Energie rinnovabili (da La Repubblica)

Rinnovabile significa lavoro ma in Italia ancora troppi ‘no’

Articolo di Antonio Cianciullo (La Repubblica.it, 24 gennaio 2011)

Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil, lancia l’Associazione Bruno Trentin. E affronta le questioni che legano occupazione e green economy, il nucleare che rischia di rallentare la corsa del Paese, e l’opportunità rappresentata dalle nuove fonti di energia. “Ma l’Italia è dominata da una logica che blocca l’innovazione e il futuro”

I POSTI di lavoro assicurati dalla green economy? Tra qualche anno in Germania supereranno quelli nel settore automobilistico. Il ritorno al nucleare? Una sottrazione di fondi e di attenzione che rischia di rallentare la corsa dell’Italia che può riagganciare il locomotore dei paesi guida. Parola di Guglielmo Epifani. L’ex segretario della Cgil ha scelto un tema caldo e una platea qualificata per lanciare l’Associazione Bruno Trentin, il nuovo laboratorio di riflessione sindacale.

Il tema è il rapporto tra energia e lavoro. A intervenire sono stati, tra gli altri, il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, il segretario dell’Ueapme (l’associazione europea delle piccole e medie imprese) Andrea Benassi, il presidente della Lega Coop Giuliano Poletti, il segretario della Cgil Susanna Camusso. Guest star: Jeremy Rifkin, il teorico della terza rivoluzione industriale che ha dipinto lo scenario di una democrazia rafforzata dalla creazione di una rete energetica diffusa che toglie potere agli oligopoli, distribuisce ricchezza, offre garanzie contro i blackout e protegge l’ambiente.

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Bidone nucleare (video)

L’inchiesta di Maurizio Torrealta, andata in onda su RaiNews24.

Il libro di Roberto Rossi pubblica la notizia che le regioni scelte per stoccare le scorie ad alto livello di radioattività saranno 5: Basilicata, Puglia, Toscana, Lazio ed Emilia Romagna. Ne discutono in studio Roberto Rossi, Luca Iezzi giornalista di Repubblica, il Generale Carlo Jean, Giuseppe Onufrio di Greenpeace e il Governatore della Basilicata Vito De Filippo.

Greenpeace contro il nucleare (video)

NUOVO SPOT DI GREENPEACE CONTRO IL NUCLEARE: ”IL PROBLEMA SENZA LA SOLUZIONE”

ROMA, 19 gennaio 2011 – Greenpeace lancia una nuova campagna di comunicazione per informare i cittadini sui pericoli e sulle implicazioni ambientali, sociali ed economiche che la scelta del governo di puntare sull’energia nucleare comporterebbe. Una campagna che, senza rinunciare a un tocco di ironia, ha il chiaro intento di far conoscere particolari noti agli addetti ai lavori ma sconosciuti ai più. “Energia Nucleare. Il problema senza la soluzione” è il claim che ne riassume lo spirito.

Nasce così uno spot che fa il verso – ribaltandoli – ai codici comunicativi delle grandi compagnie energetiche, caratterizzati da atmosfere sognanti, immagini epiche e toni di voce rassicuranti che, com’è ovvio, servono a celare le pesanti conseguenze spesso nascoste dietro le loro attività. Nello spot di Greenpeace, lo spettatore si trova davanti a un filmato che, con grande chiarezza, toni rassicuranti e ironia, mostra tutte le agghiaccianti verità sull’atomo: le scorie impossibili da smaltire, gli enormi costi, il falso mito dell’indipendenza energetica, i problemi di sicurezza.

«Con questo spot – spiega Giuseppe Onufrio, Direttore esecutivo di Greenpeace Italia – vogliamo fornire ai cittadini uno strumento per riflettere sui problemi del nucleare in un paese distratto da slogan ingannevoli. Non possiamo certo competere con gli investimenti pubblicitari di Forum Nucleare & Co e, quindi, per contrastare il “bombardamento mediatico nucleare” punteremo moltissimo sulla partecipazione attiva delle migliaia di persone che ci seguono online».

«Vogliamo ringraziare – conclude Onufrio – l’agenzia che ha realizzato gratuitamente questa campagna e di cui non possiamo fare il nome. Il motivo? Aver realizzato un video per Greenpeace e contro il nucleare potrebbe creare problemi con “certi” clienti».

Guarda lo spot “Nucleare. Il problema senza la soluzione”

Uranio: ancora per quanto?

Da Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2011

Lo svolgimento del referendum sulle centrali nucleari è l’occasione per riconsegnare sovranità ai cittadini su una politica energetica nazionale requisita dalle lobbies e preclusa agli orizzonti della sostenibilità e della democrazia. Una consultazione popolare evoca partecipazione, impossibile se non c’è rigore nell’informazione, se non si dà spazio al pluralismo di opinioni e se le opzioni contrapposte non sono chiaramente leggibili. Questo richiede di capire che le scelte in discussione, comprese le alternative, devono reggere ad un esame di ragionevolezza e quindi che il gioco vale la candela. Nel caso dell’energia nucleare, l’esaurimento assai prossimo e inevitabile dell’uranio decreta di per sé l’insensatezza di approntare ex novo una filiera di reattori nel nostro Paese.

Di fronte alla presa di coscienza dell’imminenza del picco del petrolio, la prima reazione emotiva è “allora useremo l’uranio”. In effetti, l’energia nucleare è spesso presentata come il toccasana che risolverebbe tutti i malanni e che ci permetterebbe di superare senza danni la crisi energetica ormai in corso da qualche anno. Tuttavia, i fautori dell’energia nucleare glissano sulla questione della disponibilità di uranio, il quale è una risorsa minerale limitata, così come lo è il petrolio. Quanto uranio abbiamo, realmente? È possibile che siamo vicini al “picco dell’uranio”, allo stesso modo in cui ci stiamo avvicinando al picco del petrolio?

In effetti, si tratta di fonti e di forme di conversione di energia molto diverse: mentre petrolio, gas e carbone hanno a che vedere con la combustione istantanea di forme di vita alimentate dal sole migliaia di secoli fa e accumulate nelle viscere della terra, per l’uranio si tratta di trasformazione per via artificiale e controllata di massa in energia. L’uranio è un “combustibile” che non brucia e che si è formato indipendentemente dall’esistenza di forme vitali e in tempi ben più remoti, relativamente più vicini alla grande esplosione iniziale, il big bang. Per capirne l’origine, le miriadi di stelle che vediamo sono il motore della costruzione incessante, nel processo di fusione nucleare, di atomi sempre più complessi a partire dal più leggero idrogeno, fino a quelli stabili come il ferro e a quelli assai più instabili con numero di massa alto, come l’uranio 235. Un elemento non rinnovabile che, proprio per la lunga sequenza di fusioni nucleari da cui proviene, è abbastanza diffuso, ma relativamente scarso e perciò drammaticamente esauribile sul nostro pianeta.

Come dirò di seguito, tutti i fattori che agiscono sul picco del petrolio, compresi quelli di natura economica, determinano il rapido esaurimento anche del “combustibile” dei reattori. È solo l’idea di superpotenza e di enorme densità energetica dei processi atomici che avvengono nel nocciolo del reattore o nel cuore di una bomba che fa pensare a tempi illimitati di durata. Ma se parliamo del minerale di uranio – ossia la roccia estratta dalla miniera che va successivamente purificata e trattata per essere utilizzata nel reattore – dobbiamo pensare ad una densità energetica dello stesso ordine di grandezza dei combustibili fossili di cui si profila il picco nei prossimi anni. Cioè, quantità equivalenti in peso (ad esempio tonnellate di roccia contenente uranio e tonnellate di carbone) producono effetti energetici analoghi e si consumano in tempi confrontabili. Anzi, essendo più scarso, il minerale di uranio che è in gioco da poco più di 50 anni avrà alla fine una durata complessiva sulla scena inferiore a quella del carbone o del petrolio, che sono in uso da qualche secolo in più.

Di conseguenza, le riserve di minerale convenienti e utili e la loro durata sono tutt’altro che illimitate e sono determinate dal costo del combustibile sul mercato (che non deve essere superiore a 130 $/Kg per competere con il costo dei fossili), dalla percentuale di uranio presente nelle rocce, dalla potenza totale dei reattori funzionanti, dal ciclo di arricchimento (7 Kg di uranio purificato danno luogo solo ad 1 Kg di uranio arricchito). Tenendo conto di tutti questi fattori e per essere utilizzato economicamente nella fabbricazione del combustibile da destinare alle centrali nucleari, il minerale deve possedere delle concentrazioni di ossidi di uranio che non possono scendere al di sotto della soglia dello 0,01%. Tenendo presente che il consumo annuale di uranio arricchito nel mondo è oggi di 11.521 tonnellate (circa 70.000 t. di uranio “purificato”) e che si stima che sia possibile estrarre a meno di 130 $/kg al massimo 5,5 milioni di tonnellate di uranio “purificato”, di cui 3,3 milioni sono rappresentate da quelle ragionevolmente sicure, si va da una disponibilità di 46 anni ad un massimo di 78 anni. Questi calcoli ipotizzano che il consumo rimanga costante, ovvero che non entri in funzione nessuna nuova centrale se non per sostituire impianti chiusi.

Un’ultima osservazione: sembrerebbe che anche l’uranio abbia già passato il proprio picco di estrazione, dato che già oggi vengono in soccorso le scorte militari (provenienti dallo smantellamento delle testate atomiche), che oggi costituiscono il 33% della produzione per soddisfare la domanda di reattori esistenti. Comunque, nemmeno l’impiego di tutto l’uranio contenuto nelle armi nucleari disponibili sposterebbe di molto la fine del minerale. Si può fare un rapido calcolo. Il totale delle bombe atomiche costruite da Russia e Stati Uniti insieme ha raggiunto qualcosa come 70.000 unità negli anni ’80. La maggior parte di queste bombe sono però già state demolite. Ci sono volute 15.000 bombe atomiche Russe per generare 375 tonnellate di uranio ad alto arricchimento. Questo uranio è stato poi trasformato in uranio a basso arricchimento (utile per le centrali) per un totale di circa 11.000 tonnellate.

Dai dati riportati, sembra di poter dedurre che questa quantità è equivalente a circa 80-100 mila tonnellate di uranio minerale “purificato”. Non è una quantità enorme. Oggi rimangono circa 6000 testate nucleari negli Stati Uniti, mentre pare che la Russia, secondo l’ultimo trattato Salt, ne abbia poco meno di 1500, il che significa che si potranno smantellare circa 7000 testate. Fatti i dovuti conti, queste testate corrispondono a più o meno 50.000 tonnellate di uranio minerale. Se il gap tra l’estrazione corrente e il consumo è oggi intorno alle 20.000 tonnellate, entro meno di dieci anni, l’uranio proveniente dalle bombe nucleari si esaurirà. Da quel momento per l’uranio per le centrali nucleari dovremo dipendere unicamente dalle risorse minerarie.

In definitiva, i calcoli più accurati e più ottimistici dicono che, arsenali militari compresi, avremo a disposizione uranio ancora per un minimo di 55 e un massimo di 85 anni, sempre che il parco reattori non aumenti (e il prezzo non scoraggi l’estrazione). Tenuto conto che le prime nostre centrali non entrerebbero in produzione prima di un decennio, non riesco a capire quale sia la convenienza di un “ritorno lampo” dell’atomo, come invece vorrebbe darci a intendere lo scacchista dello spot del Forum Nucleare Italiano in onda su tutti i media in queste settimane. Credo che in base a queste considerazioni fatte, allo scacchista non resti che abbandonare sconfitto la partita.

Mario Agostinelli

Il referendum abrogativo sul nucleare

Articolo di Alfiero Grandi (Il Manifesto, 14 gennaio)

La Corte Costituzionale ha ammesso 4 referendum tra cui il nucleare. Quindi in primavera si voterà per Comuni importanti e per i referendum abrogativi.

Ora il primo obiettivo è realizzare il quorum. Infatti da molto tempo i referendum abrogativi sono falliti perché non è stata raggiunta la metà più uno degli aventi diritto al voto. Il referendum promosso dal Comitato per l’acqua pubblica ha una buona base di partenza, ha avuto consensi importanti e trasversali e tuttavia il salto di qualità da un milione e quattrocentomila elettori a oltre 24 milioni è molto impegnativo.

Il referendum pormosso dall’Italia dei Valori per abrogare la legge che vuole reintrodurre il nucleare in Italia, fatta approvare dal Governo con voto di fiducia, ha una base di partenza meno ampia. Sia perché è un argomento più recente, sia perché l’Italia dei Valori, che pure ha il merito di averlo promosso, lo ha fatto con modalità inadeguate. Infatti era del tutto possibile promuovere questo referendum con un accordo ampio e coinvolgente, come per l’acqua pubblica, ma Idv ha deciso di procedere in solitudine e questo è un limite molto serio, da correggere in fretta.

Era del tutto possibile avanzare una proposta unitaria perché il quesito referendario per abrogare la legge 99/2009 (e il suo decreto attuativo) era sostanzialmente concordato nel merito – ad esempio – con il nostro Comitato, grazie anche alla competente assistenza giuridica del prof. Gianni Ferrara. Tuttavia ora il referendum c’è e entro il 15 giugno si voterà. Quindi non c’è spazio per troppe recriminazioni e occorre rapidamente preparare un ampio fronte associativo e politico per sostenere il confronto con la potente e ricchissima lobby nuclearista.

La lobby affaristica del nucleare ha già iniziato da tempo la sua campagna elettorale a favore con spot televisivi a raffica, costosi e insinuanti ma chiaramente a favore della reintroduzione, del resto voluta in partnership con il Governo. Occorre rivendicare dalla stampa e dalle televisioni la par condicio. Fino ad ora non si sapeva se il referendum sarebbe stato ammesso. Ora è noto e quindi la Commissione parlamentare di vigilanza, il Consiglio di amministrazione della Rai, l’Autorità delle Comunicazioni e quant’altri sono invcestiti di responsabilità debbono fare rispettare la parità di condizioni. Se in campo restasse solo il punto di vista di chi vuole ad ogni costo il nucleare ci sarebbe un problema molto serio per la reale agibilità politica delle posizioni abrogazioniste.

Il 22/1 si riunirà il Comitato che ha promosso la legge di iniziativa popolare che è stata depositata alla Camera dei deputati il 21 dicembre, forte del sostegno di 110.000 firme, ed è chiaro che a questo punto affronterà anche il problema del referendum. Lo scopo della proposta di legge è fare emergere non solo un no secco al nucleare perché costa un mare di quattrini, perché è pericoloso come dimostrano l’ultimo incidente in Niger e la ricerca tedesca sull’aumento della leucemia nei bambini in rapporto alla vicinanza alle centrali.

Lo scopo della legge è anche di rendere chiaro che del nucleare non c’è bisogno e che anzi investire risorse in questa direzione porterebbe non solo a buttare soldi ma a toglierle alle energie da fonti rinnivabili, come ha ricordato il documento firmato da 200 imprenditori italiani, a prima firma Pistorio. Non ci sono le risorse per il nucleare e per le rinnovabili, bisogna scegliere tra 2 alternative. Come dimostra la vendita dell’Enel di parte delle rinnovabili proprio per finanziare l’avventura nucleare.

Puntare sul risparmio energetico, che ha spazi enormi, e sulle energie da fonti rinnovabili (salute e ambiente a parte) con un programma nazionale e delle Regioni vuol dire scegliere l’occupazione (almeno 15 volte più del nucleare) e gli investimenti qualificati in settori produttivi in rapida crescita, che vedono oggi la presenza delle economie più solide nel mondo. L’Italia ha le condizioni e l’interesse a fare una scelta di campo netta contro il nucleare e per le rinnovabili e il referendum può essere il punto di svolta. A condizione che si superino rapidamente ripicche e solitudini e che si faccia un’alleanza con il comitato per l’acqua bene pubblico. Oddi ha ragione, facciamolo e facciamolo presto.

Alfiero Grandi, Presidente Comitato Si alle energie rinnovabili NO al nucleare e primo firmatario della legge d’iniziativa popolare