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Chi vuole impadronirsi dei beni comuni? – Convegno a Milano

Sabato 11 marzo 2017 dalle 9 alle 18
Sala Conferenze di Palazzo Reale, Milano

Convegno nazionale sul diritto all’acqua, alla salute e alla conoscenza

Discuteremo con relatori qualificati e scientificamente documentati di:

– Diritto all’acqua (dalle 9.00 alle 13.00 con Erica Rodari, Maurizio Montalto, Paolo Carsetti, Rosario Lembo).
Parleremo della ripubblicizzazione del servizio idrico e di come metterlo al riparo dalle disastrose privatizzazioni che hanno portato alla rovina aziende e servizi pubblici, consegnandoli agli appetiti delle multinazionali. Intendiamo promuovere la candidatura di Milano a sede di un “Centro studi internazionale per il diritto universale all’acqua”,  con una specifica sezione per il diritto al  cibo.

– Diritto alla salute (a partire dalle 14.00 con Vittorio Agnoletto, Franco Cavalli, Antonio Clavenna, Albarosa Raimondi, Fulvio Aurora)
Discuteremo in particolare: dei costi stratosferici dei farmaci di ultima generazione; dell’intreccio tra sanità pubblica e privata che produce lunghe liste d’attesa e obbliga molti a rinunciare a curarsi, dei costi delle RSA e delle carenze nell’assistenza alle persone non autosufficienti; delle condizioni ambientali del territorio milanese e lombardo. Fattori questi, che contribuiscono a determinare l’attuale documentata riduzione dell’attesa di vita.

– Diritto alla conoscenza (a partire dalle 16.00 con Gianni Tamino, Daniela Padoan, Don Valter Magnoni, Mario Agostinelli).
A breve partirà la costruzione di Technopole: riteniamo che i cittadini debbano essere coinvolti in un dibattito e avere strumenti di controllo su scopi, metodi e modalità di realizzazione di una cittadella progettata per calare su Milano come un’astronave aliena.

Con la presidenza di Basilio Rizzo il convegno sarà introdotto da Don Virginio Colmegna. Emilio Molinari raccoglierà le indicazioni che emergeranno e svolgerà le conclusioni.

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Energia, non solo una partita tra Enel e Eni, tra Starace e Calenda

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Il nuovo amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace, in una audizione al Senato nell’ottobre del 2014 (l’audizione si tenne il 15 ottobre) sostenne che Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche a seguito di un eccesso di offerta di elettricità, il calo dei consumi, l’aumento della generazione rinnovabile. Interessante notare che il suo predecessore, Fulvio Conti, in una audizione in senato, solo due mesi prima (il 26 marzo 2014), non aveva fatto alcun accenno a future dismissioni. Il processo prevede il confronto con tutti i soggetti presenti sui territori interessati. Si profila così la opportunità di un nuovo paradigma per l’energia che comprenda prodotti e servizi per l’efficienza energetica, la gestione intelligente dei consumi e soluzioni per la mobilità sostenibile.

Per Montalto di Castro (3300 MW) e Porto Tolle (2640 MW), due “monumenti” dello sviluppo delle fonti fossili in Italia, sono da tempo aperti i bandi e, con essi, un’occasione importante di decarbonizzazione. Visto il numero di impianti coinvolti non sarebbe fuori luogo una riflessione di livello nazionale, in particolare per considerare i possibili effetti sull’occupazione.

Il piano Futur-e rappresenta una “provocazione” che il governo non ha ancora osato proporre a livello nazionale. Si pensi alla Sen varata dall’ex ministro Passera focalizzata sul gas e pure alle indicazioni dell’attuale ministro Calenda rilasciate prima della bocciatura del referendum costituzionale, assai poco orientate allo sviluppo delle rinnovabili.

Sono anni che il nostro Paese si trova in una situazione di fragilità delle reti e sovracapacità produttiva, con un numero di centrali termoelettriche sovradimensionato, frutto degli effetti del cosiddetto decreto “Sblocca Centrali” del 2002, per cui nell’arco di un decennio (2003/2012), sono stati autorizzati cicli combinati a gas per oltre 30GW.

Il piano di chiusura di 25 mila megawatt di centrali a olio combustibile, carbone e gas va nella direzione di migliorare il quadro elettrico nazionale, chiudendo impianti obsoleti, poco efficienti. e con output nocivi e sollecitando un aggiornamento della rete che sostenga la produzione distribuita e consenta lo stoccaggio. Ridurre l’inquinamento dell’aria di cui si parla molto – in particolare nel bacino della pianura Padana – in questo inverno scarso di precipitazioni significa ridurre progressivamente la combustione in tutti i settori, compreso quello della generazione elettrica.

Vista la novità della posizione Enel e a fronte della chiusura di 25 mila MW di termoelettrico, abbiamo – anche sul piano temporale – la straordinaria occasione di esigere e co-progettare adesso la contropartita rilanciando la generazione da rinnovabili, la valorizzazione dei bilanci e dei piani energetici territoriali, l’efficienza degli edifici e la rivoluzione del sistema della mobilità. A quanto trapela dalle stanze ministeriali, non sembra che questo sia l’approccio con cui il Governo e il ministro Calenda, ispirati dal miraggio Eni di fare del Pese l’hub europeo del gas, intendano varare la Sen, Strategia Energetica Nazionale.

Enel invece chiude impianti improduttivi, perché è più redditizia la gestione delle reti e delle vendite; quindi la capacità installata termo (in Italia e fuori) continuerà a ridursi e si prevede che scenda a 36,5 GW nel 2019: gli scenari della compagnia prevedono ricavi da nuove attività legate alla vendita di dispositivi per l’efficienza energetica, alla mobilità elettrica e a nuovi servizi ancora da definire. Proprio sulla mobilità elettrica il governo è fortemente latitante e sembra ignorare i benefici effetti sulla qualità dell’aria nei centri urbani.

Tornando alle centrali del progetto Futur-e, riteniamo che si debba chiedere una partecipazione attiva ma non per evitarne la chiusura ma per trovare, nei vari territori, soluzioni che siano compatibili con una politica di creazione di posti di lavoro e di miglioramento ambientale. Vanno evitate soluzioni speculative che prevedano nuove colate di cemento, va studiato ogni singolo territorio per scoprirne le risorse e sostituire impianti inquinanti con imprese capaci di coniugare lavoro e risorse naturali. E’ tempo di porsi su posizioni innovative e non di mera difesa del passato. Il quadro dell’energia è cambiato e servono attori che possano confrontarsi con imprese e governo con una visione ampia a sufficienza da contenere occupazione, benessere ambientale per l’intera popolazione e riqualificazione della politica industriale.

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Efficienza in casa

Piccola guida su come ridurre i consumi dell’energia che usiamo in casa, utilizzando incentivi e detrazioni fiscali.

Nelle nostre case consumiamo quasi un terzo dell’energia che utilizziamo e causiamo un terzo delle emissioni di CO2, pertanto se vogliamo consumare meno risorse ed inquinare meno per preservare l’ambiente ed il clima, dobbiamo ridurre i consumi domestici.

Costruire una casa ecologica ben progettata non costa molto di più di una casa “energivora” (indicativamente il 15%), e il costo in più si ripaga molto velocemente, anche entro due o tre anni di utilizzo della casa. A conti fatti è sempre conveniente nel medio e lungo periodo investire in sistemi di risparmio energetico e di utilizzo delle fonti di energia rinnovabile, ma come sempre è importante progettare bene realizzando strutture e impianti semplici e correttamente dimensionati.

Perché costruire case a ridotto consumo energetico?

Se facciamo riferimento ai consumi medi nazionali ed al parco immobiliare di riferimento si valuta che una unità residenziale di 90/100 mq, in un fabbricato multipiano, realizzata con finitura media e con le tradizionali caratteristiche costruttive richiede in termini energetici per la sua costruzione circa 100 tonnellate di materiali (cemento, calce, laterizi, piastrelle, sanitari, ecc) in gran parte prodotti mediante processi di cottura, con un costo energetico medio di circa 750 kCal/kg prodotto. Se ne deduce che il costo energetico dei materiali necessari a realizzare una abitazione di questo tipo si aggira sui 5,5 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio), considerando anche il costo energetico del cantiere, delle movimentazioni terra, del trasporto degli inerti, ecc. Valutando i consumi medi per il riscaldamento pari a circa 1tep/anno in poco più di 5 anni una abitazione consuma, per il solo riscaldamento, una quantità di energia uguale a quella impiegata per la sua costruzione( ENEA).

In questo testo ci occuperemo di case già costruite, ma prima di pensare a quali interventi fare è indispensabile capire quanto e come consumiamo energia. Le statistiche ci dicono che nelle utenze residenziali il consumo energetico maggiore è sicuramente quello per riscaldare gli ambienti; segue quello per riscaldare l’acqua calda sanitaria e poi ci sono i consumi di energia elettrica.

Visto che l’energia è utilizzata principalmente per riscaldare gli ambienti, una delle azioni prioritarie deve essere quella di migliorare l’isolamento, dopodiché occuparsi del sistema di riscaldamento.
Misurare quanta energia consumiamo ci servirà poi per valutare quanta possiamo risparmiarne; statisticamente le nostre case consumano mediamente da 10.000 ai 20.000 kWh l’anno. Verificati i consumi vanno determinati i costi. Di solito i vari combustibili fossili sono misurati in kg o in litri; per comparare le diverse fonti di energia è importante non solo sapere quanto costa un litro o un chilo o un metro cubo di un combustibile, ma sapere anche come è utilizzato (classe della caldaia, caldaia a condensazione, recupero calore), il suo potere energetico o calorico (quanti kWh ottengo con un litro, un Kg o un metro cubo) e come viene distribuito alle utenze. Quella che segue è una tabella indicativa che mostra che teoricamente la legna rimane ancora il combustibile meno costoso, seguito dal pellet e dal gas metano.

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Entropia e neoliberismo

di Lelio Demichelis – Sbilanciamoci.info – 6 Febbraio 2017

“Il mondo al tempo dei quanti” di Agostinelli e Rizzuto affronta il nodo cruciale del rapporto tra scienza, economia e politica. Tentando di rispondere a una domanda: è possibile, e in che modo, democratizzare oggi tecnica e capitalismo?

Il mondo al tempo dei quantiTrent’anni di ideologia neoliberista&ordoliberale e di utopie solo tecnologiche dovrebbero averci portato alla consapevolezza di essere a un bivio: decidere se proseguire sul piano inclinato deterministico del tecno-capitalismo e lentamente implodere (o peggio, esplodere); o provare a invertire la rotta o almeno deviarla, riprendendo i comandi della nave – o dell’aereo, secondo la metafora di Zygmunt Bauman, morto nelle scorse settimane, quando scriveva: «I passeggeri dell’aereo ‘capitalismo leggero’ scoprono con orrore che la cabina di pilotaggio è vuota e che non c’è verso di estrarre dalla misteriosa scatola con l’etichetta ‘pilota automatico’ alcuna informazione su dove si stia andando». In realtà, all’orrore ci stiamo abituando, posto che dopo dieci anni di crisi siamo ancora nella palude dell’austerità europea e alla deregolamentazione (e non alla ferrea ri-regolamentazione) dei mercati finanziari (Trump); e che l’unica reazione sembra essere quella di cercare l’uomo forte o il populista o il leader carismatico e visionario, barattando ancora una volta, come scriveva Freud, la possibilità di felicità per un po’ di sicurezza.

CONTINUA >>>

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