazione alla produzione di energia elettrica mediante fonti fossili, già definito “capacity payment”.
Il meccanismo, su cui doveva esprimersi l’autorità per l’energia elettrica ed il gas entro 90 giorni, mira a remunerare la capacità di generazione elettrica da fonti fossili installata, a fronte di un calo della domanda interna di energia elettrica e a causa della crescita della produzione di elettricità da rinnovabili.
La motivazione sarebbe quella di remunerare un presunto servizio di “flessibilità” garantito dalle centrali convenzionali, in realtà è contestato dal settore fotovoltaico e da varie associazioni non solo in quanto sottrae denaro pubblico alle rinnovabili ed al risparmio energetico, ma anche in quanto costituisce un indebito sussidio a investitori privati del settore energetico.
La causa principale di questa situazione risiede nella sovraccapacità elettrica italiana ( abbiamo una potenza elettrica installata doppia rispetto al fabbisogno di punta), determinatasi per cause derivanti da politiche industriali errate da parte delle SPA del settore, che hanno previsto una crescita continua dei consumi e che ora vorrebbero far pagare le proprie scelte industriali errate ai cittadini e alle aziende clienti con un nuovo onere in bolletta.

 

FIRMA LA PETIZIONE CONTRO I SUSSIDI!!!

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Il gas che cuoce il pianeta ma salva gli USA dalla Cina

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 21 dicembre 2012

In una serie di documentati articoli sulle pagine di Repubblica, Federico Rampini espone la strategia degli Stati Uniti guidati da Obama per mantenere l’egemonia geopolitica e militare a fronte dell’impetuosa crescita cinese. Parte decisiva di questa strategia è rappresentata dal progetto diestrazione di gas (e petrolio) dagli scisti bituminosi (shale gas), che porterebbe Usa e Canada a soppiantare il primato nelle fonti fossili dei Paesi Arabi e della Russia e a determinare così un confronto diretto nella competizione economica con Pechino da posizioni di forza.

A quale prezzo per il pianeta e per la vita futura? E dove sta il trucco per avere a basso prezzo un prodotto che richiede più energia per ottenerlo di quanta ne restituisca? Vale la pena di accennarne in questo primo post cui seguirà un altro. Sarà così più facile capire e la fiera e opportunistica opposizione di Washington e Ottawa all’adesione al protocollo di Kyoto, con conseguente affossamento della recente conferenza di Doha.

Il gas da scisto si ottiene con la fratturazione idraulica di rocce che contengono bitume disperso. Si tratta di perforazioni orizzontali ai depositi di scisti a profondità fino a 3 km, con pompaggio in grandi quantità di lubrificanti, acqua, sabbia e sostanze chimiche ad altissima pressione. Oltre alla devastazione paesaggistica, naturale e del suolo, la tecnica comporta – per le emissioni di CO2 e di metano – un alto rischio per la salute umana e per l’ambiente. Altro che effetto serra! Inoltre provoca conseguenze disastrose sulla contaminazione e l’esaurimento delle acque sotterranee e superficiali, sulla biodiversità, sul degrado del suolo e della qualità dell’aria, oltre a condizioni sismiche, accompagnate da non trascurabili livelli di materiale radioattivo naturale portato in superficie.

L’Unione Europea si sta per ora opponendo a questa pratica, nonostante la pressione dellaPolonia, che vorrebbe così ottenere un’indipendenza energetica ad ogni costo, e il pressing di grandi lobby come la Shell per avviare perforazioni di scisti marini. Senza contare anche l’attività frenetica dei rappresentanti del settore del governo canadese, che tra il settembre 2009 e luglio 2011, hanno organizzato oltre 110 eventi a Bruxelles (più di uno a settimana!).

Quale sarebbe la contropartita per Usa e Canada (con cui concorda evidentemente il governo Monti che ha proposto una Strategia Energetica nazionale (SEN) fondata sul rilancio di gas e petrolio) a fronte di un’accelerazione della crisi climatica? (N.B. Il gruppo di studio della Ue attribuisce all’effetto serra da shale gas un valore di default di 107 grammi di CO2 equivalente per megajoule (CO2eq/MJ) di carburante, rispetto alla media di 87.5g CO2eq/MJ per il petrolio).

Paradossalmente il vantaggio sta in un costo al mercato inferiore di un terzo rispetto al gas tradizionale, ottenuto artificialmente attraverso i raggiri delle banche sui prodotti derivati e su tutte le forme speculative che stanno dietro alla costruzione di pozzi e gasdotti, al varo di navi metaniere e all’attivazione di rigassificatori. Alla fine, queste operazioni sono pagate dai tagli alle pensioni, dal peggioramento delle condizioni di vita e di salute, dal dissesto della natura indotto dai cambiamenti climatici. Una bella storia moderna, un po’ sottaciuta dai media, che sa di vecchio e su cui torneremo.

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