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Dichiarazione di Via Campesina Internazionale al Forum Sociale Mondiale

Montreal, Quebec, 14 Agosto 2016

” Non solo crediamo che un altro mondo è necessario, i membri di Via Campesina stanno già costruendo un mondo migliore.”
Carlos Marentes, co-coordinatore della Regione Nord America di LVC

Dichiarazione di Via Campesina Internazionale al Forum Sociale Mondiale

Noi, i rappresentanti delle organizzazioni membre di Via Campesina dalla Regione America del Nord (Unione Paysanne dal Quebec, Unione Nazionale Agricoltori, Canada, National Family Farm Coalition, Coalizione rurale e del Progetto lavoratori agricoli di confine , Stati Uniti), insieme ai membri di LVC dell’Europa , Palestina e Brasile abbiamo partecipato al Forum sociale mondiale di Montreal, Quebec dal 09-14 Agosto 2016.

Siamo stati gentilmente ospitati dall’Unione Paysanne e abbiamo ribadito il nostro sostegno alla loro lotta per porre fine al controllo del consorzio monopolistico del settore agricolo in Quebec, aggiungendo la nostra voce allo slogan che “Non vi è alcuna sovranità alimentare senza sovranità contadina”.

Nella nostra conferenza stampa del 11 agosto Maxime Laplante ha dichiarato: “La situazione in Quebec è estremamente particolare, c’è in Quebec una sola organizzazione che ha il diritto di rappresentare i contadini qui, per negoziare con il governo o per intervenire nella gestione di piani di marketing , marketing, ecc. Questa organizzazione è l’Unione dei produttori Agricoles (UPA).

E’ l’unica organizzazione con il diritto legale di rappresentare i contadini “.

La coordinatrice di Via Campesina Nord America e vice-presidente della National Family Farm Coalition Dena Hoff ha dichiarato: ” L’intera La Via Campesina regionale appoggia l’Unione Paysanne nelle sue richieste per essere riconosciuta dal governo del Quebec come la voce dei contadini in lotta per la sovranità alimentare. ”

La delegazione LVC ha partecipato con entusiasmo alla marcia di apertura, a molti laboratori, panel e assemblee sui temi della sovranità alimentare, il diritto al cibo, sulle società post-estrattive, su agro-ecologia e riforma agraria popolare, e il futuro del FSM, tra i molti argomenti, insieme con gli alleati come ETC Group, Grain, Climate Space, the Indigenous Environmental Network (IEN), Global Justice Now, USC Canada, SUCO, Why Hunger, Grassroots Global Justice Alliance, Global Forest Coalition, Focus on the Global South, Development and Peace, Inter-Pares, Vigilance OGM Québec e altri.

Come ha dichiarato Dena Hoff: “La lotta per la sovranità alimentare sarà vinta con un milione di sforzi dal basso”.

In un momento di crisi sempre più profonda in tutto il mondo, compreso le enormi sofferenze dei migranti in fuga da guerre, l’aumento della povertà e della fame, gli eventi meteorologici estremi, gli accaparramenti di terra e di risorse condotti dalle aziende, l’espansione e il consolidamento di grandi aziende agricole e le monocolture per i mangimi e piantagioni di carburante in tutto il pianeta, noi dichiariamo il nostro fermo impegno come LVC alla lotta “vita o morte” per la sovranità alimentare, per la riforma agraria dei popoli, per le sementi e sovranità della biodiversità, la democratizzazione del sistema alimentare e la forte difesa dei diritti umani.

Mettiamo in discussione l’uso del concetto di “agro-ecologia” e parole d’ordine sul clima che siano al di fuori del contesto della sovranità alimentare e utilizzate come mezzo di giustificare un ampliamento del “green washing” o per la raccolta di fondi delle ONG.

Insistiamo sul fatto che agro-ecologia significa una convalida dell’agricoltura su scala piccola e media , la ricerca e l’innovazione guidato dai contadini, e significa l’integrazione delle pratiche tradizionali, e e il controllo contadino e delle comunità rurale sui nostri semi.

La sovranità alimentare è il diritto degli agricoltori e di chi mangia a controllare la propria produzione alimentare, la trasformazione e distribuzione di alimenti culturalmente appropriati ed ad equo compenso e la dignità per i fornitori di cibo. Noi affermiamo che l’agricoltura su piccola scala, la pesca, la pastorizia, la caccia e la raccolta sono essenziali nella lotta per portare sollievo ai cambiamenti climatici e continuare ad alimentare l’umanità.

Cerchiamo l’accesso alla terra per tutti, soprattutto per i giovani che vogliono alimentare le loro comunità. Vogliamo porre fine alla invasione delle sementi OGM nei nostri territori e chiediamo il diritto degli agricoltori di continuare a produrre, salvare e condividere le proprie sementi. Noi diciamo “No” all’agricoltura aziendale e “sì” al popolo della terra e al modo contadino.

LVC ha criticato anche pubblicamente il governo canadese dato che molti leader di importanti movimenti sociali non sono stati in grado di partecipare al FSM poichè molte centinaia di visti sono stati negati, compresi i visti di due dei dirigenti contadini nella nostra delegazione.

Abbiamo anche colto l’occasione fornita dalla WSF 2016 di esprimere la nostra solidarietà con tutti i movimenti attualmente in lotta contro la violenza, l’espropriazione, l’esclusione e gli attacchi contro i diritti democratici delle persone.

Abbiamo espresso specialmente la nostra solidarietà con la lotta del popolo palestinese contro l’oppressione e lo sfruttamento per mano del colonialismo dei coloni sionisti, la lotta delle nostre compagne e compagni del Movimento dei Senza Terra del Brasile contro il recente colpo di stato, la lotta coraggiosa First Nations contro le minacce per l’integrità della loro terra causata dallo sfruttamento tar-di sabbia??, gli oleodotti e altre azioni distruttive da parte del capitale, e la lotta contro la crescente violenza contro le persone di colore e quindi sosteniamo pienamente il Black Lives Matter Movement .

¡Globalizzare la lotta, globalizzare la SPERANZA!

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Ripartire dagli individui – dal Forum Sociale Mondiale (3)

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Saprà il Forum Sociale Mondiale 2016 di Montreal dimostrare la attualità del Fsm? Se lo chiedeva Ronald Cameron il 17 giugno 2016 di fronte al primo World Social Forum (FSM in italiano) che si svolgeva nel nord del Mondo. A conclusione di una iniziativa certamente in discontinuità con quelle precedenti, che ho avuto l’occasione di frequentare tutte, avanzo qui alcune considerazioni.

 

1. Non credo che l’unico aspetto su cui valutare le differenze rispetto al percorso dei Fsm avviati 15 anni prima a Porto Alegre dipenda dalla latitudine e dalla discriminante dovuta al minore potere politico-economico e sociale detenuto dai paesi dell’emisfero Sud. E’ vero che i partecipanti erano in gran parte locali e che questa volta si è entrati nella “tana del lupo”, a fianco delle sedi delle più potenti multinazionali, dentro le aule delle Università che ospitano e spesso organizzano altrettanti “think tank” del potere globale, in una cultura in cui la tradizione cristiana non ha tratti provinciali o scaramantici, ma ecumenici e a radicamento sociale (ascoltatissimi i seminari sull’Enciclica Laudato Sì e quelli organizzati contro le multinazionali dalla rete mondiale dei comboniani di Zanotelli, oltre a quelli dei giovani scout). Ma è pur vero che la crisi ha confuso anche i sacerdoti del liberismo che si riuniscono a Davos, al punto che l’interpretazione del mondo e del futuro con cui misurarci non ha più ricette di riferimento.

A Montreal le proposte avanzate sono state tutte estremamente concrete, smorzando quel dato di utopia caratteristico delle riunioni passate: in Italia non se ne è fatto cenno continuando a dar d’intendere che l’unica questione riguardante il futuro sia ossessivamente quella della permanenza del governo. Ho potuto ascoltare il premio Nobel Stiglitz sostenere che il referendum istituzionale in Italia, con la limitazione ai poteri del Parlamento, sia un errore di prospettiva e un abbaglio su quali siano oggi le priorità.

2. Il principio su cui si è sempre fondato il Fsm è quello di uno spazio aperto. L’obiettivo condiviso è quello di creare il più ampio fronte possibile al fine di offrire un’alternativa alla globalizzazione neoliberista, attraverso la creazione di nuovi rapporti di solidarietà all’interno e tra i movimenti sociali, su basi indipendenti dai partiti politici. Con Porto Alegre, l’esperienza del PT brasiliano era diventata l’esempio di un approccio dal basso verso l’alto (bottom-up), come espressione politica dei movimenti, ma da questo anno è in atto una profonda crisi di questo partito e la perdita di riferimento esemplare per l’autonomia di una battaglia nel contempo radicale e di massa. Si è così rafforzata, anche di fatto, una opposizione di principio tra spazio politico e movimento, tendente a far diventare il Forum la massima espressione mondiale della società civile, anche se ancora incapace di conquistare uno spazio deliberativo.

3. Se tutto è in ridiscussione nell’organizzazione politica e sociale della partecipazione democratica, il Fsm non poteva esserne esente. Così, il Fsm a Montreal ha limitato il ruolo che le organizzazioni sociali hanno tenuto in passato nello svolgimento dell’evento. Questa volta per la collettività, la legittimità del Forum si è basata sul raggruppamento nel coinvolgimento degli individui e dei movimenti presenti, senza distinzioni di status, fino a mettere in discussione l’abolizione del Consiglio Internazionale, considerata fin qui l’autorità suprema, con una condizione privilegiata.

Considero questa tendenza a “spruzzare” gli attori del Fsm a Montreal in sintonia con quanto si verifica nelle società capitaliste, il cui livello di organizzazione di individui è sempre più alto. Mi sembra tuttavia un salto eccessivo rispetto alle pratiche che considerano l’organizzazione e i soggetti sociali un aspetto primario della politica. Ma, al di là di ogni giudizio, questa mi è sembrata la linea di tendenza, di cui tenere conto: come stabilire una unità politica più attiva, senza forzare organizzazioni e movimenti con modalità di delega.
4. A riprova di questi assunti, non si sono visti a Montreal né politici (tranne – non a caso – Bernie Sanders) né partiti-movimento come Podemos o Syriza o il M5S. Il declino dell’economia suggerisce anche una ricostruzione di una alternativa che non passi necessariamente dagli appuntamenti internazionali e dalle alleanze o scontri con i singoli governi. Paradossalmente, questo approccio mira a provocare una rinascita basata su nuove dinamiche globali incentrate sulla mobilitazione sociale. Certamente non si vuole abbandonare l’enorme patrimonio di quindici anni dei Forum, purché venga aggiornato alle esigenze e pratiche della nuova situazione politica, cominciando magari subito dalla rotazione delle cariche nel Consiglio Internazionale. Nel dibattito finale è apparsa la proposta di creare un procedimento parallelo, una sorta di tribunale dello stato della democrazia in diverse parti del pianeta.

Penso comunque che il Fsm abbia un futuro: diventare la spina dorsale di movimenti e reti che, a loro volta, mobilitano gli individui. La centralità delle organizzazioni mi è sembrata uscire appannata e andrebbe rivalutata con la dovuta attenzione. Promuovere movimenti concertati e il loro piano d’azione risulta la grande sfida di questo primo Forum nel Nord, nell’attuale contesto politico e storico. La fase di preparazione del prossimo appuntamento risulterà quindi perfino più importante dello svolgimento dello stesso per poter dar ragione del nuovo slogan coniato in Canada: Un altro mondo è necessario, insieme è possibile.

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Il passaggio di testimone – dal Forum Sociale Mondiale (1)

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Strana città Montreal. Un po’ New York con però tutti i grattacieli cuspidati, un po’ England con le pietre e mattonelle rosse che si infilano tra le chiese di arenaria, un po’ Alsazia per il neo gotico grigio delle numerosissime cattedrali, un po’ Buenos Aires per i tanti murales che trovi in ogni spazio pubblico, un po’ Oslo per il retroterra verde collinoso tutto boschi e un po’ Genova per il porto e le locande sul mare e tra i pontili.

Qui il Forum Sociale Mondiale sta giocando una sfida generazionale e geografica importante. Rimane tuttora la riunione più ampia di società civile che cerchi soluzioni di giustizia all’emergenza e all’incertezza di un futuro migliore per la nostra specie. Dal primo Forum (2001) a Porto Alegre ad oggi le speranze si sono affievolite soprattutto in termini di rapporti di forza, ma, fortunatamente, la consapevolezza della crisi del modello di crescita distruttiva è aumentata e gli obiettivi dei movimenti sono meno generali e più alla portata dell’esperienza quotidiana e delle lotte territoriali. Quel che è rimasto del precedente Fsm a guida brasiliano-francese – progettato e vissuto come contrappunto alternativo al neoliberismo di Davos e come forza spendibile per il cambiamento a livello globale anche in relazione alla crescita dei Brics – si sposta nel “centro dell’Impero”, punta anche sulle novità politiche e intellettuali del Nord del mondo, cambia la gerarchia degli slogan e della comunicazione.

Corrispondenza dal Forum Sociale Mondiale di Montreal N°1

In testa nettamente il clima, lo spreco di energie fossili e le nuove tecnologie di estrazione, il diritto all’emigrazione e l’abolizione delle barriere ai diritti umani, la minaccia nucleare e il diritto della pace. L’uguaglianza sociale e la lotta al capitalismo e alla rapina del liberismo sono coniugate attraverso queste lenti. Gli slogan multicolori trascinati cantando per il corteo di apertura il 9 agosto alludevano quasi esclusivamente a questi temi.

E’ buon segno: significa aggiornare un progetto ambientale politico sociale nato ad inizio millennio, rispetto alle emergenze che l’attaccamento al contingente, al parziale, al presente tout court della classe dirigente mondiale, impedisce di affrontare, per non dover spostare il dibattito politico sociale dalla continuità dell’economia dominante al futuro che viene a mancare. Così come è buon segno il cambio di testimone generazionale avvenuto in un luogo mai sfiorato prima dal Forum: la gioventù canadese e statunitense, presente in massa e con creativa allegria al corteo, ha sfilato per oltre un’ora, mescolata ai più anziani fondatori di Porto Alegre, Mumbay, Bamakò, Nairobi, che procedevano riconosciuti, un po’ affaticati dal sole radente, ma sorridenti e applauditi.

Corrispondenza dal Forum Sociale Mondiale di Montreal N°1

Per consolidata esperienza sindacale potrei dare i numeri del grande corteo di apertura che si è snodato lungo le ampie circolari fino alla piazza Centrale di Montreal: 20 per fila, una sfilata di 100 minuti abbondanti, 12 file al minuto più almeno la metà dei manifestanti a scorrere e attendere a fianco del percorso fanno 40.000 circa. Alla fine, in piazza, durante i concerti di 12 band fino a mezzanotte, si alterneranno 50.000 spettatori. Insisto: i presenti erano quasi tutti giovani ventenni (più ragazze che ragazzi e molte unite in gruppi femministi) mentre era completamente svanita la generazione tra i 35 e i 55 anni, non certo rimpiazzati dai resistenti over 60. Dal punto di vista della provenienza: italiani da contarsi sulle dita di una mano, tedeschi forse una cinquantina, un centinaio di francesi organizzati e visibili, gruppi folti di giovani brasiliani contro il golpe presidenziale, africani, profughi di guerra siriani e somali, molte presenze di chiese locali e una folta delegazione del consiglio mondiale dei missionari comboniani. Rappresentanti politici nessuno.

Le attività del Forum sono cominciate ieri, 10 agosto: sono articolate in 1500 iniziative con la presenza di 140 Paesi. Ne renderemo conto periodicamente. Molte le presenze eccellenti: Riccardo Petrella, Omar Barghuti, Bennie Sanders, Garzia Linera, Chico Withaker, Aminata Traorè, Edga Morin, Naomi Klein, per elencarne alcune.

Corrispondenza dal Forum Sociale Mondiale di Montreal N°1

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Trivelle, il ricatto occupazionale vale solo in parte.

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Mentre vengono diffusi infondati equivoci sulla perdita di posti di lavoro nel caso si limitassero le licenze per le trivelle in mare, sembra passare sotto silenzio un caso, questo sì clamoroso, di durissima discriminazione verso i lavoratori del settore della distribuzione del gas. Ah, questa informazione per cui a volte anch’io su questo blog sono da alcuni incolpato di parzialità! Essendoci nel referendum di mezzo gli interessi delle lobby fossili (e del governo che le blandisce), la questione occupazionale viene brandita come il nodo della questione, dopo che in una infinità di casi la si era ritenuta il prezzo del progresso.

Eppure, nel caso delle perforazioni in mare i danni ambientali, gli effetti climatici e la facile sostituzione di posti di lavoro con impieghi nel settore delle rinnovabili, del turismo, della fruizione delle bellezze paesaggistiche e culturali suggeriscono una alternativa realizzabile e vantaggiosa. Invece, ancor prima degli addetti all’estrazione in mare, i quasi 50 mila lavoratori della distribuzione locale del gas rischiano di pagare cara la liberalizzazione del settore, voluta dal cosiddetto decreto Letta del 2000 (dal nome dell’allora ministro dell’Industria del governo D’Alema, un giovane Enrico Letta) e oggi accelerata dal governo in carica e dalla raffica di decreti ad essa dedicati.

Oggi siamo alla vigilia (più volte rimandata) delle gare per la distribuzione del metano a livello di ATEM (Ambiti Territoriali, corrispondenti ad aggregazioni di Comuni), che porteranno nelle casse degli enti locali svariati milioni di euro, ossigeno per le sempre più povere casse pubbliche, massacrate dal patto di stabilità.

Ma a pagarne le conseguenze saranno i lavoratori, con la perdita dei loro diritti e dei loro soldi. Un decreto del 2011 (sulla cosiddetta “clausola sociale”) prevede che i dipendenti interessati dovranno cambiare casacca, passando dal gestore uscente alla società che si aggiudicherà la gara. Ma lo faranno a loro spese. Infatti i lavoratori rischiano di essere ri-assunti senza l’art. 18 (come prevede il “Jobs-act”) come se fossero nuovi assunti, pur mantenendo solo dal punto di vista salariale la salvaguardia delle condizioni economiche individuali in godimento” anche rispetto “all’anzianità di servizio”: lavoratori con alle spalle finanche 40 anni di servizio, trattati come neo-assunti, senza diritti e senza tutele.

Non basta: i dipendenti più anziani che passeranno dalla previdenza pubblica (Inpdap) a quella privata (Inps), rischiano di dover pagare la ricongiunzione onerosa della loro pensione (come ha previsto un decreto del 2010 dell’allora Ministro Tremonti), per cifre che possono superare, nel caso di una anzianità di qualche decennio i 100 mila euro! In pratica, lavoratori che, dopo aver pagato per 35 o 40 anni i contributi previdenziali per intero, dovranno farsi un mutuo per poter andare in pensione!

Ad oggi in Italia vi sono 2 situazioni che già rientrano in questo assurdo scenario: una a Prato in Toscana, con 42 lavoratori passati lo scorso settembre dal gestore uscente Estra a Toscana Energia; una ancora in corsa a Como con 34 lavoratori interessati dal passaggio dalla ex municipalizzata locale al gruppo nazionale “2i Rete Gas”. Ma, come detto, nei prossimi mesi saranno quasi tutti i 50 mila lavoratori del settore a rischiare i loro diritti e il loro patrimonio. Questo finché il Governo e il Parlamento non troveranno il modo di mettere una toppa a questa situazione paradossale. Ovviamente il sindacato, preoccupato dei posti di lavoro al largo delle coste affronterà questa assurda vessazione nei confronti dei dipendenti passata finora sotto silenzio.

La politica delle liberalizzazioni rischia, come sempre, di far guadagnare la finanza, togliendo però diritti e patrimonio alla parte più debole.

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Documenti del convegno “Laudato si’ e Cop21”

Giovedì 3 Marzo si è tenuto a Milano il Convegno:
“Laudato si’ e Cop21: tra il dire e il…decarbonizzare”.  Un bilancio dopo il messaggio dell’Enciclica e le conclusioni della conferenza di Parigi.

Ecco alcuni dei documenti presentati al Convegno e consultabili:

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