Clima, Greta e i giovani spronano i burocrati Ue ad agire. Ma la guerra al carbone è ancora lunga

Per la settima settimana consecutiva, scolari e studenti belgi scioperano per il clima. Questa settimana sono affiancati da Greta Thunberg, la 16enne svedese dalle lunghe trecce che ha iniziato il movimento nel suo stesso Paese. Greta ha incontrato i suoi colleghi a Bruxelles e ha tenuto un discorso in presenza del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. Parafrasando il discorso dei burocrati dell’Europa ha detto: “Stiamo battendo a tappeto le scuole proprio perché noi i nostri compiti li abbiamo fatti!” Greta ha invitato i politici ad ascoltare con urgenza gli esperti del clima e insistito sul fatto che i ragazzi non stavano solo combattendo per il proprio futuro “ma per quello di ogni corpo”.

C’è un’enorme distanza tra l’“esposizione” del proprio corpo, del “vivente”, come ostenta Greta – la stessa incompatibilità dello studiare senza occuparsi dell’emergenza del futuro alle porte – e l’irrilevanza con cui i invece i governi si occupano della cura della Terra, tutti presi da un’improbabile uscita dalla crisi, inseguita con le stesse ricette che l’hanno prodotta. Sembra che il buon Juncker abbia consigliato agli studenti di risparmiare acqua quando fanno il bagno.

Si pensi, ad esempio, allo stridore tra la vivacità di quei ragazzi e la pesantezza ottusa del dibattito in corso per abbandonare la combustione del carbone nelle centrali elettriche in giro per il pianeta. Una ricerca recente della Commissione globale sull’economia e il clima evidenzia come per ottenere riduzioni di emissioni climalteranti occorrerebbe agire subito con interventi specifici su cinque settori:

1. energia
2. città
3. cibo e uso del suolo
4. acqua
5. industria

Limitiamoci in questo post alla produzione di energia. Dato che i combustibili fossili rappresentano, con un costo e un impegno economico enorme, ancora l’80% del consumo energetico globale e il 75% delle emissioni di gas serra, non solo causano grande vulnerabilità economica per i prezzi volatili del carburante o le costose importazioni di carbone, petrolio e gas, ma provocano vulnerabilità umana, con un bilancio, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, di 4,2 milioni di persone morte all’anno. La soluzione sta in una sostituzione con fonti rinnovabili e efficienza nel lasso di una transizione il più rapida possibile. Ma come abbandonare il carbone?

Le sovvenzioni e altri sostegni alla produzione e al consumo di combustibili fossili nel 2015 ammontavano ancora a 373 miliardi di dollari all’anno. La riduzione delle sovvenzioni combinata con la fissazione del prezzo di vendita per tonnellata di Co2 emessa (una vera carbon tax all’origine, estesa in modo uniforme) genererebbe 2.800 miliardi di dollari di entrate o risparmi governativi all’anno. Secondo gli analisti, in Ue il prezzo per tonnellata è più che quadruplicato negli ultimi 16 mesi – da quattro euro nel maggio 2017 agli attuali 18 euro – e dovrebbe raggiungere i 25 euro a tonnellata entro la fine del 2019. A un listino di 40 euro a tonnellata, l’Ue potrebbe risparmiare all’ambiente 400 milioni di tonnellate di Co2 e chiudere rapidamente col carbone.

Un grande peso nei consumi proviene dal settore edilizio e vengono alla luce soluzioni interessanti legate al ruolo del pubblico. In India, una società sostenuta dal governo, Energy Efficiency Services Limited, raggruppa gli appalti per accrescere i mercati dell’illuminazione e degli apparecchi ad alta efficienza con un risparmio di 35 miliardi di kilowattora. Negli Stati Uniti e in Germania, le aziende municipalizzate forniscono finanziamenti a basso costo con risultati impressionanti, anche sotto il profilo dell’occupazione: si calcolano tre volte il numero di posti di lavoro, con lo stesso investimento in combustibili fossili (le imprese di energia rinnovabile impiegano 10,3 milioni di persone in tutto il mondo).

Ma la guerra in corso sul mantenimento del carbone è tutt’altro che vinta. La Germania ritarda la chiusura fino al 2038. mentre la Cina ha ritardato o interrotto il lavoro su 151 centrali a carbone e ha creato un fondo di 15 miliardi di dollari per la riqualificazione, la riallocazione e il pensionamento anticipato di circa 5-6 milioni di persone che verrebbero altrimenti licenziate. In Italia, l’Enel ha un comportamento contraddittorio: dopo avere avviato progetti per passare dal carbone – con la chiusura di 23 centrali – a soluzioni compensative, si è aperto un conflitto interno sui tempi. Mentre il ministero dell’Ambiente prevede il 2025 come deadline, per Brindisi, Civitavecchia e Fiumesanto non sono ancora chiare le misure sostitutive da adottare e viene addossato il ritardo alle incertezze dei programmi governativi.

In una sua analisi, la Banca Mondiale (v. Bmi/Fitch: Infrastructure: Asia Nuclear, CPEC & Italy Coal) ritiene improbabile la fermata prima del 2028, a causa del ritardo nella crescita delle rinnovabili nel Paese, nella capacità di stoccaggio nel Centro-Sud e in Sicilia e nelle infrastrutture di trasmissione per Adriatico e Sardegna. Occorrerebbero 127 miliardi di euro per mantenere i tempi, ma basteranno le trecce di Greta e un risveglio dei giovani italiani a far spostare finanziamenti sul futuro del clima, anziché perforare le Alpi torinesi e portare gasdotti sulle rive pugliesi dell’Adriatico?

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