Anche Varese si mobilita contro il nucleare

E’ nato il comitato in vista del referendum di giugno: venerdì 1 aprile il primo appuntamento organizzativo

Varese si mobilita contro il nucleare. E’ nato infatti il comitato referendario locale “Vota sì per fermare il nucleare”, promosso per ora da Acli, Arci, Comitato Energia Felice, Greenpeace, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Verdi Ambiente e Società, Uisp.

Per preparare la mobilitazione delle prossime settimane, in vista del referendum del 12/13 giugno, il comitato convoca una prima riunione organizzativa, aperta a tutti gli interessati, venerdì 1 aprile alle ore 21 presso la sede provinciale delle Acli in via Speri della Chiesa.

“Quello che purtroppo sta accadendo in Giappone – dicono i promotori – è la conferma drammatica, cui nessuno avrebbe voluto assistere, del fatto che il nucleare a prova di incidenti non esiste. La sicurezza delle centrali è una favola alla quale gli italiani non crederanno. Da tempo sosteniamo che l’Italia non deve entrare in un’avventura pericolosa, impopolare e antieconomica come quella dell’atomo.”

Secondo il comitato, per il futuro del nostro Paese un modello energetico moderno, pacifico, sicuro e democratico è a portata di mano: efficienza energetica e sviluppo delle energie rinnovabili.

L’obiettivo dei sostenitori del Sì al referendum di giugno, è portare almeno 25 milioni di cittadini italiani a votare a favore dello stop all’energia atomica.

“Ce la faremo. Il successo della manifestazione nazionale dei comitati referendari a Roma sabato scorso, a cui hanno partecipato anche molti varesini, è un segnale positivo. Ora tocca a noi, e a tutti coloro che vorranno unirsi in questa battaglia necessaria, portare sul territorio l’entusiasmo e la partecipazione che si sono visti a Roma.”

Varese, 28 marzo 2011

Mail bombing per dire NO al nucleare

PER DIRE NO AL NUCLEARE RISPONDENDO ALLE RECENTI DICHIARAZIONI DI FORMIGONI

«Le centrali nucleari in Lombardia – dichiara Silvia Gadda, segretario dei GD Lombardia – che vuole così tanto il Presidente Roberto Formigoni, saranno forse pronte quando lui avrà 80 anni. Noi, che ne avremo 35 di anni, le centrali nucleari non le vogliamo».

Arriva un messaggio forte e chiaro dai Giovani democratici della Lombardia, da sempre contrari al ritorno del nucleare in Italia, perché convinti che la via da seguire sia quella di uno sviluppo con fonti energetiche “pulite”.

«Lo scorso 19 dicembre – spiega Bufalino Giuseppe, esperto delle tematiche ambientali per i giovani del PD – eravamo tantissimi a Viadana, nel mantovano, per manifestare contro la politica scellerata del governo e del presidente Formigoni sul ritorno del nucleare in Italia; il popolo italiano si è già espresso contro questa ipotesi col referendum del 1987. Abbiamo deciso, a seguito delle dichiarazioni del presidente Formigoni di venerdì scorso con cui apre all’ipotesi di costruire nuove centrali nucleari nel nostro territorio, di sommergere di e-mail gli uffici di Regione Lombardia per far sentire la nostra voce e per ribadire l’invito a chi governa la regione di meditare e considerare con attenzione la prospettiva di sviluppo energetico che vogliamo per il nostro paese e per la nostra regione». I giovani ritengono che il governatore della Lombardia dovrebbe mettersi d’accordo con se stesso: le sue recenti dichiarazioni (favorevole al nucleare in Lombardia) “cozzano” in modo evidente con quanto promesso in campagna elettorale (assolutamente contrarie al nucleare il Lombardia).

Tutti i cittadini lombardi sono invitati a inviare un’E-MAIL al presidente Formigoni e agli assessori per dire NO al Nucleare.

Nucleare e vita, due entità incompatibili

Da Il Manifesto, 20 marzo 2011

I “ripensamenti” del Governo in materia nucleare vanno valutati sulla base della confidenza carpita alla Prestigiacomo a Montecitorio: un escamotage per prendere tempo e svuotare i referendum che, al punto in cui siamo, potrebbero essere fatali per una coalizione sempre più distante dagli elettori. Bisogna essere molto lucidi e non cedere ad una tattica che potrebbe rimuovere la questione di fondo dell’insostenibilità ambientale, sociale ed economica dell’energia atomica in sè, per ripiegare sulle soluzioni tecniche che esorcizzerebbero scenari catastrofici. La linea su cui si attesterà il fronte della difesa ad oltranza del nucleare è quella già esposta dai “pentiti”: ammettere l’inaffidabilità dei “vecchi” impianti tutt’ora in funzione per rimarcare di converso l’assoluta attendibilità di “nuovi” reattori, che differiscono dai primi per una illusoria ridondanza di dispositivi di sicurezza. L’incidente verrebbe così in pratica esorcizzato, “seppellito” sotto una coltre di costosissimi marchingegni precauzionali. Il problema in discussione non sarebbe quindi più quello dell’intrinseca impossibilità di eliminare effetti incommensurabili – come è purtroppo di nuovo sotto gli occhi di tutti in Giappone -, ma quello dell’approntamento di apparati tecnologici sempre più imponenti e sofisticati, in un inseguimento del “rischio zero” così illusorio da non avere mai fine. Una chimera così oggettivamente irraggiungibile da diventare obiettivo più della sfera della comunicazione persuasiva che di quella scientifica. Quindi, roba da ingegneri e da supertecnici schierati, sostenuti da fini comunicatori, che, con un aggiornato “latinorum”, si affannano a illustrare schemi complessi e ostici per il grande pubblico e a denunciare la mancanza del quarto o quinto circuito di raffreddamento, che avrebbe sicuramente salvato Fukushima e che sarà ovviamente presente negli impianti da costruire in futuro. Quindi, se prima la colpa era degli screditati reattori sovietici a grafite, adesso sotto accusa sono i BWR giapponesi ad acqua bollente, dimenticando che una centrale di quel tipo a Caorso è stata chiusa solo grazie ai cittadini che hanno votato al referendum dell’87 “sull’onda dell’emozione”. A parte il bizzarro e incredibile Veronesi che si dà una pausa di riflessione, il Romani che ha sostituito da par suo l’astro rinascente Scajola, i Vespa e i Testa in tempi più tranquilli accamperanno la “sicurezza totale”, rappresentata dagli EPR ormai invendibili di Areva, arricchiti di qualche orpello in più.

Stante così le cose, meglio andare al cuore del problema: un reattore a fissione funzionante è comunque in termini energetici un incidente latente “moderato e controllato”. Contenuto e tenuto a bada da barre, circuiti di raffreddamento, contenitori a tenuta stagna, complessi sistemi software, fintantoché non se ne scopre l’insostenibile contenuto termico e radiante, a seguito di qualche malfunzionamento dovuto all’ambiente reale di cui l’impianto è entrato a far parte. Un contesto vero e non sulla carta, fatto di eventi e catastrofi naturali, di errori umani, di inaffidabilità gestionale e tecnica connaturati alla vita quotidiana. In realtà, la terrificante densità energetica delle trasformazioni atomiche controllate (la fissione di un grammo di uranio corrisponde alla combustione di 2 tonnellate di carbone), è incompatibile con la capacità e la velocità di smaltimento della biosfera che ci circonda e alimenta: al punto che quando la “macchina” si rompe, gli effetti si propagano nello spazio e nel tempo ben oltre i limiti della nostra esperienza. La scelta di abbandono del nucleare non è quindi roba da ingegneri, ma riflessione alla portata di qualsiasi persona responsabile ed è per questo che il referendum, – non qualche emendamento dell’ultima ora! – diventa anche questa volta decisivo.

Se già per petrolio gas e carbone la combustione – fenomeno estraneo ai processi vitali – sprigiona un contenuto energetico che attraverso le modifiche climatiche minaccia alla lunga la nostra sopravvivenza, figuratevi quali ferite possa subire l’ambiente naturale dai processi radioattivi, che sono di molti ordini di grandezza superiori. Non a caso le emissioni intorno ai reattori e le scorie atomiche intaccano nel profondo i tessuti cellulari e decadono con tempi di migliaia di anni. Quando poi si perde il controllo e si verifica un incendio o una parziale fusione del nocciolo – come è probabilmente in corso a Fukushima e come è avvenuto a Chernobyl – si ha una catastrofe perchè viene riversato al presente e nello spazio limitrofo (quindi dentro la nostra esperienza) un carico distruttivo che verrebbe comunque trasmesso alle future generazioni, attraverso scorie letali che viaggeranno per il mondo e che nessuno sa ancora come neutralizzare.

C’è in sostanza un contrasto insanabile nel tempo tra nucleare e vita. Credo che dopo Chernobyl, dopo l’esplosione della piattaforma nel Golfo del Messico e dopo Fukushima la svolta nella coscienza delle persone sia già in corso: basta tradurla anche politicamente e fare della consultazione popolare su acqua e nucleare una scadenza su cui convergano tutti gli sforzi. Al contrario dell’87, quando l’alternativa prospettata all’uranio era il gas, una fonte che implicava ancora il mantenimento di un modello energetico centralizzato, oggi l’alternativa delle rinnovabili apre lo spazio ad un sistema energetico diffuso, integrato nei cicli della vita, governabile democraticamente sul territorio. Si tratta di una alternativa radicale, che propone un cambio nella scala dei tempi, una riconquista di una dimensione non distruttiva del nostro rapporto con la natura e che favorisce la ricerca di produzioni socialmente desiderabili, la creazione di occupazione e lavoro stabili, in riequilibrio finalmente con l’eccesso di schiavi meccanici forniti dai fossili e dal nucleare ad un carissimo prezzo.

Mario Agostinelli