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Cop21: attenti al gioco delle tre carte

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Occorre non cadere ancora una volta nella trappola mediatica e concettuale di tutte le conferenze mondiali sul clima fin qui svolte. Anche perché al numero 21 non c’è più tempo. Ma, tra il dire e il fare, per i governi seduti al tavolo Onu conta soprattutto l’apparire. Qui di seguito tre esempi di irresponsabilità camuffata, come al gioco delle tre carte, che non sembra proprio bandito da Parigi.

1. Il Trade Policy Committee dell’Unione Europea, tra i cui membri è rappresentato anche il Ministero dello Sviluppo italiano, in un documento rivolto ai negoziatori della Cop21, intima che non si parli di attività soggette ai trattati internazionali sul commercio, dato che “ogni misura adottata per combattere il cambiamento climatico” non dovrebbe costituire un mezzo di “restrizione del commercio internazionale“. Quindi,”non si faccia nessuna menzione specifica su questioni inerenti al commercio e alla proprietà intellettuale” perché ogni risoluzione in tal senso non potrà essere accettata dall’Ue”. Mentre, difronte alla instabilità mondiale, movimenti e cittadini ribadiscono la richiesta che siano le Nazioni Unite a gestire le crisi globali, ancora una volta la logica del “business is business” viene a prevalere. Far prevalere le trattative semisegrete del Wto e del Ttip, significa attaccare alla radice il negoziato climatico e favorire gli interessi economici rispetto alla tutela della salute del pianeta. La visione neoliberista del mercato globale non si smentisce, ma chi ne paga le conseguenze sono i cittadini, tenuti all’oscuro dall’ipocrisia di chi governa.

2. Il petrolio da sabbie bituminose è tra i combustibili più inquinanti al mondo. Tenerlo sotto terra è indispensabile per il contenimento dell’aumento di temperatura entro i 2°C.  Nonostante le prove fornite dalla Stanford University sull’eccesso di quantità di Co2 liberata nell’atmosfera (107 grammi di Co2 equivalente per megajoule (Co2eq / MJ) contro gli 87.5g (Co2eq / MJ) del petrolio tradizionale), il Parlamento Europeo, su disposizione della Commissione, ha ratificato l’inserimento del combustibile ricavato da sabbie bituminose nella stessa classe di inquinamento della benzina e del diesel convenzionale. Ciò è avvenuto perché le compagnie petrolifere e le raffinerie hanno vinto sull’evidenza scientifica e hanno ottenuto nel Ttip, il trattato di libero scambio tra Ue e Usa, una clausola di trattamento privilegiato per il petrolio da sabbie bituminose. Nello stesso periodo in cui ci si preparava per la Cop21, le maggiori raffinerie europee si sono attrezzate per ricevere e trattare il greggio da sabbie bituminose. Potremmo quindi trovarcelo sotto casa, come segnalato da questa mappa, che mostra Busalla, Livorno, Ancona, Sannazzaro (Pv), Trecate (No), e molti siti in Sicilia e Sardegna.

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3. Le autorità degli Emirati Arabi vogliono mettere da subito a frutto i loro petrodollari prima che sia troppo tardi. A questo fine annunciano grandi investimenti nel solare, ma anche 20 miliardi per la costruzione di una grande centrale nucleare. Naturalmente non se ne parla a Parigi, dove, stranamente, le centrali nucleari in costruzione o quelle francesi in funzione sembrano scomparse. Il fatto è che, di fronte ad un mancato accordo sulle emissioni di Co2, come purtroppo prevedibile, si potrebbe invece legittimare un uso massiccio dell’energia nucleare in sostituzione dell’uso di petrolio e carbone, nonostante i rischi del militare, degli incidenti, dello smaltimento delle scorie. Ci sono settori dell’establishment mondiale che potrebbero pensare di rilanciare questo discorso e che non vanno sottovalutati. La questione messa in questi termini fornirebbe anche una ragione in più alle guerre in corso: non soltanto per determinare il predominio sulle fonti energetiche come petrolio e gas in progressivo esaurimento, ma anche per determinare nuovi equilibri politici adatti ad aprire una ipotetica nuova fase ancora nelle mani degli stessi. Alla Cop21 è presente una lobby nucleare di 140 soggetti, che “richiede un attento esame di tutte le possibili soluzioni e la prevenzione di tutte le decisioni ideologicamente o dottrinalmente guidate”. E manda un segnale ai negoziatori: “tutti i paesi devono avere il diritto di scegliere l’energia nucleare per ridurre le emissioni di gas serra e raggiungere i loro obiettivi nazionali di energia pulita. Tale scelta non deve essere limitata da convenzioni o protocolli firmati a livello internazionale”.

Insomma, tre notizie inquietanti, che non possono che richiedere quella attenzione e quella mobilitazione democratica che le azioni terroristiche cercano di tenere lontano, schiacciata dalla paura.

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Cop21: per combattere l’inquinamento il Pentagono è militesente

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Quando nel 1991 l’Onu diede legittimazione alla guerra aerea degli Stati Uniti in Iraq – “Tempesta nel deserto” – accompagnata più tardi dagli scarponi sul suolo iracheno – “Scudo nel deserto” – qualcuno di noi cominciò a fare i conti di quale fosse non solo la spaventosa devastazione in vite umane e abitazioni, ma anche il riflesso sulla natura e il clima in termini di emissioni di CO2. Ne deducemmo che nei primi due anni la guerra all’Iraq era costata circa 200 miliardi di dollari e che il petrolio pompato dai pozzi iracheni ne avrebbe fruttati circa 30. Di fatto per la guerra sono stati consumati 650 milioni di barili equivalenti (bombe comprese) all’immissione in atmosfera di 300 milioni di tonnellate di CO2, ben più dei gas climalteranti di tutta l’Africa subsahariana.

Alle soglie del nuovo millennio pochissimi facevano di questi conti, ma dopo decine di Cop inconcludenti, questa a Parigi nel 2015 entra in scena in un clima di terrorismo e guerra, che rischiano addirittura di oscurare l’urgenza del cambio climatico o di tenerlo separato dai due temi che allontanano il diritto della pace e, con esso, qualsiasi richiamo ad una ecologia integrale, responsabile e senza ipocrisie.

Il senatore Bernie Sanders, in un recente dibattito al Congresso degli Stati Uniti, ha suonato l’allarme perché “il cambiamento climatico è direttamente correlato alla crescita del terrorismo”. Citando uno studio della CIA, Sanders ha avvertito che i paesi di tutto il mondo stanno “andando a lottare su una quantità limitata di acqua, quantità limitate di terra per coltivare i loro raccolti e si stanno riconsiderando sotto questo profilo tutti i tipi di conflitto internazionale”. In parole povere: la guerra e il militarismo alimentano esse stesse il cambiamento climatico e ne sono alimentate.

Prendendo atto di una affermazione non sospetta e venendo a noi, ci dovrebbe preoccupare che uno dei maggiori contribuenti al riscaldamento globale non abbia alcuna intenzione di accettare di ridurre l’inquinamento anche in vista della scadenza parigina. Il problema in questo caso è il Pentagono, che occupa 6.000 basi negli Stati Uniti e più di 1.000 basi in più di 60 paesi stranieri. Secondo il “2010 Base Structure Report”, l’impero globale del Pentagono include più di 539.000 strutture in 5.000 siti che coprono più di 28 milioni di acri, bruciando 350.000 barili di petrolio al giorno (solo 35 paesi nel mondo consumano più) senza contare l’olio bruciato da appaltatori e fornitori di armi. La fornitura di carburante riguarda più di 28.000 veicoli blindati, migliaia di elicotteri, centinaia di aerei da combattimento e bombardieri e vaste flotte di navi militari.

L’Air Force rappresenta circa la metà del consumo di energia operativa del Pentagono, seguita dalla Marina Militare (33%) e dall’esercito (15%). Ironia della sorte, la maggior parte del petrolio del Pentagono viene consumato in operazioni dirette a proteggere l’accesso degli Stati Uniti al petrolio straniero e le rotte di navigazione marittima per trasportarlo. Si stima che la guerra in Iraq del Pentagono abbia generato più di tre milioni di tonnellate di inquinamento da CO2 al mese per la sola movimentazione di sistemi d’arma (aerei, carri, autoblindo, tank, aerei etc.).

In breve, il consumo di olio si incarica di consumare più petrolio. Questo non è un modello energetico sostenibile. Ma cosa può fare un trattato sotto egida Onu come quello che si apre a Parigi nel momento in cui il Pentagono ha insistito su una “norma di sicurezza nazionale” che avrebbe posto le sue operazioni al di là di ogni controllo globale, esentandolo anche dalla regolamentazione dell’inquinamento e facendone un inquinatore privilegiato? Un paradosso: l’apparato militare è militesente nella battaglia per il clima…

In quanto al terrorismo, e ai fini circoscritti del tema di questa comunicazione, vorrei ricordare che Oliver Tickell su The Ecologist mette in guardia i leader politici dai rischi di un fallimento della COP21, ipotizzando un introito di circa 500 milioni di dollari all’anno dalle vendite del petrolio che in parte è nella disponibilità dei terroristi di Isis per finanziare le proprie attività criminali: un motivo in più per non fallire e ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Ma l’ottimismo per un accordo adeguato con gli attuali leaders mondiali non ha grandi speranze, a meno che i popoli in marcia…

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A2A, il carbone, gli elettrodotti e gli impegni per la COP21

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Nuova svolta nella saga infinita dell’elettrodotto fra Italia e Montenegro. Una grande opera che ormai assomiglia al Ponte sullo Stretto: di tanto in tanto riemerge dal silenzio, anche se le ragioni per giustificarla non reggono all’esame del buon senso.

Quando nel 2003 l’Italia subì il black out, si progettò un elettrodotto fra Balcani e Italia (approdo in Abruzzo) in vista dell’importazione di elettricità da quelle aree. Dieci anni dopo però, l’undercapacity italiana si trasformò in overcapacity e un’opera che oggi finirebbe per costare almeno un miliardo di euro, perse la sua attrattività. Per di più, l’iniziale previsione di importare energia idroelettrica dalla Serbia andava perdendo di significato già all’inizio del secondo decennio 2000, dato che ormai potevamo produrci in casa tutta l’energia verde che ci serviva per raggiungere gli obiettivi fissati a livello nazionale ed europeo.

Ora, andando verso l’appuntamento di dicembre a Parigi per la Cop 21, potremmo onorarci almeno di un definitivo abbandono del carbone e, quindi, di un contributo trasparente al miglioramento della situazione climatica. Ma tra il dire e il fare… ci sono sempre intoppi che nascondono interessi di cui i cittadini e l’opinione pubblica non devono occuparsi e che, nel caso trattato, hanno a che vedere proprio con il combustibile fossile più inquinante

Abbiamo già denunciato su questo blog che A2A, l’utility ancora a maggioranza pubblica di Milano e Brescia, aveva fatto un rischioso investimento in centrali elettriche compartecipate nel piccolo Montenegro, un Paese non proprio esempio di trasparenza e incorruttibilità. Un rischio che si poteva correre, probabilmente, solo esportando kWh in Italia a prezzi ben più alti di quelli che vengono pagati, quando vengono pagati, nel paese balcanico. E – qui viene il bello – non kWh puliti, ma kWh prodotti da A2A con carbone, bruciato in una centrale in via di raddoppio e estratto da una miniera di lignite, fonte di preoccupante inquinamento per la cittadina di Pljevlja, contigua alla centrale e al giacimento.

Nell’assemblea generale di A2A dello scorso 11 giugno era stata sollevata una decisa obiezione per un’operazione come quella in corso in Montenegro, contraria perfino al buon nome di una municipalizzata e, se si fanno i conti, vantaggiosa solo a fronte della realizzazione urgente della connessione con l’Italia, ovvero, della posa del cavo che dovrebbe attraversare l’Adriatico. Diciamoci perché e per chi “vantaggiosa”: perché i costi della costruzione dell’elettrodotto sarebbero finiti nella bolletta elettrica e A2A avrebbe usufruito di una infrastruttura a carico dello Stato.

E arriviamo ad oggi. Nella Legge di Stabilità in discussione al Senato ieri pomeriggio sono stati avanzati da parlamentari del Pd emendamenti per riconoscere sostegni ai cosiddetti “energivori” e produttori di energia da fossile, così da garantire ad essi un incentivo economico per l’acquisto virtuale di energia elettrica al di fuori dell’Italia ad un prezzo di favore, oltre che per la realizzazione di interconnessioni anche in un momento di overcapacity. Esiste già una legge del 2009 che promuove gli “interconnector” (siamo ormai abituati agli inglesismi quando le cose sono sospette) al costo di 500 milioni di euro l’anno prelevati dalle bollette elettriche dei cittadini. Una legge che dovrebbe decadere se davvero il nostro governo si muovesse verso le energie pulite, ma che l’emendamento sotto accusa (per quanto ci risulta contrastato al Senato solo dall’opposizione), prorogherebbe fino al 2021, sottraendo come maggiori oneri altri 2 miliardi di euro dalle utenze elettriche degli italiani.

In sostanza: trivelle, carbone e elettrodotti transmarini finirebbero per essere il biglietto da visita alla conferenza di Parigi spedito dal governo e da una municipalizzata che ha l’ambizione di regionalizzarsi e coprire l’intera Lombardia. Un accredito non certo coerente con gli impegni per la Cop 21 e con una paradossale inversione dei fini, che rendono ancora più oscuro perché dovrebbero essere i cittadini a dover finanziare opere sanzionabili e senza futuro. Importare energia prodotta in modo inquinante non fa bene all’ambiente, allontana il rispetto dei nostri impegni sul clima e contrasta con ogni dichiarazione pubblica dei nostri governanti nei consessi internazionali di fare di tutto per mantenere l’aumento di temperatura globale sotto i 2°C.

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4 novembre a Milano: convegno sull’enciclica Laudato si’

Fede, scienza, ragione: un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale

Mercoledì 4 novembre, dalle ore 10, nell’auditorium della Società Umanitaria, a Milano, un incontro per riflettere sui temi proposti da Papa Bergoglio

Un’enciclica, la «Laudato si’», che non si rivolge solo ai cattolici ma che sollecita apertamente il mondo laico ad agire, insieme ai credenti, per la salvezza del pianeta e dell’umanità.

Un concetto di ecologia integrale, cuore della lettera di Papa Francesco sulla casa comune, che rovescia la prospettiva da cui devono discendere scelte importanti e decisive a livello economico, sociale e ambientale.

Un cambio di paradigma, onnipresente nelle proposte di Papa Bergoglio, che vede la lotta alla povertà come leva di cambiamento che fa scattare reali meccanismi di giustizia e spinge ad adottare nuovi modelli economici, finanziari, ambientali e di sviluppo economico.

Partendo da queste considerazioni, sollecitata da movimenti e da organizzazioni di base, da personalità del mondo della cultura e del sociale, credenti e non credenti, la Casa della carità ha raccolto la proposta di organizzare un momento di riflessione sui temi della «Laudato sì» proprio nei giorni in cui a Parigi è in preparazione Cop21, la conferenza Onu sul cambiamento climatico.

L’iniziativa è promossa da: 
Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani”, Artigiani di Pace, A-Sud, Associazione Co-Energia – Progetti collettivi di economia solidale, Associazione Energia Felice, Beati i Costruttori di Pace,  Comitati Chico Mendes, Comitato Milanese Acqua, Comitato per la Pace del Magentino, Contratto mondiale sull’acqua, Costituzione Beni Comuni, Ecoistituto Ticino, Forum Salviamo il Paesaggio, Nord Sud del mondo, Zero Waste Italy.

Vai all’evento Facebook: L’ENCICLICA «LAUDATO SÌ’» – Fede, scienza, ragione: un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale

4 novembre - Convegno - locandina

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Appello al Governo sulla Strategia Energetica Nazionale

Appello al Governo sulla Strategia Energetica Nazionale

FIRMA L’APPELLO >>>

Siamo un gruppo di docenti e ricercatori dell’Università e dei Centri di ricerca di Bologna. In virtù della conoscenza acquisita con i nostri studi e la quotidiana consultazione della letteratura scientifica internazionale, sentiamo il dovere di esprimere la nostra opinione sulla crisi energetica e sul modo di uscirne.

Abbiamo quindi scritto al Presidente del Consiglio ed ai Ministri competenti una lettera aperta nella quale critichiamo la politica energetica del Governo e presentiamo proposte alternative.

Chiediamo ai colleghi delle Università e Centri di ricerca di altre sedi e a tutti i cittadini interessati di firmare questo appello nella apposita sezione (firma).

Definire le linee di indirizzo per una valida Strategia Energetica Nazionale è un problema complesso, che deve essere affrontato congiuntamente da almeno cinque prospettive diverse: scientifica, economica, sociale, ambientale e culturale. I punti fondamentali dai quali non si può prescindere sono i seguenti:

1) E’ necessario ridurre il consumo eccessivo e non razionale di energia. Sia i singoli cittadini che le aziende devono essere indotte  a consumare di meno, non solo per i vantaggi economici che ne derivano, ma anche perché il consumo di energia è collegato al consumo di materiali e alla produzione di rifiuti. L’obiettivo fondamentale della riduzione del consumo di energia deve essere perseguito mediante un aumento dell’efficienza energetica e, ancor più, con la creazione  di una cultura della parsimonia, principio di fondamentale importanza per vivere in un mondo che ha risorse limitate.

2) La fine dell’era dei combustibili fossili è inevitabile e ridurne l’uso è urgente per limitare l’inquinamento dell’ambiente e per contenere gli impatti dei cambiamenti climatici che potrebbero avere, in alcuni casi, conseguenze catastrofiche. Ridurre il consumo dei combustibili fossili, che importiamo per il 90%,  significa anche ridurre la dipendenza energetica del nostro paese da altre nazioni e migliorare la bilancia dei pagamenti.

3) E’ necessario promuovere, mediante scelte politiche appropriate, l’uso di fonti energetiche alternative che siano, per quanto possibile, abbondanti, inesauribili, distribuite su tutto il pianeta, non pericolose per l’uomo e per l’ambiente, capaci di sostenere il benessere economico, di colmare le disuguaglianze e di favorire la pace.

4) Allo stato attuale, le possibili fonti di energia alternative ai combustibili fossili sono l’energia nucleare e le energie rinnovabili.

5) L’energia nucleare non ha i requisiti elencati al punto 3 e, proprio per questo, il suo sviluppo incontra serie difficoltà di ordine economico, tecnico, sociale, sanitario e politico; tanto che su scala globale, dopo aver raggiunto un culmine di 635 Mtep (tep = tonnellate equivalenti di petrolio) nel 2006, il consumo di energia nucleare è diminuito a 563 Mtep nel 2013 e non c’è evidenza di un’inversione di tendenza.

6) Le energie rinnovabili non sono più una fonte marginale di energia, come molti vorrebbero far credere: oggi producono il 22% dell’energia elettrica su scala mondiale, il 40% in Italia. Per ottenere il restante 60% dell’energia elettrica che serve in Italia, basterebbe coprire con pannelli fotovoltaici lo 0.5% del territorio, molto meno dei 2000 km2 occupati dai tetti dei 700.000 capannoni industriali e dalle loro pertinenze. Su scala mondiale, il fotovoltaico fornisce energia pari a quella prodotta da 23 centrali, nucleari o a carbone, da 1000 MW e l’eolico pari a quella di 85 centrali; in Italia, l’energia elettrica prodotta dal fotovoltaico è pari a quella prodotta da due centrali da 1000 MW.

7) La transizione dai combustibili fossili e dal nucleare alle energie rinnovabili sta già avvenendo, sia pure con tempi diversi, in tutti i paesi del mondo. In particolare, l’Unione Europea (UE) ha già da tempo messo in atto una strategia basata sui punti sopra elencati (il Pacchetto Clima Energia 20 20 20, l’Energy Roadmap 2050).

L’Italia non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e le tecnologie solari altro non sono che industria manifatturiera. Quindi l’Italia – Paese povero di materie prime che storicamente ha basato sull’industria manifatturiera e sul commercio i suoi periodi di prosperità economica e prominenza internazionale – ha un’occasione straordinaria per trarre enorme vantaggio dalla transizione energetica in atto, uscendo dalla drammatica crisi economica in cui si è avvitata. E’ del tutto evidente che il futuro economico, industriale e occupazionale del nostro Paese deve essere basato sullo sviluppo delle energie rinnovabili e non su quello di risorse energetiche convenzionali che non possediamo in quantità significative.

Purtroppo la Strategia Energetica Nazionale, che l’attuale governo ha ereditato da quelli precedenti e che apparentemente ha assunto, non sembra seguire questa strada. In particolare, il recente decreto Sblocca Italia agli articoli 36-38, oltre a promuovere la creazione di grandi infrastrutture per permettere il transito e l’accumulo di gas proveniente dall’estero, facilita e addirittura incoraggia le attività di estrazione  di petrolio e gas in tutto il territorio nazionale: in particolare, in aree densamente popolate come l’Emilia-Romagna, in zone dove sono presenti città di inestimabile importanza storica, culturale ed artistica come Venezia e Ravenna, in zone fragili e preziose come la laguna veneta e il delta del Po e lungo tutta la costa del mare Adriatico dal Veneto al Gargano, le regioni del centro-sud e gran parte della Sicilia (http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/cartografia/tavole/titoli/titoli.pdf)

Il decreto attribuisce un carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi, semplifica gli iter autorizzativi, toglie potere alle regioni e prolunga i tempi delle concessioni con proroghe che potrebbero arrivare fino a 50 anni. Tutto ciò in contrasto con le affermazioni di voler ridurre le emissioni di gas serra e, cosa ancor più grave, senza considerare che le attività di trivellazione ed estrazione ostacolano e, in caso di incidenti, potrebbero addirittura compromettere la nostra più importante fonte di ricchezza nazionale: il turismo. D’altra parte il decreto non prende in considerazione la necessità di creare una cultura del risparmio energetico e più in generale della sostenibilità ecologica e non semplifica le procedure che ostacolano lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Mentre fonti governative parlano di un “mare di petrolio” che giace sotto l’Italia, secondo la BP Statistical Review del giugno 2014 le riserve di combustibili fossili sfruttabili nel nostro paese ammontano a 290 Mtep. Poiché il consumo di energia primaria annuale è di 159 Mtep, queste ipotetiche riserve corrispondono al consumo di meno di due anni. Spalmate su un periodo di 20 anni, ammontano a circa il 9% del consumo annuale di energia primaria. Si tratta quindi di una risorsa molto limitata, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può apportare.

Il mancato apporto di questa risorsa marginale potrebbe essere facilmente compensato, senza il rischio di creare problemi, riducendo i consumi. Ad esempio, come accade nei Paesi del Nord Europa, mediante una più diffusa riqualificazione energetica degli edifici, la riduzione del limite di velocità sulle autostrade, incoraggiando i cittadini ad acquistare auto che consumino e inquinino meno, incentivando l’uso delle biciclette e dei mezzi pubblici, trasferendo gradualmente parte del trasporto merci dalla strada alla rotaia o a collegamenti marittimi e, soprattutto, mettendo in atto una campagna di informazione e formazione culturale, a partire dalle scuole, per mettere in luce i vantaggi della riduzione dei consumi individuali e collettivi e dello sviluppo delle fonti rinnovabili rispetto al consumo di combustibili fossili e ad una estesa trivellazione del territorio.

L’unica via percorribile per stimolare una reale innovazione nelle aziende, sostenere l’economia e l’occupazione, diminuire l’inquinamento, evitare futuri aumenti del costo dell’energia,  ridurre la dipendenza energetica dell’Italia da altri paesi, ottemperare alle direttive europee concernenti la produzione di gas serra e custodire l’incalcolabile valore paesaggistico delle nostre terre e dei nostri mari consiste nella rinuncia definitiva ad estrarre le nostre esigue riserve di combustibili fossili e in un intenso impegno verso efficienza, risparmio energetico, sviluppo delle energie rinnovabili e della green economy.

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