Scenari energetici conseguenti la caduta del prezzo del petrolio

Mario Agostinelli (www.energiafelice.it)

La caduta del prezzo del greggio e il contemporaneo rifiuto degli arabi dell’OPEC di ridurne l’offerta, incide certamente sulla competizione nel mercato del petrolio, del gas e del carbone, ma probabilmente meno sul futuro energetico in Europa e nel mondo, più che mai conteso tra affermazione delle rinnovabili e ripresa del nucleare. L’obiettivo più evidente del tracollo sui mercati sembrerebbe l’attacco alla Russia di Putin, ma non va sottovalutata l’intenzione di mettere fuori gioco la concorrenza di parte dello shale gas americano – o almeno della produzione dai sedimenti meno remunerativi – così da farne emergere senza più l’alibi del prezzo tutti i rischi ambientali e la bolla speculativa che si porta alle spalle. E’ questione di cui da noi si parla pochissimo, ma che mette in ansia i grandi finanziatori delle fossili “non convenzionali”. Se la partita del petrolio – con il paradosso di una offerta superiore alla domanda – nonostante il superamento accertato del “picco di Hubbert” – sfugge al controllo del cartello dell’OPEC e si gioca in un mercato senza protezioni, abbiamo la conferma che stia finendo un’epoca caratterizzata da un sistema fortemente centralizzato, controllato da un intreccio di monopoli e stati produttori, retto su combustibili ad alta densità calorica e agevolmente trasportabili dopo estrazione.

L’eccesso di offerta di petrolio non è dovuto a previsioni sbagliate sul suo accertato esaurimento, ma agli enormi investimenti progettati più di un quinquennio fa, quando il prezzo del barile era a 110 $ e si andava a perforare nei luoghi più impervi. Le stime di consumo poi, non hanno tenuto conto del boom delle rinnovabili e del carattere strutturale della crisi: si pensi che solo nel 2014 la IEA ha rivisto al ribasso le stime della domanda mondiale ben sei volte!

Non facciamoci quindi impressionare dai colpi di coda di un sistema che dovrà comunque fare conti inesorabili e non procrastinabili con il riscaldamento globale e la diffusione sempre più imprevedibile di conflitti armati per il controllo dei giacimenti. Hermann Scheer nel 2005 sosteneva che la sfida energetica del XXI secolo si sarebbe giocata tra atomo e sole, in un anticipo ridotto all’essenziale dello scenario entro cui la geopolitica deve far i conti con la sfida per la sopravvivenza della biosfera. E’ questo scenario che vorrei attualizzare, anche a fronte delle manovre, pur rilevanti, sui prezzi del greggio.

La mia opinione è che non si stia affatto allontanando l’opportunità di scenari alternativi ai fossili e nemmeno che il crollo dei prezzi del combustibile possa prolungare oltremodo il sistema attuale, in quanto la connessione tra clima e combustioni dei fossili comporta danni non stimabili per la vita e costi economici altissimi per la riparazione dell’ambiente, ancorché costantemente occultati, ma sempre più avvertiti dall’esperienza comune.

Nei fatti e nelle statistiche degli ultimi dieci anni, si può constatare il progresso continuo di decisioni locali, non certo assunte ai vertici per il clima, per accelerare il passaggio ad un sistema energetico decentrato, fondato sulle rinnovabili e sulla riduzione dei consumi. A riprova, in una interessante intervista del 26 Novembre il nuovo presidente dell’ENEL Francesco Starace parla di reti intelligenti, crescita delle rinnovabili e riassetto organizzativo, con un approccio così innovativo e sensato per l’Ente nazionale, da mettere a disagio gli interlocutori del Sole 24 Ore.

Anche per i sacerdoti del sistema energetico attuale (la IEA), entro il 2040 la fornitura mondiale di energia sarebbe scompaginata e divisa in quattro parti quasi uguali: fonti a basso tenore di carbonio (nucleare e rinnovabili), petrolio, gas naturale e carbone. Le energie rinnovabili diventerebbero il numero uno al mondo come fonte di produzione di energia elettrica, superando il carbone, mentre la crescita della domanda mondiale di petrolio rallenterebbe fino quasi a fermarsi, con un calo rilevante anche dello shale gas.

La discesa dei prezzi del combustibile è in definitiva vista come fase di transizione, di durata imprecisata, ma che influirà ancora per un breve periodo sulla fornitura di calore e sulle soluzioni alternative per la mobilità, anche se ormai il binomio petrolio+auto individuale sembra in progressiva consunzione. La “rivoluzione shale”, è parte anch’essa della transizione. Attualmente fornisce agli USA un vantaggio competitivo che si riflette nel rilancio della manifattura, ma che potrebbe nel medio periodo rivelarsi strategicamente non risolutivo, dato che i vincoli climatici e finanziari potrebbero risultare per questa tecnologia esiziali nel tempo.

Per contestualizzare la sfida atomo-sole, aggiungo che, mentre la tecnologia nucleare mostra limiti insormontabili, soprattutto per l’eredità delle scorie e per l’eventualità insopprimibile di incidenti catastrofici, le fonti rinnovabili decentrate, pur limitate da una relativa discontinuità, sono sfruttabili direttamente in pressoché ogni angolo del mondo e stanno raggiungendo la “grid parity” a ritmi fino ad un decennio fa impensabili.

La continuità di chi vuole mantenere un sistema centralizzato, è in realtà affidata alle chance di un nucleare “di nuova generazione” (!?), sostitutivo dei fossili, che contrasti a infrastrutture in larga parte invariate la diffusione capillare di impianti alimentati da fonti naturali. Il nucleare rimane l’opzione che il sistema elettrico delle grandi utilities si riserva anche oltre la metà del secolo. Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha emesso un prestito garanzia per 12,5 miliardi di dollari per progetti di reattori innovativi. La US Energy Information Administration ha recentemente riferito che quasi tutte le centrali nucleari degli Stati Uniti dovrebbero ottenere un prolungamento della vita oltre i 60 anni per operare dopo il 2050.  La Cina ha avviato il nuovo programma nucleare con la realizzazione di 31 reattori e la presa in considerazione di ulteriori 110. La Russia assicura impianti chiavi in mano e manutenzione per i Paesi con ridotte risorse tecnologiche.

Le rinnovabili però continuano a crescere a ritmi sorprendenti, con il vantaggio di una parity grid ormai raggiunta anche senza particolari incentivi. Nei primi tre trimestri del 2014, la Cina ha speso 175 miliardi dollari in progetti di energia pulita e il paese installerà 14 GW di capacità solare nel solo 2014. Secondo il National Renewable Energy Laboratory (NREL), il costo di pannelli solari su una tipica casa americana è sceso di circa il 70 per cento negli ultimi dieci anni e mezzo. In Europa la convenienza è ormai accertata e migliorerà con investimenti in reti intelligenti e accumuli appropriati.

Purtroppo il Governo Italiano si pone in Europa in una posizione di retroguardia, dato che prevede 45 miliardi per infrastrutture fossili (30 miliardi per rigassificatori+ 15 miliardi per la quota italiana di gasdotti), senza una seria riflessione sui costi in alternativa di una infrastrutturazione rinnovabile con stoccaggi diffusi. E sarebbe interessante conoscere chi spinge Federica Mogherini, ministro degli esteri della UE voluta da Renzi, a premere sul segretario di Stato americano John Kerry per l’inserimento di un capitolo sull’energia (cioè carbone, petrolio e gas di scisto) nel Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP), nonostante le motivate critiche degli ambientalisti, preoccupati dell’abbassamento degli standard ambientali dell’UE. E, dopo le accuse agli affetti da NIMBY e il pretenzioso Sbloccaitalia, solo un Governo ineffabile ha potuto pensare di trivellare fuori tempo massimo e di mandare la polizia a caricare manifestanti che si rivelano non solo attenti all’ambiente ma ben competenti in economia e finanza!

Il futuro dell’energia è uscito ormai dai confini della geopolitica e della finanza tradizionali e l’interesse della collettività si fa spazio, entrando in conflitto con il computo economico che si vorrebbe imporre a qualsiasi costo.

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