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La nuova SEN vista con gli occhi di Parigi e di Bonn

a cura di Giuseppe Farinella (Energia Felice – Il Sole di Parigi) e Alfonso Navarra (Disarmisti esigenti – AK) – 14 novembre 2017

Il governo Gentiloni ha presentato il suo deludente piano energetico “a tutto gas”

Ma l’eliminazione dell’energia fossile è una “conversione logica” più che “ecologica” (anche verso una società pacifica)!

Meglio tardi che mai: finalmente abbiamo la nuova Strategia energetica nazionale – SEN presentata, a COP 23 di Bonn in corso, dal governo Gentiloni, con un piglio retorico (“uno dei due grandissimi assi della politica industriale dei prossimi anni”) cui non corrisponde la realtà deludente del testo.

La tempistica – la coincidenza con la manifestazione ONU che prosegue il percorso della COP 21 di Parigi – induce a pensare – non considerateci troppo maliziosi! – ad esigenze di immagine “verde” che prevalgono sulla sostanza “grigia”. Si parla di “addio al carbone” nel 2025 – e questo è indubbiamente positivo (l’Italia sarebbe la quarta nel G7 a programmarlo) – ma il ruolo sostitutivo e dominante, nella cosiddetta “transizione energetica”, è di fatto assegnato non alle rinnovabili ma al gas, per il quale si propongono massicci investimenti infrastrutturali. (Il primo pensiero corre alla Puglia e alla vicenda TAP contrastata dalla popolazione ma anche dalle Amministrazioni locali).

A garantirne l’attuazione si prevede una “cabina di regia”, in cui saranno coinvolti vari ministeri (in primo luogo Ambiente e Sviluppo economico, ma anche Economia, Trasporti, Beni culturali…).
Per la mobilità sostenibile, si prospetta l’obiettivo di 5 milioni di vetture elettriche al 2030, con incentivi da studiare per svecchiare il parco circolante: da finanziare sempre con bollette più care?
Perché, noi che , da ecopacifisti, abbiamo preparato la “missione collettiva a Bonn, per sensibilizzare sul “nesso su minaccia nucleare e mianaccia climatica” (è il titolo dei side event ufficiali che abbiamo incardinato come “Disarmisti esigenti” e WILPF Italia), ci dichiariamo insoddisfatti e lo abbiamo ribadito senza peli sulla lingua nel nostro intervento alla Conferenza ONU?

La concezione di questa SEN, secondo noi, in fondo, resta quella del governo Monti, incentrata sull’Italia come “hub del gas naturale”, con concessioni a nostro giudizio, ma non solo nostro, alquanto secondarie al settore delle rinnovabili. Non si vede come, con l’idea neanche tanto nascosta che la quota di mercato del gas vada comunque tutelata, se non aumentata, possa essere raggiunta la “decarbonizzazione”, nel senso tecnico di zero emissioni di gas serra.
Se guardiamo il problema con gli occhi di Parigi e di Bonn, cioè ponendo mente alla gravità del problema climatico, il giudizio su questa SEN dovrebbe essere logico: stiamo ancora perdendo tempo (e non ce n’è molto, secondo gli ultimi allarmi scientifici) sulla rivoluzione da compiere senza tentennamenti né contraddizioni verso le energie veramente pulite. Bisognerebbe invece puntare ad un “sistema rinnovabile” al 100% subito e proporre questo obiettivo come “imperativo”, secondo l’indicazione data da Hermann Sheer, l’autore della “Bibbia” per la completa riconversione del nostro sistema energetico (Edizioni Ambiente, 2012).

Qui a Bonn è ormai diventata quasi un luogo comune la frase: “Non dobbiamo più parlare di <conversione ecologica> ma semplicemente di <conversione logica>, di fronte ai moniti allarmati della comunità scientifica, sempre più compattamente preoccupata; ma anche alle tendenze evidenti del mercato: dopo l’accordo di Parigi si è manifestamente invertito il trend di investimenti di grandi banche e fondi privati dalle fossili alle rinnovabili! Ci torneremo su con i prossimi interventi.

Va anche considerato che l’Italia dovrà seguire l’Europa nel rivedere al rialzo gli obiettivi al 2030, se si vuole appunto dare seguito all’accordo di Parigi. Bisognerà che il nostro Paese affianchi in questo caso la Germania – e non la Polonia e le altre Nazioni diciamo “paratrumpiane” dell’ex Patto di Varsavia. E’ notevole che in questo senso, in sinergia con i nuovi orientamenti dei grandi investitori privati, si stia muovendo parte dell’industria elettrica europea, inclusa l’ENEL, mentre un’altra parte, in Italia l’ENI, vuole continuare a basarsi essenzialmente su gas e prodotti petroliferi.
Dopo anni di aggressione masochistica, con il taglio agli incentivi, al nostro settore delle rinnovabili – ci si è messi d’impegno nel tentare di ammazzare un business che prometteva benissimo! – si fa ora una parziale marcia indietro, ma non è l’inversione ad U richiesta dall’Accordo di Parigi, come già l’industria più intelligente comincia a chiedere.

Sarebbe opportuno, a nostro avviso, fare il contrario: tagliare i 16 miliardi circa di sussidi alle fonti fossili dirottandoli alle rinnovabili. Insomma, niente più sostegno pubblico (a spese dei consumatori) all’incenerimento dei rifiuti con il CIP6, alla costruzione dei rigassificatori, alle facili trivellazioni su mare e su terra!
Con l’orizzonte degli obiettivi climatici sarebbe importantissimo adottare una carbon tax non più rinviabile, che potrebbe essere applicata innanzitutto nei settori riscaldamento e trasporti (oggi beneficiati con varie esenzioni fiscali per chi consuma carburante), con collegata riduzione della pressione fiscale sul lavoro.
(Questo spostamento del carico fiscale dal reddito e dal lavoro alle attività dannose per l’ambiente viene indicato come “riforma fiscale ecologica”).

Va modificato il modello che definisce il mercato elettrico come un sistema basato su un numero ridotto d’impianti di generazione centralizzata e sulla distribuzione capillare attraverso le reti elettriche di alta, media e bassa tensione verso piccoli e grandi consumatori, sempre in modo unidirezionale. Per far fronte alla necessità di ricorrere a metodi di produzione d’energia elettrica sostenibili e in grado di fronteggiare la crescente domanda energetica a livello mondiale, le tecnologie della generazione distribuita, in particolare quella fotovoltaica ed eolica, permettono oggi di rendere disponibile energia pulita in prossimità dei punti di consumo, a prezzi sempre più competitivi.

Si tratta di appoggiare una nuova proposta di Direttiva UE che prevede espressamente che gli Stati membri debbano assicurare che le comunità locali abbiano diritto a generare, consumare, immagazzinare e vendere l’energia rinnovabile, anche attraverso accordi di acquisto di energia, senza essere soggette a procedure burocratiche esagerate e ad oneri sproporzionati. L’orizzonte sembra quindi definito, quantomeno a livello europeo, nonostante il percorso normativo-regolatorio non sia omogeneo e lineare neppure all’interno del nostro continente.

Altro punto da non dimenticare: la conferma del “no al nucleare”, che il popolo sovrano ha affermato con ben due referendum. dovrebbe comportare una gestione seria e non affaristica (o affaristico-clientelare) del triste lascito delle scorie radioattive, cosa di cui l’attuale struttura SOGIN non ci garantisce affatto.  Nel corso degli anni la SOGIN ha accumulato ritardi nei lavori che sono arrivati fino al 170%, i costi preventivati sono più che raddoppiati e l’incremento di attività degli ultimi anni è un dato “drogato” perché è dovuto all’impegno sullo smantellamento delle strutture civili, mentre la parte nucleare è ancora al palo.

La morale di questo intervento è che dobbiamo prendere sul serio il “bando dei combustibili fossili” decretato a Parigi il 12 dicembre del 2015. Questo grande cambiamento richiede una “transizione” con aspetti di gradualità ma l’indirizzo del percorso deve essere chiaro: il passaggio al 100% rinnovabili deve avvenire quanto prima possibile, escludendo la “centralità del gas” o “l’imbroglio nucleare”. Tanto più se si considera che il modello energetico rinnovabile è intrinsecamente collegabile ad una società più pacifica, non fosse altro perché ciascun Paese può controllare risorse diffuse di cui dispone “a casa sua”, senza dipendere da situazioni esterne, magari da “stabilizzare” con pressioni o addirittura interventi militari.
O seguiamo una strategia coerente o proseguiamo per inerzia facendoci annebbiare da una cappa fumosa di parole: ma ci permettiamo ancora una volta, scusandoci della ripetitività, di mettere in guardia da questa seconda opzione, comoda ma catastrofica. Il risultato più probabile di essa sarà di ottenere che il Pianeta, rotto l’equilibrio, faccia fuori la nostra arrogante ma stupida specie.

Dovremmo parafrasare la formula di Albert Einstein sulle armi nucleari, e qui a Bonn stiamo provando a condividerla con molte orecchie consenzienti: “O l’Umanità farà a meno dei combustibili fossili, o la Terra farà a meno dell’Umanità!”.

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Osservazioni sulla SEN

dei Comitati scientifici di “Sì alle rinnovabili, No al Nucleare”, “Movimento Ecologista”, “Energia Felice” e Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo sostenibile (CIRPS).
Coordinatore: Massimo Scalia

Premessa

Le seguenti osservazioni sono state stilate nella convinzione che il significato più profondo dell’“Accordo di Parigi” sia quello di avere segnato l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili. E’ di conforto che una convinzione così netta sia sostanzialmente condivisa con significativi attori di questa vicenda, quali Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International, e Nicholas Stern, consigliere economico del governo inglese per i cambiamenti climatici e lo Sviluppo. Questa consapevolezza non è un tratto caratteristico della SEN, ma si può sperare che se il Presidente Macron si impegna in un sostanziale dimezzamento del parco di centrali nucleari francesi, a lungo elemento della “grandeur”, il Governo italiano possa muoversi con maggior coraggio nell’indicare e programmare la transizione energetica: dal vecchio modello di fonti energetiche fortemente accentrate e basate sui combustibili fossili a quel modello di fonti rinnovabili e diffuse sul territorio, più direttamente accessibili ai cittadini, già configurato dall’ormai imminente realizzazione dei tre 20% e sempre più affermato dai nuovi obiettivi che l’Unione Europea intende darsi entro il 2030.

  1. Gestione della SEN

Il riferimento di base della strategia energetica italiana non può essere altro che l’ “Accordo di Parigi”, come è stato più volte ribadito anche dal Presidente del Consiglio in importanti incontri internazionali di Capi di Stato e di Governo in contrapposizione alle ipotesi di ritiro avanzate dal Presidente degli Stati Uniti. E’ opportuno ricordare anche i devastanti effetti sul terreno economico a livello mondiale che conseguirebbero dal lasciar andare le cose come vanno (Business As Usual), e le drammatiche implicazioni sociali e sulla vita quotidiana, illustrati dal famoso rapporto Stern1.

Pertanto l’impegno sulla SEN appare e deve essere un impegno di tutto il Governo, che peraltro è interessato in quasi tutti i suoi componenti dalle politiche necessariamente “trasversali” per la formulazione della SEN, e non dei soli Ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente.

Appare quindi necessario il conferimento alla Presidenza del Consiglio, a un eventuale apposito organismo di altissimo profilo da essa individuato, di tutta la materia SEN e del coordinamento tra i vari ministeri interessati a partire dai documenti proposti dai due sopra citati Ministeri.

  1. Efficienza energetica e occupazione

E’ l’aspetto fondamentale che richiede un’impegnativa e puntuale azione di Governo, ai diversi livelli, per la difficoltà, la capillarità e il livello tecnologico richiesto alle azioni di realizzazione. Qui di seguito l’ “efficienza energetica” intende includere anche quella popolarmente, e impropriamente, detta “di 2° Principio”, cioè la misura della qualità dell’energia erogata rispetto alla qualità dell’energia richiesta. E’ noto come gli usi “impropri” d’energia, famosa la “strage termodinamica”, possono configurare un aggravio di decine di Mtep nel bilancio nazionale che si spingono ad alcune migliaia di Mtep su scala mondo.

Già nello statement che le Accademie delle Scienze dei Paesi del G8, più quelle di Cina, India, Brasile e Sud Africa, rivolgevano direttamente al G8 di S.Pietroburgo (2006) venivano sottolineati, oltre agli aspetti globali della sostenibilità energetica, sia il ruolo guida dell’accrescere l’efficienza negli impieghi di energia che l’ampiezza degli investimenti pubblici necessari: “Providing for global energy sustainability and security will require many vigorous actions at national levels, and considerable international cooperation. These actions and cooperative steps will need to be based on wide-spread public support, especially in exploring avenues for increased efficiency of energy use.” 2.

Vale la pena ricordare che fu proprio a questo statement, e a quello del precedente anno rivolto al G8 di Gleneagles e che richiedeva a tutte le nazioni una “prompt action3, che rispondeva pochi mesi dopo, nel marzo 2007, il Consiglio d’Europa con il lancio dei tre 20% al 2020, cui si pervenne tramite l’alta mediazione esercitata da Angela Merkel nei confronti dei recalcitranti Paesi dell’Est europeo da poco entrati nella UE (tacciamo, per amor di patria, dell’atteggiamento del Governo italiano di allora).

Lo studio degli Economisti dell’Energia nel progetto europeo SAVE (dicembre 2004), quello dell’ENEA (febbraio 2009) oggetto anche di una proposta d’intesa col Regno Unito, e quello di Confindustria del settembre 2010 concordano nel fornire cifre che quantificano l’importanza del risparmio energetico al di là dei limiti di una politica meramente energetica. Ci riferiamo proprio all’ultimo studio: “Piano di efficienza energetica 2010 – 2020”, e perché nel corso del 2011 divenne “avviso comune” di Confindustria, CGIL, CISL e UIL e perché le prime quantificazioni che forniva mostravano con particolare evidenza l’importanza dei risultati che era possibile conseguire: a fronte d’un investimento pubblico di 16,7 miliardi di euro sull’arco di dieci anni si sarebbero prodotte nello stesso tempo un milione e seicentomila unità lavorative annue – 407 mila nei settori dell’edilizia – oltre al conseguimento dei tre 20% della UE, segnatamente oltre 51 Mtep di riduzione dei consumi energetici al 2020 con una riduzione di 207,6 Mton di CO2.

L’ impatto socio-economico del Piano veniva valutato pari a quello di circa 130 miliardi di euro di investimenti; il costo evitato per la sola riduzione della CO2 avrebbe dato un risparmio economico di 5,2 miliardi di euro. Il Piano non venne però presentato al Governo Letta, durante gli incontri con le parti sociali proprio quando si trattava di passare alla fase dello sviluppo dopo quella dei “sacrifici”.

Anche in assenza di adeguati investimenti pubblici e di una politica mirata del Governo nel 2016 il totale degli investimenti in efficienza energetica realizzati in Italia è stato pari a circa 6,1 miliardi di euro e il mercato sta mostrando segnali positivi con una crescita costante degli investimenti negli ultimi 5 anni. L’Italia sembra finalmente pronta a compiere quel cambio di passo decisivo per far assumere al comparto dell’efficienza energetica un ruolo centrale nello sviluppo strategico del settore energetico e occupazionale del Paese.

Questa del binomio “efficienza energetica/occupazione” deve essere l’indicazione prioritaria della SEN, in termini di impiego di risorse, supporti amministrativi, aspetti tecnico-scientifici e quadro legislativo.

Sul piano tecnico-scientifico spetta al Governo realizzare le appropriate forme di coinvolgimento delle competenze presenti nelle Università, negli Enti e negli Istituti di ricerca italiani.

Restano aperti i problemi connessi al reale stato finanziario delle moltissime ESCO certificate e di quanta parte del mercato esse effettivamente intercettino; ai modelli di business che le utility stanno realizzando nell’ambito dell’efficienza energetica. Più in generale, quanto sia diffusa la “cultura” dell’efficienza energetica sia nel sistema industriale che nella PA del Paese; quanto, ad esempio, sia diffuso nell’edilizia il modello “Nearly Zero Energy Buildings” (NZEB).

Per avere una rappresentazione dello stato dell’arte su questi problemi il Governo potrebbe stipulare un accordo con le parti sociali (Sindacati e Confindustria nelle loro articolazioni categoriali, Associazioni ambientalistiche nazionali) per la realizzazione entro tempi certi (12 mesi) di un’indagine capillare, alla portata della diffusione territoriale dei soggetti coinvolti, utile di per se stessa anche ad accrescere informazione e consapevolezza dei cittadini sull’importanza e le possibilità connesse all’efficientamento energetico.

Al contempo il Governo dovrebbe pubblicizzare i risultati, vagliati dagli Enti certificatori, dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE) sul piano economico, sociale e ambientale al fine della programmazione SEN. Queste due leve, l’indagine capillare e un documento programmatico sui TEE, sembrano un aspetto necessario, propedeutico alla realizzazione della SEN.

Il coinvolgimento di tutto il mondo del lavoro, alla stregua di quanto adombrato e purtroppo non realizzato dal “Piano d’efficienza energetica 2010 – 2020”, è la carta fondamentale per il successo di una strategia di accrescimento dell’efficienza energetica e di incremento dell’occupazione.

  1. STRATEGIE “LOW CARBON”

3.1 Le indicazioni dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) sugli investimenti

“I Paesi europei devono accelerare rapidamente gli sforzi e definire i loro bisogni di investimento e i piani per adattarsi ai loro obiettivi nel passaggio verso un’economia low carbon sostenibile e resiliente al clima», recita il briefing  “Financing Europe’s low carbon, climate resilient future” pubblicato di recente dall’ EEA, che sottolinea anche: “La necessità di una chiara informazione sulle esigenze e le priorità degli investimenti per attirare finanziamenti privati”.

L’EEA sollecita un sostanziale ri-orientamento dei flussi finanziari verso investimenti più sostenibili come condizione per una transizione verso un futuro low carbon, e, nello studio “Assessing the state-of-play of climate finance tracking in Europe” pubblicato il 6 luglio scorso 4, rileva che solo pochi paesi europei  – Belgio, Estonia, Francia, Germania  e Repubblica ceca – hanno trasformato gli obiettivi climatici e energetici in concreti impegni d’investimento e “sembrano aver un approccio nazionale o una strategia in atto per tenere traccia delle spese relative alla mitigazione e all’adattamento climatico”.

Lo studio riporta: “Una mancanza di preparazione e informazione a livello nazionale per quanto riguarda i bisogni totali di investimento stimati, nonché i loro volumi di spesa pianificati e attuali per scopi climatici e energetici. Di conseguenza, le stime dell’Unione europea relative ai fabbisogni totali di investimento finanziario per il clima non sono abbinati a valutazioni complementari nazionali”. E nel briefing l’EEA chiede di “sviluppare piani nazionali per aumentare i capitali per poter rispettare i loro obiettivi relativi al clima e all’energia, per rafforzare la fiducia degli investitori, aumentare l’attrattività degli investimenti e migliorare la certezza politica”.

L’Unione europea ha stimato la necessità di investimenti in circa altri 177 miliardi di euro all’anno dal 2021-2030, e l’EEA sottolinea: “Per colmare questo divario saranno necessari finanziamenti sostanziali:  un raddoppio degli attuali investimenti nell’energia rinnovabile e nell’efficienza energetica. Questo richiederà la mobilitazione di fondi pubblici e privati …”.

La SEN sopperisca ai rilievi dello studio EEA seguendone le indicazioni e le richieste per quanto riguarda le stime di investimento e i “volumi di spesa pianificati e attuali per scopi climatici e energetici”; prevedendo pertanto per il 2021 – 2030 il raddoppio degli attuali investimenti.

3.2 Alt ai finanziamenti dei combustibili fossili e abbandono del carbone entro il 2020

Secondo i dati diffusi dal rapportoTalk is Cheap: How G20 Governments are Financing Climate Disaster5, presentato il 5 luglio scorso da Oil Change International, Friends of the Earth US, Sierra Club e Wwf European Policy Office e al quale ha collaborato anche Legambiente per la parte italiana: “Nonostante gli Accordi sul clima di Parigi e gli impegni presi per contrastare i cambiamenti climatici, i Paesi del G20 continuano ad incentivare l’uso dei combustibili fossili fornendo quasi quattro volte più fondi pubblici a questo settore che alle energie rinnovabili”. “Tra il 2013 e il 2015 i finanziamenti pubblici che gli Stati del G20 hanno destinato alle fonti fossili si attestano a 122,9 miliardi di dollari l’anno”.

Per quel che riguarda l’Italia: “In tre anni (2013-2015) la Penisola attraverso SACE e CDP ha destinato con 21 progetti ben 2,1 miliardi di dollari medi annui ai combustibili fossili contro i 123 milioni di dollari l’anno destinati alle energie pulite”, piazzandosi all’ottavo posto nella classifica per finanziamenti pubblici a sostengo dei combustibili fossili e risultando così tra i paesi peggiori, insieme alla Germania, per la mancata corrispondenza tra lotta ai cambiamenti climatici e finanziamenti pubblici. “In particolare l’Italia, sebbene nell’ambito della sua presidenza del G7 abbia promosso un’agenda per allineare la finanza bancaria multilaterale di sviluppo con gli obiettivi degli accordi di Parigi, ha dimostrato fino adesso scelte e fatti ben diversi”.

Inoltre, sul piano globale: “Recenti analisi mostrano come anche soltanto continuando ad utilizzare le attuali risorse di petrolio e gas, negli impianti già in esercizio, e considerando l’estrazione del carbone completamente esaurita, il Pianeta si riscalderà ben oltre gli 1,5° C consigliati. Le potenziali emissioni di CO2 provenienti da tutti i combustibili fossili negli impianti e nelle miniere già operanti al mondo ci porterebbero infatti ben oltre i 2° C”.

Il perdurare dell’Italia in investimenti pubblici a favore dei combustibili fossili è incompatibile con il rilevante impegno economico segnalato dall’EEA per il periodo 2021 – 2030, stimabile in più di 2 miliardi di dollari all’anno (pari all’esborso annuale nel triennio 2013 – 2015 per i combustibili fossili, vedi sopra).

In questo quadro, anche la scelta del gas da fonti fossili non può essere vista come una scelta strategica sulla quale investire grandi risorse, come invece ipotizza l’attuale SEN. L’idea della vecchia SEN, di una “Italia come hub del gas”, sembra invece ricomparire sotto le vesti di un “Piano Gas” con grandi investimenti in infrastrutture che ingesserebbero le scelte per il futuro, e con meccanismi ipotizzati a favore degli imprenditori ma a carico delle bollette dei cittadini.

Pertanto la SEN deve porre un termine certo, il 2020, agli investimenti pubblici, diretti o indiretti, sui combustibili fossili che sono inoltre in totale contrasto, per i motivi appena riportati, con l’attuazione dell’ “Accordo di Parigi” e gli impegni presi.

La SEN prevede l’abbandono del carbone entro il 2030. Alla relativa marginalità di questa fonte fossile nel sistema energetico nazionale corrisponde invece un rilevante impatto sanitario e una significativa “mortalità aggiuntiva”. Ciò pone in primo piano la tutela della salute che la Costituzione vuole assicurata per tutti i cittadini, indipendentemente dal loro luogo di residenza; una tutela che viene meno, ad esempio, nel raggio di massima ricaduta degli inquinanti emessi da una centrale termoelettrica a carbone ma anche in ampie zone del Paese, soprattutto nell’area padana, per l’estensione della diffusione degli inquinanti caratteristica dell’elevata altezza dei camini. Come è stato evidenziato da vari studi internazionali, sia i danni sanitari che la mortalità aggiuntiva comportano anche un costo economico, che relativamente a quest’ultima, può essere stimato sulla scorta del rapporto EEA 2011: “Revealing the costs of air pollution from industrial facilities in Europe” (EEA Technical Report, n.15/2011).

Rispetto della salute, costituzionalmente tutelata, contro le “morti aggiuntive”, sgravio da indebiti costi economici e sociali e coerenza con gli impegni derivanti dall’ “Accordo di Parigi” richiedono un abbandono il più possibile immediato del carbone, che, anche tenendo conto dell’inerzia tipica di ogni componente massiva di un sistema energetico, può essere anticipato nella SEN al 2020.

3.3 Ciclo di vita e obsolescenza programmata

E’ in discussione al parlamento europeo la relazione sulla durata dei prodotti, “Sortir de la société du déchet permanent tout en créant de nombreux emplois en Europe6, che chiede misure concrete per affrontare lo spreco di denaro, energia e risorse dovuto alla deperibilità e obsolescenza dei prodotti immessi sul mercato e che i prodotti siano più resistenti, anche grazie a degli standard prefissati in collaborazione con le organizzazioni europee di normalizzazione. Infatti, secondo uno studio del Servizio di ricerca del Parlamento europeo uno smartphone ha una vita di due anni, i piccoli elettrodomestici, i giocattoli e i vestiti hanno vita altrettanto breve e i computer portatili, le biciclette e gli indumenti sportivi vengono solitamente sostituiti in capo a quattro anni; mentre un sondaggio dell’ Eurobarometro rivela che il 77% dei consumatori preferirebbe poter riparare un oggetto rotto, invece di doverlo sostituire.

L’europarlamento vuole affrontare anche un aspetto più insidioso: “l’obsolescenza programmata”, “cioè la costruzione ad hoc dei difetti in un dispositivo in modo che questo si rompa entro un certo periodo di tempo”. Poiché il ricorso a un tale sistema può essere difficile da dimostrare, i deputati europei hanno chiesto alla Commissione di istituire un sistema indipendente per monitorare eventuali illeciti. Inoltre, in sintonia con l’orientamento della stragrande maggioranza dei cittadini europei, più del 90% secondo Eurobarometro, che ritengono che i prodotti debbano essere chiaramente contrassegnati per indicare la loro longevità, il Parlamento europeo propone l’introduzione di un sistema di etichettatura che soddisfi tale richiesta.

E’ importante questa ripresa d’interesse europeo per iniziative che si inseriscono nel modello di Economia circolare, guardando alla prima fase del ciclo di vita dei prodotti, cinque anni dopo la pubblicazione da parte della Commissione del “Manifesto for a Resource Efficient Europe8, nel quale si segnalava la necessità (“.. no choice but..8) di una transizione all’Economia circolare illustrandone le potenzialità non solo in termini di nuova occupazione e di competitività ma anche come opportunità per l’innovazione, gli investimenti e nuovi modelli di lavoro.

Fino ad oggi però l’attenzione di Bruxelles era rimasta polarizzata sulla gestione dei rifiuti, la seconda parte del ciclo di vita dei materiali, e non sulla prima parte, cioè la progettazione ecologica dei prodotti, come queste attività del Parlamento europeo richiamano.

Promuovere la produzione di beni progettati per essere durevoli, sostenibili e riciclabili comporta una riduzione rilevante dei rifiuti attraverso la maggior durata dei beni, la loro riparazione, il riciclo; e, in generale, anche una vita più lunga degli impianti di trattamento; il tutto risulta poi in una riduzione complessiva dei consumi energetici. Pur rappresentando una sfida per i produttori può avvantaggiare le piccole e medie imprese e le aziende che, non potendo competere sul prezzo, possono farlo sulla qualità.

La SEN deve inserire nella programmazione al 2030 indicazioni efficaci per la realizzazione di un’economia circolare e, al di là dei vantaggi economici e sociali previsti dal “Manifesto” della Commissione, stimare le ricadute in termini di riduzione dei consumi energetici con la loro temporizzazione.

3.4 L’auto elettrica

Da circa un quarto di secolo numerosi studi e documenti internazionali e della stessa Commissione UE propongono modelli di forte riduzione del traffico veicolare, soprattutto urbano, e le vie per conseguire simili obiettivi. Per l’Italia è stata ripetutamente segnalata come patologica la differenza tra traffico merci su gomma e su rotaia a favore della prima – costantemente ignorata da Governi che hanno concesso a più riprese nel tempo significativi finanziamenti pubblici senza mai ottenere la richiesta razionalizzazione del settore su gomma – ed è stato additato l’uso delle due grandi “autostrade”, il Mar Tirreno e il Mar Adriatico,come un forte supporto a basso costo e ad alta capacità per il traffico delle merci non deperibili. Queste e molte altre indicazioni, quante piste ciclabili!, hanno costellato convegni e sessioni di Bilancio del Parlamento italiano, ma attesa l’esiguità degli effetti lasciamo ad altri di maggior buona volontà il riproporle.

Dissentiamo invece dalla previsione della SEN relativamente al decennio 2021 -2030 che vede una penetrazione minimale delle rinnovabili nel settore trasporti, sostanzialmente consegnata ai biocombustibili. A parte ogni considerazione di carattere ambientale sull’utilizzo nei trasporti del metano e dei biocombustibili – il primo non rappresenta certamente una risposta valida alla riduzione dei gas serra – la sottolineatura sul ruolo del biometano, ottenuto “dalle bucce di mela” secondo la pubblicità dell’ENI, sembra, più che un attenta riflessione sul mercato, le sue potenzialità e i suoi sviluppi, un omaggio alla “nostra” potente multinazionale, perenne redattrice, insieme all’ENEL, dei fallimentari Piani Energetici Nazionali (PEN) del secolo scorso.

Il mercato infatti ci dice ben altro, e cioè del formidabile sviluppo che avrà l’auto elettrica proprio sull’arco di tempo della SEN. Numeri e previsioni son facilmente attingibili dai numerosi studi comparsi anche in tempi recenti e vorremo fosse molto chiaro che pensiamo, per fortuna non solo noi, a un auto elettrica pienamente inserita nel ciclo delle fonti rinnovabili. Quel che sembra grave nella visione della SEN è l’attardarsi su soluzioni vecchie, obsolete – tutti ricordano l’esperienza del Brasile con percentuali sempre più elevate nella benzina di alcoli derivati dalle colture ad hoc – invece che puntare su un futuro che è già cominciato.

E, a proposito di mercato, ci sembra illuminante ricordare che Elon Musk, il cofondatore di Paypal e attuale contractor con SpaceX – di cui è leader e Ceo – del Governo degli US per gli shuttle di collegamento con la piattaforma spaziale, è anche Ceo di “Tesla”, la fabbrica di automobili elettriche il cui nome si riferisce, pour cause, al geniale inventore, oltre un secolo fa, del motore elettrico utilizzato dalle “Tesla Model”. Musk ha messo in open source su Internet, oltre un anno fa, i brevetti più importanti delle sue “Tesla” dichiarando di voler facilitare in questo modo la diffusione dell’auto elettrica; e a marzo scorso aveva già ricevuto oltre 400 mila prenotazioni per la “Model 3”, l’auto completamente elettrica che entro l’anno verrà immessa sul mercato con un prezzo intorno ai 30 mila euro. Già nel 2015 la “Tesla” è stata dichiarata da Forbes l’azienda più innovativa al mondo.

Non c’è bisogno di essere californiani per prevedere che una soluzione di questo tipo batterà in breccia i vari modelli ibridi già in circolazione – quelli elettrici hanno un costo simile ma prestazioni molto più scadenti soprattutto riguardo all’autonomia – e comporterà riduzioni di costi e di prezzi proporzionali alle quote di mercato che riuscirà a guadagnare. La diffusione prevedibile di una fitta rete di colonnine di “rifornimento” per le batterie comporterà un ulteriore impulso alla penetrazione delle fonti rinnovabili. Non a caso Cina e India hanno optato per accelerare i loro programmi di mobilità elettrica, e l’India ha deciso che dal 2030 si venderanno nel Paese solo auto elettriche.

Nel 2030, rispetto a diverse e più ottimistiche previsioni avanzate, è conservativo ritenere che un 20% del circolante sarà costituito da auto elettriche. Insomma, il futuro, prossimo, è lì, non davvero nei biocombustibili.

La SEN deve tenere conto del panorama internazionale dell’auto elettrica e del suo sviluppo; e riformulare sotto questa luce programmi e politiche dei trasporti, prevedendo anche un impegno di ricerca e sviluppo con centri di ricerca pubblici e finanziamenti privati 8 per l’evoluzione di tutta la componentistica, soprattutto le batterie, e la riduzione dei costi.

Costruire la cultura della sostenibilità energetica

Le strategie energetiche sono “storicamente” mirate sul medio-lungo termine, senza ignorare ovviamente quanto si può e si deve fare subito. Esse si devono porre perciò il problema delle modifiche culturali, oltre che sociali, che si possono determinare sul lungo termine. Tanto più nell’era dell’instabilità climatica, di quei cambiamenti climatici che già nel 2012 il numero di apertura online della rivista Nature denunciava come: “The treat has never been greater”, sollecitando tutti gli uomini di scienza a farsi promotori, con tutti i media che l’innovazione ha messo a disposizione, di un “risveglio” dell’opinione pubblica.

Purtroppo questo risveglio è più lento di quanto sarebbe auspicabile, testimoniato in Italia dall’impressionante numero di persone che ignorano il percorso che ha portato dal Protocollo di Kyoto all’Accordo di Parigi; peggio, da quanti, anche tra studenti universitari, non sanno, ormai a pochi anni dal loro traguardo, che cosa siano i tre 20%, tanto meno il ruolo di riferimento che hanno svolto a livello mondiale. Da qui l’inderogabile necessità di capovolgere questa situazione, a partire da alcuni elementi che vogliamo qui di seguito riportare come un riferimento assai schematico, vista la sede, ma necessario.

Per quanto riguarda il cambiamento climatico: “I buoi sono scappati dalla stalla”, siamo cioè già passati alla fase dell’instabilità climatica come testimonia su scala mondiale: il moltiplicarsi di eventi meteorologici estremi, il diffondersi impressionante di aree di siccità, la “cattiva” statistica che vede accumularsi negli ultimi vent’anni tutti i massimi delle temperature medie sulla superficie del pianeta, la spaccatura della calotta artica; insomma tutti i fenomeni che sono stati collegati al global warming. Che questo collegamento sia scientificamente inoppugnabile lo evidenziò il rapporto “Abrupt Climate Change” prodotto nel 2002 dal Consiglio delle ricerche (NRC) dell’Accademia delle Scienze americana9, che fu alla base dell’acceso dibattito che in capo a tre anni portò le Accademie delle Scienze dei maggiori Paesi del mondo ai già ricordati statement e alle loro forti sollecitazioni 2,3.

Nel rapporto, frutto di dieci anni di lavoro sul campo – carotaggi dall’Antartide al Golfo del Venzuela – , di analisi dei campioni di isotopi raccolti e di studio di modelli, veniva capovolto il punto di vista dominante della Climatologia che negava all’atmosfera ogni ruolo nelle modificazioni climatiche, riservate invece, quelle non astronomiche (rotazione, rivoluzione, precessione della Terra e loro fluttuazioni), alle variazioni di salinità delle correnti oceaniche e al bilancio della masse ghiacciate, soprattutto le calotte polari, del nostro pianeta. La negazione di un ruolo per l’atmosfera comportava che i gas serra, responsabili del global warming ma presenti nello strato più basso dell’atmosfera, non venissero accettati come climalteranti. La resistenza opposta in questo senso dai Climatologi si fondava, ma solo in positivo, su un evento molto bel studiato, il Dryas recente: la glaciazione dell’area Nord Atlantica, per un po’ più di mille anni a partire da 13 mila anni fa, come dovuta al blocco della corrente del Golfo per la riduzione della sua densità salina, causata a sua volta dallo scioglimento di un enorme scudo di ghiaccio sul Canada e dal conferimento di queste acque dolci alla Corrente del Golfo.

Questo esempio corroborava sicuramente la convinzione che i fattori dominanti delle modificazioni climatiche fossero proprio i due alla base del Dryas recente, non consentiva però di escluderne altri. Infatti, alla posizione dominante il rapporto del NRC controbatteva che l’atmosfera “cuce”, ricopre sia gli oceani che le terre emerse e che, più leggera e rapida nella sua azione di quelle due componenti assai più massive (correnti oceaniche e grandi masse ghiacciate) poteva essere in grado di produrre alterazioni del clima. E un modello apparentemente “semplice” spiegava, nel Rapporto, il passaggio dalla stabilità all’instabilità climatica in termini di raggiungimento di un valore di soglia per l’intensità dell’ “azione forzante” (il global warming). Il fatto che sull’arco di 50 anni ci sia stata una variazione della concentrazione in atmosfera di CO2 – il gas serra maggioritario – pari a quella che in precedenti epoche climatologiche ha richiesto 5000 anni produce il verificarsi dell’effetto soglia: la contrazione per un fattore 100 – da 5000 a 50 anni – è la misura dell’intensità raggiunta dall’ “azione forzante”, dal global warming. Un’intensità in grado di rompere la stabilità dell’equilibrio climatico.

Questa premessa evidenzia in estrema sintesi la molteplicità delle discipline scientifiche coinvolte, dalla Climatologia, all’Energetica, alla Fisica, alla Bio-geochimica, al complesso delle Scienze Naturali, per lo studio e l’interpretazione dei fenomeni; dalla Sociologia ambientale all’Economia alle Scienze dell’Informazione per quanto riguarda le implicazioni ambientali, sociali ed economiche del verificarsi sempre più accentuato e drammatico delle conseguenze dei fenomeni connessi al global warming.

Riguardo a questi fenomeni, l’avvenuto passaggio all’instabilità climatica – recepito anche nel V° Rapporto dell’IPCC nella forma di un’anticipazione di 20 anni, dal 2050 al 2030, del “punto di non ritorno” – obbliga a non considerare più il loro accadimento, il loro sommarsi e aggravarsi, come un’emergenza; al contrario, attesi i tempi di permanenza della CO2 in atmosfera, è lo scenario delle prossime decadi.

Ciò comporta un gigantesco sforzo di education dei cittadini a tutti i livelli e in tutti i luoghi di lavoro e di formazione, a partire da quella scolastica. Se la consapevolezza di questa esigenza non si trasformasse in consapevolezza diffusa e promotrice di stili di vita e azioni coerenti verso uno sviluppo sostenibile, la SEN perderebbe una componente socio-culturale fondamentale che ne pregiudicherebbe la realizzazione stessa.

Le azioni di mitigazione volte al conseguimento dei tre 20% al 2020, che si stanno già trasformando nell’Unione Europea in obiettivi ancor più impegnativi al 2030, configurano una progressiva ma marcata riduzione delle fonti fossili verso un molto maggior impiego di energie diffuse nel territorio, come quelle rinnovabili, fino all’autoproduzione e all’autoconsumo; ciò comporta una maggior iniziativa e un maggior controllo sociale da parte dei cittadini, ma richiede al contempo più sapere e più intelligenza nell’uso delle fonti.

Insomma, il passaggio da un modello energetico di fonti accentrate, di grande potenza e controllate da pochi, a uno basato su fonti diffuse e direttamente accessibili da molti. Di tutto questo la maggior parte dei cittadini è scarsamente informata e consapevole; e non appaiono sufficienti, in rapporto alla difficoltà degli obiettivi da conseguire, quel po’ di pratiche virtuose che pure si stanno attuando e stanno crescendo.

Non è insomma pensabile una SEN senza un’azione che:

  1. i) investa i programmi e i contenuti scolastici, dalla scuola dell’infanzia a quella dell’obbligo sui temi schematicamente enunciati;
  2. ii) produca un’education generale dei cittadini italiani, sia sui cambiamenti climatici non più come un’emergenza sia sugli aspetti tecnologici e sulle conseguenze sociali e culturali del nuovo modello energetico.

Questa dimensione è sostanzialmente assente dai documenti del Governo sulla SEN, col grave rischio di pregiudicarne la realizzazione o, nel migliore dei casi, di ridurre il conseguimento di alcuni risultati all’esito di un’innovazione meramente tecnologica.

Spetta al Governo decidere in quale forma voglia integrare nella SEN queste esigenze e questi problemi.

Roma, 11 luglio 2017

1 “.. Using the results from formal economic models, the Review estimates that if we don’t act, the overall costs and risks of climate change will be equivalent to losing at least 5% of global GDP each year, now and forever” “ The investment that takes place in the next 10-20 years will have a profound effect on the climate in the second half of this century and in the next.”. Stern N. (2006), “Stern Review on the Economics of the Climate Change”. http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20100407172811/http://www.hm-treasury.gov.uk/stern_review_ report.htm

2Joint science academies’ statement: Energy Sustainability and Security, 14 June 2006, http://www.greencarcongress.com/2006/06/12_national_aca.html/.

3Joint science academies’ statement: Global response to climate change, 7 June 2005, https://royalsociety.org/topics-policy/publications/2005/global-response-climate-change/

4http://trinomics.eu/wp-content/uploads/2017/07/State-of-play-of-European-climate-finance-tracking-published-6-July-2017.pdf

5 http://priceofoil.org/2017/07/05/g20-financing-climate-disaster/

6 https://twitter.com/PDurandOfficiel/status/881443636394831872

7In a world with growing pressures on resources and the environment, the EU has no choice but to go for the transition to a resource-efficient and ultimately regenerative circular economy” http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-12-989_en. htm

8 Non sarebbe infatti appropriato che i colpevoli ritardi della FCA venissero colmati dalla ricerca finanziata dal Governo.

9Abrupt climate change. Inevitable surprises”. National Academic Press, Whashington, D.C., Copyright 2002 by the National Academy of Sciences

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Quale strategia energetica nazionale

a cura di Roberto Meregalli

Il governo è al lavoro sulla nuova strategia energetica nazionale (SEN); il ministro Calenda ha spiegato nell’audizione parlamentare di inizio marzo che la “vecchia” SEN va aggiornata “a seguito delle profonde trasformazioni economiche ed in particolare del mercato energetico occorse negli ultimi quattro anni”.

Secondo Calenda la SEN 2017 sarà uno strumento per tre obiettivi:

  • Individuare le principali scelte strategiche in campo energetico, in connessione anche ai nuovi obiettivi europei del Clean Energy Package e traguardando obiettivi di sicurezza e economicità.
  • Definire le priorità di azione ed indirizzare le scelte di allocazione delle risorse nazionali.
  • Gestire il ruolo chiave del settore energetico come abilitatore della crescita sostenibile del Paese.

La prima bozza era stata annunciata per il G7 sull’energia, svoltosi il 9 e 10 aprile a Roma, ma così non è stato, si attende quindi il 27 aprile quando in audizione parlamentare il governo dovrebbe presentare le prime slides, cui dovrebbe seguire una consultazione pubblica. Parallelamente però il governo sembra intenzionato a varare un decreto legge in cui rendere operative alcune indicazioni, in particolare in tema di sconti agli energivori, le industrie che consumano più energia.

Un primo e non secondario problema è infatti capire come rendere significativa questa nuova strategia, visto il fallimento della precedente. Va ricordato che la “vecchia” nacque per giustificare il ritorno al nucleare e fu l’allora ministro Scajola a inserirla in un decreto legge (il 112/2008). Ma l’incidente di Fukushima e il referendum fecero saltare tutto e la legge 133 che aveva recepito il decreto venne “smontata” con l’abrogazione dell’articolo 7 e dell’art. 5 comma 8, cosicché la SEN si trovò orfana di qualsiasi riferimento legislativo e relegata ad “atto di indirizzo”. Atto di indirizzo a cui non è seguita alcuna pianificazione; come qualcuno ha argutamente detto: “alle slides non è seguito nulla”.

La SEN 2013

Comunque sia andata a finire, la SEN 2013 aveva come primo pilastro la competitività, come secondo l’ambiente, come terzo la sicurezza e come conseguenza dei tre sarebbe dovuta derivare crescita economica.

A ben guardare dal 2013 ad oggi nessuno dei tre obiettivi ha fatto passi avanti perché anche se oggi si continua a ripetere che il nostro Paese ha già raggiunto gli obiettivi europei stabiliti per il 2020 (il famoso pacchetto 20-20-20), si tratta di un risultato pregresso, negli ultimi tre anni di passi avanti ne sono stati fatti pochi, anzi nel settore elettrico siamo in ritirata. Basti confrontare la quota di elettricità generata dalle rinnovabili nei primi due mesi di quest’anno con i tre anni precedenti, dal 32,9% siamo scesi al 27,4%:

La vecchia SEN del resto metteva molta più enfasi sul progetto di fare l’Italia un hub del gas che sullo sviluppo delle rinnovabili che era sempre citato solo unitamente al termine “sostenibile” inteso in senso economico.

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Le rinnovabili non sono cosa da Ragazzi

di Mario Agostinelli e Giovanni Carrosio

Dall’inizio del 2013 è stato sferrato un attacco pesantissimo alle rinnovabili da parte delle più grandi testate giornalistiche nazionali, ispirate ai comunicati delle lobby energetiche. Queste continuano a guardare di traverso e con insofferenza all’influenza ormai rilevantissima del solare, dell’eolico e del mini-idroelettrico, sulla struttura di produzione e di distribuzione elettrica nazionale. Evidentemente Enel, Eni e Assoelettrica hanno fatto male i loro conti quando hanno investito sull’esclusiva predominanza dei fossili. I loro manager poi, così abituati ad avere ai loro piedi l’establishment politico che li designa,  hanno chiesto ai politici e ai media di coprire loro le spalle influenzando l’opinione pubblica.

Così Il Corriere della Sera si è distinto per dare spazio ad interventi critici oltre misura nei confronti degli incentivi e delle politiche di innovazione in campo energeticoAlesina e Giavazzi  (due economisti non certo esenti da furore ideologico) si sono sbizzarriti, infilando ovunque l’argomento delle rinnovabili come cattivo esempio di politica neo-statalista. Addirittura, nella Giornata mondiale per l’Ambiente, un articolo a firma di Danilo Taino, dal taglio apertamente negazionista sulla crisi ambientale, ha sostenuto il fallimento del fotovoltaico in Italia, sia come politica industriale che come strumento per combattere il cambiamento climatico. Anziché fornire dati a sostegno di questa indifendibile tesi, ha argomentato con il peso degli incentivi nelle bollette e con le infiltrazioni mafiose nella costruzione dei grandi impianti fotovoltaici. Dal portale Lavoce.info e dal suo blog su Il Fatto Quotidiano online, poi, l’instancabile prof. Ragazzi ha rinvigorito la sua battaglia contro gli incentivi, spalleggiando il ministro Zanonato sulla necessità di tagliare i sussidi dalle bollette.

Forte di questa campagna mediatica, il ministro Zanonato, dopo un colossale infortunio sulla necessità di tornare al nucleare, si è gettato a testa bassa contro il caro bollette. Cosa ragionevole, se si ragionasse a 360 gradi, non imputando alle rinnovabili tutte le colpe dell’incremento dei prezzi dell’energia in Italia. L’obiettivo del ministro, a quanto emerso dalle sue dichiarazioni, è di tagliare di 3 miliardi il costo delle bollette spalmando su più anni i pagamenti in favore di chi ha diritto agli incentivi, o facendo pagare  gli oneri di sistema per ridurre il peso della componente A3 in bolletta.

Il prof. Ragazzi e l’onere della prova: chi l’ha detto che le rinnovabili fanno crescere il costo delle bollette?

È vero che il costo elettrico cresce ”perché abbiamo molti incentivi sulle rinnovabili”? Certamente c’è un effetto, ma ci sono molti vantaggi.  Ad esempio, lo studio di Althesys stima un “peak shaving” netto di 838 milioni di euro, grazie al fatto che con l’avvento delle rinnovabili il picco di prezzo non coincide più con la massima domanda di energia elettrica. Soprattutto, Ragazzi mette nell’oblio il problema della dipendenza del nostro paese dalle fonti fossili e la crescita continua dei loro prezzi. Negli ultimi dieci anni la bolletta media degli italiani è cresciuta nella voce “energia e approvvigionamento”, passando da 106 a 293 euro (+177% per famiglia). Per non parlare poi dei sussidi alle fonti fossili, gli oneri impropri, gli sconti ai grandi consumatori di energia elettrica, che ammontano a circa 6 milardi di euro (che il nostro mette in un unico mucchio con gli incentivi per Pv).

Il decreto Fare2: difendere la proprietà, incentivare il carbone e destrutturare il sistema delle rinnovabili

Che dire allora degli incentivi per il “carbone pulito”, dell’idea di caricare sugli autoproduttori i costi per aggiornare la rete, proprio mentre le “larghe intese” patteggiano il taglio dell’Imu? Non si può sorvolare sul fatto che, proprio per finanziare la cancellazione dell’Imu, è stato deciso un prelievo(300 milioni di eurodai fondi destinati a efficienza e rinnovabili. È come se questi 300 milioni fossero presi dagli oneri di sistema che tutti paghiamo nelle bollette e, quindi, come se fossimo costretti ad aumentare il peso del prelievo con la voce A3. Ma non basta. Nel decreto del Fare2 (articolo 3) si prevedono finanziamenti fino a 63 milioni di euro l’anno per venti anni per realizzare una centrale elettrica a carbone con cattura di CO2 nell’area del Sulcis, con un incentivo ventennale di 30 euro a megawattora prodotto (più degli scandalosi 28 euro/MWh per il biogas!). E chi pagherà? Il sistema elettrico nazionale, ancora con un prelievo in tariffa. Ovvero altri soldi a carico delle famiglie .

Se questa è la logica adottata, chi l’ha detto che il sostegno alle rinnovabili debba essere pagato dagli utenti e non piuttosto da chi inquina e ha finora scaricato sulla società tutte le esternalità che non hanno mai pagato?

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Per un modello energetico sostenibile e distribuito, per un mondo senza nucleare.

UN NUOVO MODELLO ENERGETICO PER IL LAVORO, LA  RICERCA, LA SALVAGUARDIA DEL CLIMA, A DUE ANNI DALLA VITTORIA AL REFERENDUM CONTRO IL NUCLEARE

Presentazione dell’Appello unitario di esponenti del  mondo scientifico, del  lavoro,  dell’ambientalismo, della società civile.

Si terrà lunedì 24 giugno, alle ore 11.30, presso l’auletta del CIRPS, piazza S. Pietro in Vincoli 10, a Roma, una conferenza stampa convocata dal comitato “Si alle energie rinnovabili NO al nucleare”, nella quale sarà presentato l’appello “Per un modello energetico sostenibile e distribuito, per un mondo senza nucleare”.

 

Nel testo, che registra una non scontata, ma promettentissima alleanza fra esponenti del mondo scientifico, del mondo del lavoro,  dell’ambientalismo e della militanza sociale, si disegna un futuro energetico di fuoriuscita dai fossili, con un realistico approccio alla riconversione ecologica dell’economia e un richiamo al protagonismo sociale che è indispensabile per continuare a seguire un cammino democratico, conseguente  all’espressione della maggioranza degli italiani chiamati alle urne solo due anni fa'”.

 

Per un modello energetico sostenibile e distribuito,

per un mondo senza nucleare.

L’appello si colloca in una fase decisiva per le politiche energetiche e industriali, per l’attività di ricerca, per contrastare il cambiamento climatico. Il governo Monti ha proposto, a “tempo scaduto”, una Strategia Energetica Nazionale (SEN), che è stata per il momento assunta anche dal governo Letta, che, in definitiva,  rispecchia gli interessi dell’ENI e dell’Enel e dei finanziatori delle infrastrutture (gasdotti, depositi etc.), dà il via libera alle trivellazioni per il petrolio, e promuove il carbone come alimentazione delle centrali termoelettriche”. Al contrario, l’appello, in sintonia con le scelte europee, traccia il percorso di effettiva riduzione delle emissioni climalteranti; quindi prevede  l’alt al carbone, alle trivellazioni per il petrolio e alla proliferazione di rigassificatori e depositi del gas; un immediato impulso al risparmio, il decentramento degli impianti a fonti  rinnovabili, un piano per la ricerca nei settori energetici più avanzati, un piano industriale per l’attuazione della road map UE al 2030, in raccordo con i Piani energetici delle Regioni delle città, dei consorzi dei comuni.

 

Firme prestigiose sostengono l’appello e danno credito ad  un movimento articolato che veda protagonisti lavoratori, cittadini, movimenti e associazioni, e investendo tutti gli ambiti della produzione, del consumo, della organizzazione delle città, degli stili di vita collettivi e individuali”.

La crisi economica globale originata dal crollo finanziario del 2008, coi devastanti effetti occupazionali e sociali purtroppo ben noti nel nostro Paese, si è andata a sovrapporre alla crisi globale dell’ambiente, che ha nel cambiamento del clima il suo più attuale e drammatico riferimento.

Il coincidere di queste crisi avrebbe dovuto rimettere in discussione dalle fondamenta il modello di sviluppo, dal quale entrambe sono state generate, per muoversi con determinazione verso una tante volte evocata riconversione ecologica dell’economia e della società, attraverso una transizione difficile ma possibile.

In questa direzione si è espressa la maggioranza degli italiani solo due anni fa. Con la vittoria dei referendum sull’acqua pubblica e contro il nucleare, si è aperta una prospettiva che va anche oltre l’importanza indiscutibile delle due questioni, ancora aperte nella traduzione della volontà popolare in atti e leggi definitive: si è posto il problema della salvaguardia di alcuni “beni comuni” e “nuovi diritti”, che non possono essere governati solo dalle logiche del mercato.

Oggi questa battaglia deve continuare: analogamente alla ripubblicizzazione dell’acqua, che sta proseguendo con un articolato movimento dal basso, è necessario farla definitivamente finita col nucleare, in Italia e in Europa, anche introducendo una gestione trasparente e sicura (ad oggi non garantita dalla società deputata, Sogin) delle scorie, degli impianti e di quanto resta del ciclo nucleare.

Tuttavia non possiamo limitarci solo a questi importanti temi. Iniziative molto più corpose e propositive devono essere intraprese per effettuare il passaggio ad un nuovo modello di sviluppo. Parte significativa della transizione sarebbe compiuta se si imboccasse con decisione la strada dell’economia dei beni durevoli e sostenibili, in particolare nel settore energetico. L’attuale modo di produrre e consumare energia, con oltre l’80% di ricorso ai combustibili fossili su scala mondiale, è il massimo responsabile dell’incremento delle emissioni di CO2 e della sua concentrazione in atmosfera, alla base, appunto, dello sconvolgimento climatico.

Proprio per far fronte a questa situazione, che la rivista Nature denunciava nel 2012 come: “non è stata mai così grave”, la UE, dopo la convenzione di Aarhus, sui diritti alla giustizia ambientale, lanciò nel 2007 la strategia dei tre 20% al 2020, obiettivi vincolanti per i Paesi aderenti. Oggi in Europa, le road map e gli scenari in discussione vanno oltre le politiche del pacchetto “20 – 20 – 20” e chiedono obiettivi vincolanti al 2030 sulle emissioni di gas serra e sull’ energia: il taglio del 55% delle emissioni, rispetto al 1990; il contributo delle fonti rinnovabili al 45%; ulteriori misure di efficienza energetica per contenere la crescita dei consumi puntando alla completa “decarbonizzazione”, almeno della produzione elettrica, al 2050.

Dopo i referendum, non sentendosela di riproporre per la terza volta il nucleare, il governo Monti ha proposto, per di più a “tempo scaduto”, una Strategia Energetica Nazionale (SEN), che è stata per il momento assunta anche dal governo Letta. Ancora una volta, come in tutti i Piani Energetici Nazionali che si succedettero nel secolo scorso, la SEN rispecchia gli interessi aziendali dell’ENI e dell’Enel e dei finanziatori delle infrastrutture (gasdotti, depositi etc.), rispettivamente con il via libera alle trivellazioni per il petrolio, anche offshore, con la progettazione di facilities per il gas e con la promozione del carbone come alimentazione delle centrali termoelettriche. I colossali interessi di grandi gruppi prevalgono su quelli del Paese, dell’ambiente e della salute dei cittadini.

La proposta che la SEN fa poi dell’Italia come “hub” europeo del gas, non ha alcun assenso in sede UE – ogni Paese avendo una sua politica energetica raccordata solo parzialmente con gli altri –, e rivela la sua totale inconsistenza a fronte del nuovo ruolo che gli Stati Uniti stanno esplicitamente assumendo come leader mondiale per il gas, ottenuto nel loro sottosuolo tramite nuove tecnologie, soprattutto il “fracking”.

Ancora, in accoglimento delle lamentele, soprattutto degli operatori elettrici di Assoelettrica, per la competizione finalmente aperta nel settore elettrico dalle fonti rinnovabili, la SEN, col compiacente concorso dell’AEEG, ignora la gradualità con la quale vanno ridotti, sicuramente, gli incentivi (e sconfitte le speculazioni), deprimendo così gravemente uno dei pochi settori a forte sviluppo. L’Italia nel 2011 era stata la massima installatrice mondiale di Fotovoltaico, oggi, con la fine degli incentivi del V conto energia, servono misure regolamentari certe per mantenere lo sviluppo della filiera delle fonti rinnovabili .

È evidente che la SEN non è assolutamente in grado di far sì che l’Italia rispetti gli obiettivi europei del “20 – 20 – 20”.  Chiediamo quindi che il Governo Letta non dia corso a questa SEN e che invece vari una strategia energetica di transizione, che in sintonia con le scelte europee, sostenga:

•alt al carbone e alle trivellazioni per il petrolio,

•no alla proliferazione di rigassificatori e depositi del gas,

•un piano per la ricerca, a partire da quella pubblica, nei settori energetici più avanzati,

•un piano industriale realistico per l’attuazione dei tre 20% e degli obiettivi della road map UE al 2030 in raccordo con i Piani energetici di cui, almeno alcune Regioni si sono già da tempo dotate e con una capacità di coordinamento dei PAES comunali.

È assolutamente necessario aprire un confronto fra le parti sociali per avviare una riconversione ecologica in tutti i settori produttivi, partendo anche dagli obiettivi di efficienza proposti già due anni fa dalla Confindustria e dalle tre Confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL. Sarà questo il miglior punto di partenza per dare occupazione “pulita e rinnovabile”, soprattutto ai giovani, e contemporaneamente fornire il contributo del nostro Paese alla lotta ai cambiamenti climatici.

Uscire completamente e con sicurezza dal nucleare, contribuire al controllo del clima, costruire un modello sostenibile, decentrato e democratico, è possibile se un movimento articolato si consolida dal basso, coinvolge lavoratori, cittadini, movimenti e associazioni, e investe tutti gli ambiti della produzione, del consumo, della organizzazione delle città, degli stili di vita collettivi e individuali.

Ognuno di noi, nell’ambito del proprio ruolo, s’impegna a sostenere lo sviluppo di questo movimento.

Primi firmatari:

Agostinelli Mario (Energiafelice)

Andrea Baranes (Banca Etica)

Vittorio Bardi  (Si Fer No Nuke)

Marco Bersani (Attac)

Roberto Biorcio (Univ. Milano)

Raffaella Bolini (ARCI)

Giulietto Chiesa (Giornalista)

Giovanni Carrosio (Università Trieste)

Nicola Cipolla (CEPES)

Vittorio Cogliati Dezza (Legambiente)

Giuseppe De Marzo (A Sud)

Marica Dipierri (A SUD)

Domenico Finiguerra (Stop consumo di suolo)

Francesco Garibaldo (Ricercatore)

Alfiero Grandi (CRS)

Marco Mariano (Retenergie)

Andrea Masullo (Green Accord)

Gianni Mattioli (Unesco)

Mariagrazia Midulla (WWF)

Emilio Molinari (Contratto acqua)

Alfonso Navarra (LOC)

Giuseppe Onufrio (Greenpeace)

Rosario Rappa (FIOM Nazionale)

Gianni Rinaldini (Fondazione Sabbatini)

Valerio Rossi Albertini (CNR)

Gianni Silvestrini (Kyoto club)

Massimo Scalia (Unesco)

Gianni Tamino (Università Padova)

Guido Viale (Economista)

Alex Zanotelli (padre comboniano)

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