Riflessioni su Fukushima

di Claudio Laudisa, docente di II° livello ed orientatore di Formazione Professionale – Provincia di Roma

Gli eventi di Fukushima. ci inducono a riflettere in generale sul rapporto uomo-natura ancora una volta, e in particolare sul problema della sicurezza della vita come principio di responsabilità e come diritto civico. Ancora una volta sono svanite le certezze sul modello di sviluppo fondato sulla produzione ed un uso dell’Energia e di fonte petrolifera e di fonte nucleare, falsamente alternative e concorrenti, in realtà terreno comune di dominio di lobby politiche ed economiche confortate da corporazioni di scienziati e tecnici.

I reattori di quarta e quinta generazione non rimangono esenti da possibilità di pericolo, malgrado le affannose rassicurazioni di fisici e tecnici, e rimangono sempre soggette ad impreviste e incontrollabili cause naturali: la Natura, matrigna o benigna che sia, ci richiama ad una attenzione e a quel pieno rispetto che si deve ad una presenza nascosta, insospettata e spesso sconvolgente: la Natura ama nascondersi (Eraclito) e spesso si disvela sovvertendo e scompigliando ogni opera e fabbrica dell’uomo.

Non ci sono pertanto condizioni assolute di sicurezza della vita, ci sono sempre percentuali di condizioni di rischio e il volume di queste percentuali sono sempre determinate dalle lobby di potere e degli affari: dalle Sette Sorelle agli affari delle costruzioni delle Centrali, anche se la criminalità organizzata ha messo gli occhi sopra le fonti rinnovabili eoliche. E’ di questi giorni la notizia proveniente da un dossier dei Verdi che “ l’accordo nucleare del 24 febbraio tra Berlusconi e Sarkozy, benedetto a Villa Madama dall’Enel e dalla francese Edf, oggi non sia più il cemento armato, e che l’attività di lobbying di alcuni ministri sia tornata più forte e che nel grande business del nucleare italiano – 30 miliardi di euro – possa rientrare il gruppo Westinghouse-Ansaldo con il progetto Iris, ovvero del nucleare minore, centrali di piccola taglia, capitale americano al posto del francese. E’ dunque questo potere globale affaristico il vero e proprio committente della tecnologia e della scienza (un po’ come le case farmaceutiche): le corporazioni di scienziati, qui come altrove, che si affrettano a dichiararsi unilateralmente detentori della ragione, in quanto scientifica, nei confronti della emotività e quindi dell’irrazionalità, sono solamente dei chien de garde, come sempre dai tempi di Copernico e Galilei. Anche i settimanali cattolici tifano apertamente per il Si e venerdì prossimo la CEI organizzerà a Padova un convegno dal titolo “Per una Chiesa custode del creato” e, naturalmente in difesa dell’acqua c’è padre Alex Zanotelli. Possiamo ricordare che nel cosiddetto Appello di Heidelberg, a proposito del degrado ambientale, nel 1992 ben 260 scienziati, fra i quali molti premi Nobel, indirizzarono ai Capi di Stato e di governo un appello avverso “lo spettro dell’emergere di una cultura ecologica” vista come “ideologia irrazionale che si oppone al progresso della scienza e nuoce allo sviluppo economico e sociale” e per diffidare le “autorità responsabili del destino del nostro pianeta dal prendere qualunque decisione su argomenti pseudoscientifici”. Spiace vedere persone come Veronesi e la Hack accomunate con il Forum Nucleare Italiano e con l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare. Bisogna ricordare che il governo italiano, oltre il gioco delle tre carte della pausa di riflessione, in realtà non ha alcun programma di politica energetica,la continua ambiguità e scorrettezza sulle informazioni e sulla comunicazione, nasconde in modo spregiudicato tornaconti politici ed economici. Anche il governo giapponese si è caratterizzato per ipocrisia e contraddittorietà comunicativa sul reale pericolo.

Il problema dell’Energia e della sua produzione comunque rimane, ma forse dobbiamo transitare da una concezione e da una pratica politica per moti aspetti vincolante e vincolata pubblico/privata ad una concezione di Energia Come Bene Comune.

“Al principio speranza contrapponiamo il principio responsabilità e non il principio paura. Ma la paura fa parte della responsabilità altrettanto quanto la speranza, e noi dobbiamo perorarne ancora la causa, poiché la paura è oggi più necessaria – e quando parliamo della paura che fa parte della responsabilità, non intendiamo la paura che dissuade dall’azione, ma quella che esorta a compierla; intendiamo la paura per l’oggetto della responsabilità – che in qualsiasi altra epoca in cui, animati dalla fiducia nel buon andamento delle cose umane, si poteva considerarla con sufficienza una debolezza dei pusillanimi e dei nevrotici” (H.Jonas- Il principio di responsabilità.)

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