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Lo sviluppo sottotraccia dei piccoli reattori nucleari ha l’apparenza di una chiamata alle armi

Sulla transizione energetica il nostro governo procede per annunci, spesso contradditori e quasi sempre proiettati in decenni successivi alle scadenze cui saremmo chiamati a rispondere riducendo l’impatto climatico del nostro sistema. Che si tratti della fusione nucleare con cui imitare il sole o del piano Mattei con cui ricolonizzare il sud del Mediterraneo, o infine dell’”hub europeo” creato per raccattare e sequestrare la CO2 emessa dai residui turbogas rimasti in Europa, non c’è proposta di politica energetica che ci abbia riabilitati come diligenti esecutori del Green Deal Ue.

Adesso, però, rientriamo volentieri nell’alveo della “ritirata” di Ursula Von der Leyen, timorosa di essere danneggiata dalla “frenesia verde” (secondo la “grammatica” di Vox, Fpoe, Fidesz e Afd) che l’aveva fatta conoscere come alfiere delle rinnovabili, invise alle destre europee in crescita nei sondaggi e, insieme, oppositrici di qualsivoglia inclinazione ecologista.

Così sta prendendo piede, con un protagonismo italo-francese, una tacita rinascita dell’atomo attraverso un consorzio europeo di rilancio del nucleare a cui la Commissione Europea non sembra insensibile. E come sfuggire a questa occasione, che il ministro Pichetto Fratin definisce “nuovo nucleare pulito, fatto di piccoli reattori nucleari sparsi per il territorio” e tanto allettanti da far dimenticare l’enorme mole di controindicazioni che provengono ormai da decine di anni di studi scientifici, oltre che da spaventosi incidenti nelle centrali esistenti e dall’esito di due referendum popolari? Insomma: qualsiasi soluzione, purché, in una penisola ricca di sole, di bacini di stoccaggio e di vento che spira sui mari che la contornano, si lasci a languire la riconversione della seconda manifattura d’Europa verso il sistema delle energie rinnovabili.

Dopo l’insediamento di una commissione nazionale per lo sviluppo di piccoli reattori nucleari (SMR), il Ministro del Mase ad inizio febbraio, come racconta La Stampa dell’8 febbraio 2024, ha incontrato i vertici di Ansaldo Nucleare per affidare loro un ruolo da primattore nell’alleanza europea, che si avvarrà del know-how e delle competenze tecnologiche dell’impresa, che aveva contribuito in maniera determinante alla creazione del consorzio. Infatti, il Gruppo Ansaldo Energia ha firmato negli ultimi mesi accordi strategici per la cooperazione specifica nella costruzione di Smr di diverse tipologie in collaborazione con Edf, Edison, Westinghouse e altri attori internazionali.

Vale la pena a questo punto di inquadrare lo sviluppo (quasi sottotraccia) di questa nuova tecnologia che ha tutta l’apparenza di una chiamata alle armi. E la ragione di tanto interesse sta nelle speranze di nuova crescita che sono affidate allo sviluppo impetuoso dell’Intelligenza Artificiale (Ia). In effetti, nella prospettiva di una rivalutazione del nucleare diffuso di piccola taglia, lo sviluppo dell’Ia ha un ruolo rilevantissimo, in quanto questi reattori minori (attorno ai 400 MW) assicurerebbero la fornitura di elettricità 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 agli innumerevoli data center in cui vengono conservati i cloud con i big data e vengono alimentati i chip di ultimissima generazione. I consumi di energia per l’Ia sono stati finora trascurati, ma l’aumento medio per l’elaborazione e il raffreddamento dei sistemi ad apprendimento automatico è valutato dell’odine del 43% rispetto agli analoghi sistemi di computazione tradizionale.

Ad oggi si stima che i data center consumino tra l’1 e il 2% dell’elettricità mondiale, ma l’ascesa di strumenti come ChatGpt innesca già previsioni del consumo energetico globale che potrebbe aumentare di cinque volte. Secondo Carlos Gómez Rodríguez, professore di Informatica e Intelligenza Artificiale presso l’Università di La Coruña: “L’Ia generativa produce più emissioni dei normali motori di ricerca, che pure consumano molta energia perché, dopotutto, sono sistemi complessi che si tuffano in milioni di pagine web. Ma – continua Carlos – l’intelligenza artificiale genera ancora più emissioni, perché utilizza architetture basate su reti neurali, con milioni di parametri che devono essere per lunghi tempi addestrati”.

Nel panorama attuale l’intelligenza Artificiale è considerata la strategia decisiva per la quarta rivoluzione industriale e per la potenza delle forze armate. I data center delle compagnie di informatica potrebbero diventare un segmento di mercato significativo a livello globale per gli Smr nei prossimi decenni e non a caso sono oggetto di ricerca e di prototipizzazione da parte anche delle imprese leader dell’informatica proprietaria, in particolar modo negli Usa, in Inghilterra, Belgio, Taiwan e Giappone.

Già in un post precedente ho posto la questione della novità di una diffusione pervasiva di scorie nucleari sul territorio: analogamente a quanto è avvenuto nel settore chimico, dovremmo fare i conti con un controllo altrettanto capillare, con una variante di tossicità e di militarizzazione impressionante. Peraltro, in uno studio della Stanford University intitolato Nuclear waste from small modular reactors, la gestione e lo smaltimento dei flussi di rifiuti nucleari prodotti dagli Smr rivelano che i progetti Smr, comparati con i Pwr a scala di gigawatt, aumenteranno i volumi equivalenti dei rifiuti nucleari, che necessitano di gestione e smaltimento, con il volume dei rifiuti ad alta attività che aumenterà addirittura di un fattore 30. E poiché le proprietà del flusso di rifiuti sono influenzate dalla fuoriuscita di neutroni dal nocciolo ridotto, gli Smr aggraveranno anche le problematiche legate allo smaltimento degli impianti a fine corsa.

Is+Smr: l’ennesima formula per mantenere la crescita. Che ne sarà del clima, della democrazia e della giustizia sociale?

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Rilanciare il nucleare serve solo a prender tempo sulle rinnovabili. O per ragioni più prosaiche

Ora tutto diventa più chiaro: il rilancio sommesso, ma insistente, per il ritorno del nucleare in tempi imponderabili serve innanzitutto a procrastinare la reiterazione dell’impiego del gas fossile e a tenere a bada le soluzioni rinnovabili già certificate, pronte per le aste e anche economicamente convenienti. In questo contesto, l’ultima esortazione del Papa – Laudate Deum – è stata silenziata, forse proprio perché limpidamente incentrata sul blocco immediato delle emissioni dai fossili.

Il megafono del ritorno al nucleare – “faremo una centrale nel mio quartiere a Milano in cui scatterà l’interruttore nel 2032” – ha tutto il sapore della volgarità e dell’incompetenza di Salvini. Ma dietro all’incontinente ministro si muove qualcosa di molto più consistente e strutturato a favore delle lobby del gas e di un rilevantissimo spostamento di risorse verso l’atomo definito “pulito”. L’operazione si disloca su una vasta scala, addirittura europea e in parte internazionale. Ma qui vorrei occuparmi dell’impegnativo tentativo di un revival nazionale.

L’8 ottobre scorso Repubblica, che non gioca in campo neutro rispetto ai poteri dominanti da sempre, con una diligenza composta e contenuta, ha pubblicato un lunghissimo articolo (oltre 6 pagine!) a cura di Luca Fraioli in cui venivano per paragrafi distinte e illustrate le ragioni e le contrarietà per un ritorno all’atomo. Un recupero insidiato irrimediabilmente dall’esito dei referendum del 1987 e del 2011, ma, forse, riabilitato anche sul piano giuridico dall’evoluzione documentata di una tecnologia che aveva provocato l’emozione più viva dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Si cerca di attestare una maggior sicurezza e una attrazione tecnologica affascinante, che si disloca tra la V o VI generazione “sicura”, fino agli “Small Reactors” (SMR) e, infine, alla “fusione” come avviene nelle stelle. Con un obiettivo sotteso, certamente condiviso dall’attuale governo e dall’Eni di Descalzi: confutare il fermo all’atomo imposto da paure irrazionali, perché in tutto il mondo la tecnologia avanza più rapidamente delle titubanti opinioni pubbliche.

Su questa stessa linea, che il quotidiano lascia trasparire come centro per una ripresa del dibattito, si muove cautamente il ministro Pichetto Fratin, che ha insediato una commissione il 21 settembre 2023 per incontrare i protagonisti del nucleare made in Italy. Soggetti del mondo universitario e industriale che hanno già in essere programmi di investimento nel settore nucleare “per valutare le nuove tecnologie sicure del nucleare innovativo”. La Commissione lavora in sedi istituzionali già con un suo programma e si chiama Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile (Pnns). In verità, la strada del ministro era stata prima spianata da due mozioni passate il 9 maggio scorso alla Camera dei Deputati presentate, rispettivamente, una dai partiti della maggioranza, l’altra da Azione e Italia Viva, che avevano dato legittimità parlamentare “all’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare, quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, nonché “alla partecipazione attiva, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari”.

L’ambiente Ue, nel frattempo, si è inopinatamente spostato su una direzione meno rigida. Con il ritiro di Timmermans dalla presidenza per la transizione energetica,
il nuovo commissario Šefčovič si è impegnato a difendere il principio della “neutralità tecnologica” per ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030, attraverso “tutte le fonti energetiche che riducono sostanzialmente le emissioni, compreso il nucleare”.

Confutiamo allora questa linea, che sembra volersi opporre in sostanza ad una risoluta e rapidissima sostituzione del gas con le rinnovabili.

Le centrali di ultima generazione dovrebbero essere costruite e rese attive al massimo entro due o tre anni per evitare di superare la linea rossa del non ritorno sul clima impazzito. Olkiluoto in Finlandia, Flamanville in Francia e Vogtle negli USA hanno subito ritardi di decine di anni. In quanto agli SMR, Marco Ricotti, docente di Ingegneria nucleare del Politecnico di Milano, da coordinatore del gruppo di lavoro sugli Small Modular Reactors dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) ritiene realistica la possibilità di costruire una piccola centrale nucleare non prima del 2032. Per questi impianti minori, comunque, si pone il problema della sicurezza, dato che la gestione logistica diventerebbe persino più complicata rispetto a quella di un’unica centrale, perché occorrerebbe trasportare in giro per il Paese elementi di combustibile per alimentare i reattori e gestire le scorie. Inoltre, l’uranio da impiegare richiederebbe un massimo arricchimento (U-235 fino al 20%), al limite di quanto avviene per le bombe nucleari.

C’è poi la questione della CO2 che il ciclo dell’uranio non esclude affatto. Infatti, per operare un processo di arricchimento dell’ossido di Uranio, complessivamente il consumo di energia fossile è comparabile con quella emessa da un ciclo a gas combinato.

Per quanto riguarda la fusione risulta perfino prolisso continuare a mettere in discussione l’aleatorietà dei tempi di industrializzazione, del costo del kWh, la disponibilità del combustibile (trizio in particolare), la produzione di scorie (migliaia di tonnellate di materiale irraggiato da neutroni, trattabili e riducibili ad un volume molto minore ma ad un costo esorbitante), la proliferazione come arma.

Il lavoro un po’ sotterraneo sul nucleare italiano ha forse una spiegazione assai più prosaica: garantire progetti internazionali, sia di fissione che di fusione, in cui sono coinvolte un centinaio di imprese nazionali, grandi e piccole con commesse rilevanti. Una lobby cara al governo attuale, senza dubbio. Dice il premio Nobel Haro che “ormai i fisici, gli ingegneri e gli scienziati in genere, per ottenere i finanziamenti, sono forzati ad annunciare cosa otterranno e a condurre ricerche finalizzate a qualcosa di utile. Ma è bene essere chiari sul fatto che non sappiamo se e quando conseguiremo il risultato”. Mentre il cambiamento climatico richiede tempi brevissimi di soluzione e contenimento.

A meno che la si pensi come il presidente di Nomisma Tabarelli: “Investire, diversificare le forniture, produrre più petrolio garantendo investimenti alle compagnie petrolifere, riaprire il discorso sul nucleare”. Con buona pace di papa Francesco e delle nuove generazioni…

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Fukushima, bombe, transizione ecologica: l’Italia rimane vittima di un governo incompetente

di Mario Agostinelli e Alfiero Grandi

Una notizia gravissima per l’ambiente, già sotto stress per la crisi climatica, come l’inizio del versamento nell’Oceano Pacifico delle acque inquinate dalla radioattività della centrale nucleare di Fukushima sta passando senza suscitare purtroppo le reazioni che merita.

L’incidente nucleare di Fukushima in Giappone non solo ha confermato la pericolosità delle centrali nucleari civili in quanto tali, perché sottoposte a pericoli di varia natura nel loro funzionamento, ma anche la possibilità di eventi naturali eccezionali come fu il terremoto e poi lo tsunami che ne seguì. Dopo 12 anni non solo il Giappone ha ripreso la produzione di energia attraverso il nucleare “dimenticando” vittime e un territorio enorme inquinato, ma ha scelto di gettare in mare una grande quantità di acqua inquinata da radioattività, finora custodita in grandi contenitori in territorio giapponese, scaricando su tutta la popolazione mondiale le conseguenze dell’incidente, incurante delle proteste e sicuro che la potente lobby del nucleare appoggerà questa scelta sciagurata, perché altrimenti dovrebbe ammettere i pericoli che gravano su tutta la popolazione mondiale.

Erano possibili altre scelte, senza mettere a rischio le acque dell’oceano Pacifico, con l’obiettivo di gestire in sicurezza le conseguenze dell’incidente nucleare.

Il governo italiano, come purtroppo tanti altri, nel sostanziale silenzio dell’Europa non ha preso alcuna iniziativa. Non risulta che l’ineffabile riunione del G7 abbia discusso l’argomento per dissuadere il Giappone dal fare una scelta pericolosa, le cui conseguenze possono essere devastanti, ad esempio minacciando di bloccare l’acquisto di pesce pescato dal Giappone e in particolare mettendo sotto sorveglianza quello proveniente dal Pacifico, per evitare almeno il sushi inquinato dal nucleare.

Un conto sono eventi naturali che non si è in grado di contrastare, altro sono scelte fatte a freddo che mettono a rischio una parte del mondo e forse non solo quella, visto che come sappiamo le trasmigrazioni di pesci (basta pensare al granchio blu) e di piante è all’ordine del giorno. Le relazioni sempre più strette e frequenti portano a situazioni sconosciute, se poi l’inquinamento radioattivo viene diffuso nelle acque le conseguenze potrebbero essere pesanti e diffuse.

Non solo il governo italiano non si è occupato di un avvenimento di prima grandezza come questo: non ha neanche trovato modo di dissentire dalle bombe all’uranio impoverito che la Gran Bretagna ha deciso unilateralmente di inviare in Ucraina, come se non ci fossero già stati migliaia di militari che li hanno usati, oltre che tanti civili, ammalati di cancro, anche italiani. Si poteva almeno ripetere il dissenso della presidente del Consiglio manifestato sull’invio delle bombe a grappolo inviate dagli Usa in Ucraina (vietate dalla convenzione internazionale) anche sulle bombe a uranio impoverito, invece silenzio di tomba.

Del resto questo governo si caratterizza per avere un ministro dell’Ambiente del tutto incapace e comunque senza peso politico. L’Italia dovrebbe puntare senza ritardi sulla scelta delle energie rinnovabili che darebbero un risultato di autentica autonomia nazionale dalle fonti fossili, invece il peso degli interessi legati ai combustibili fossili è sempre più forte e gli investimenti sulle energie rinnovabili, proprio perché dipendono da fonti naturali, sono in grave ritardo, come dimostrano i dati degli ultimi anni. In particolare non si capisce quale sia il coordinamento tra i ministri dello Sviluppo e quello dell’Ambiente che dovrebbero insieme costruire una strategia sull’auto del futuro, più in generale sulla mobilità, e su questa base cercare intese con le aziende e i sindacati sulle condizioni da realizzare per garantire una transizione ecologica accelerata, mentre ogni occasione è buona per cercare di ritardare, di rinviare, facendo rimanere l’Italia isolata dai paesi più avanzati in Europa.

L’unica novità è che il ministro Pichetto Fratin, immemore di ben due referendum popolari che hanno bocciato a larga maggioranza il nucleare civile, continua a chiacchierare di una nuova generazione di centrali che oggi non solo non esistono ma sono sostanzialmente simili a quelle esistenti, pericolose e inquinanti e per di più costosissime, di fronte a una penuria di uranio per farle funzionare.

Di questo passo il nostro paese rimarrà fuori dalle scelte più avanzate, non investirà sui settori del futuro e sull’innovazione del lavoro e rimarrà vittima di un governo che pensa di cavarsela sfruttando le maggiori entrate da inflazione senza capire che diventeranno presto maggiori spese e porteranno a una ulteriore divaricazione sociale tra redditi alti e redditi bassi. Ci mancherebbe solo che questo impasto di arretratezza e incompetenza italiana dopo le elezioni diventasse il modello per l’Europa.

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La vera soluzione al problema delle armi nucleari non è la non-proliferazione ma la loro abolizione

di Mario Agostinelli e Luigi Mosca

Abbiamo tutti sentito dire e ripetere che il Trattato di Non-Proliferazione (Tnp) ha avuto un grande successo poiché tutti i paesi l’hanno firmato, eccettuati l’India, il Pakistan e Israele, oltre alla Corea del Nord che è uscita dal Tnp nel 2003. Questo trattato precisa che (articolo VI) “ciascuna delle Parti del trattato si impegna a portare avanti, in buona fede, dei negoziati su delle misure efficaci relative alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari a una data ravvicinata e al disarmo nucleare”. I paesi non detentori delle armi nucleari hanno quindi interpretato questo trattato come un processo di eliminazione delle armi nucleari.

Ora, al di là dell’“entusiasmo” iniziale, il Tnp si è rapidamente rivelato inefficace: in effetti, il numero di Stati detentori dell’arma nucleare al momento della sua adozione nel 1968 – i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con diritto di veto: Usa, Urss, Gran Bretagna, Francia e Cina – è pressoché raddoppiato, poiché altri quattro Stati (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord) si sono anch’essi dotati dell’arma nucleare.

Come menzionato più sopra la Corea del Nord, che aveva firmato il Tnp, ne è uscita nel 2003, affermando che la sua “sicurezza” era minacciata. Questa possibilità è prevista nello statuto stesso del Tnp, cosicché questo ritiro potrebbe provocarne altri, a cominciare, per esempio, dall’Iran che, a seguito della violazione dell’Accordo di Vienna del 2015 da parte di Donald Trump nel 2018, ha ripreso l’arricchimento dell’uranio naturale in uranio fissile (U235) sino almeno al livello del 60%, il che significa che la soglia di circa il 90% per la produzione di bombe nucleari potrebbe essere raggiunto abbastanza rapidamente: si tratta soprattutto ora di una scelta politica.

Poi l’Arabia Saudita, che aveva finanziato il programma nucleare militare del Pakistan negli anni 90, è molto preoccupata per l’andamento del programma nucleare iraniano, che potrebbe spingerla a sviluppare un programma equivalente con l’aiuto del Pakistan (un “ritorno dell’ascensore”). Inoltre il Giappone, che si “accontenta” per il momento di rimanere sotto l’”ombrello” degli Usa, dispone però di una forma di “tacita deterrenza nucleare” grazie ai suoi impianti nucleari civili che hanno già permesso di produrre diverse centinaia di chilogrammi di plutonio di qualità militare e uranio altamente arricchito, che poi hanno consegnato agli Stati Uniti. In Corea del Sud, il presidente Yoon Seok-yeol ha recentemente emesso l’auspicio che gli Stati Uniti installino armi nucleari tattiche di fronte alla crescente minaccia della Corea del Nord, senza escludere la possibilità di produrle loro stessi. Inoltre, circa il 70% dell’opinione pubblica, sempre meno fiduciosa nell’“ombrello nucleare” statunitense, si dice favorevole a tali scenari.

Perché un bilancio così negativo del Tnp? In realtà non c’è da stupirsi: il Tnp è fondato su di una base che da un lato è ingiusta e, dall’altro, perversa. L’ingiustizia: in virtù di quale diritto i cinque Stati iniziali, già ampiamente in possesso di armi nucleari, potevano chiedere agli altri paesi di rinunciare definitivamente a qualsiasi arma nucleare se essi stessi non erano disposti a rinunciarvi realmente? È vero che il Trattato di Non Proliferazione includeva un impegno da parte delle cinque potenze nucleari di eliminare le proprie armi (come si è visto, attraverso l’articolo VI), ma questa promessa, a carattere non veramente costrittivo, non era altro che un inganno, come l’esperienza successiva ha ampiamente provato.

La perversità: il Tnp prevede un aiuto ai paesi firmatari che lo richiedono per sviluppare sul loro territorio il “nucleare civile”, condizione questa perversa poiché il nucleare civile può essere una via privilegiata verso il nucleare militare. In effetti l’“aiuto” allo sviluppo del nucleare civile ha, da un lato, rappresentato un’apertura di mercati a forte rendimento economico per i cinque paesi già nuclearizzati: si veda l’esempio degli Stati Uniti verso il Giappone, per di più con i risultati che si cominciano a vedere (Fukushima…). D’altro lato, le infrastrutture fornite dal Canada sono servite all’India per dotarsi dell’arma nucleare; la Francia ha collaborato, tra gli altri, con Israele su diversi aspetti… E attualmente un paese che si procurasse delle istallazioni per l’arricchimento dell’Uranio (centrifughe), oppure per la separazione del Plutonio, disporrebbe di mezzi importanti per sviluppare un programma militare.

Inoltre la malafede degli Stati dotati dell’arma nucleare è evidente soprattutto nelle loro attività per la modernizzazione delle loro armi. Mentre il Tnp prevede l’apertura di negoziati “in buona fede” in vista dell’eliminazione delle armi nucleari, la decisione di modernizzarle esprime invece chiaramente una volontà di non abbandonarle. È ad esempio il caso della Francia, che modernizza le sue attrezzature e addirittura ha aumentato la portata dei suoi missili da 6000 chilometri (gli M45) a 9000 chilometri (gli M51) in violazione flagrante del Tnp.

Quanto all’Italia, il fatto di “ospitare” delle bombe nucleari Usa, gestite in un quadro di cooperazione Usa-Italia, la pone in stato di violazione dell’Articolo II del Tnp. Inoltre le “vecchie” bombe B61, puramente gravitazionali, vengono attualmente sostituite dalle moderne B61-12, teleguidate e la cui potenza può essere regolata tra 0,3 Kton (50 volte inferiore a quella di Hiroshima) e circa 50 Kton. Ora questa possibilità anche di abbassare il livello della potenza rende queste bombe delle “mini-nukes”, molto più adatte a essere usate sul campo di battaglia!

La conseguenza evidente di tutto ciò è che la vera soluzione al problema delle armi nucleari non è semplicemente quella della “non-proliferazione”, ma quella dell’abolizione di tutte le armi nucleari. È ciò che ha stabilito sul piano giuridico il successivo Trattato di Proibizione della Armi Nucleari (Tpan), adottato dall’Assemblea Générale delle Nazioni Unite il 7 luglio 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021, rendendo le armi nucleari illegali sul piano del Diritto Internazionale.

In conclusione, le dottrine della deterrenza nucleare sono intrinsecamente proliferanti: infatti, l’affermazione che il possesso di armi nucleari è essenziale per la sicurezza di uno Stato implica automaticamente che anche tutti gli altri Stati del mondo debbano possederle! Questo è quindi il principale “motore” della proliferazione nucleare. Invece, per garantire la sicurezza umana, non è la minaccia, ma esattamente il contrario che deve essere realizzato: come diceva giustamente Gorbaciov, “per ottenere la propria sicurezza, ogni Stato deve contribuire alla sicurezza di tutti gli altri”.

* Fisico delle particelle elementari e attivista di Ican

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Sulla fusione nucleare ho letto sciocchezze a fiumi: una mistificazione che può fare gravi danni

Abbiamo una comprensione teorica della fusione nucleare da oltre un secolo, ma siamo ben lontani dal poterla impiegare come fonte elettrica continua e controllabile. Eppure, Repubblica, lo scorso 14 dicembre, titolava: “Viaggio nel futuro, un bicchiere d’acqua ci scalderà per un anno. Nessun governo potrà più ricattare gli altri usando il petrolio o il gas come pistole”. Banalizzando e dando corpo a scenari irrealizzabili al presente e perfino scientificamente azzardati, una voce importante si è unita al coro fastidioso e incosciente di prostrazione del giornalismo nostrano all’annuncio che “l’Occidente” per definizione (gli Stati Uniti) è vicino, in solitaria, a realizzare il miracolo dell’energia del sole, così abbondante da tracimare da enormi impianti e da procrastinare il mito della crescita per un futuro senza limiti di contenimento.

“Ci vorranno almeno 30 anni” afferma invece Stefano Atzeni, dell’Università La Sapienza di Roma ed io ritengo che sia un grave errore da parte dei media tentare di capovolgere la sensazione diffusa che, invece, con la pandemia la guerra e il clima il tempo venga a mancare, se non si muta al presente, non fra 30 anni, il paradigma energetico dei fossili e del nucleare, rigidamente centralizzato ed a grande spreco.

E’ vero che il test realizzato al NIF (i laboratori di Livermore) ha prodotto più energia con la fusione di quella fornita ai laser utilizzati per provocare la reazione stessa. Ma è pur vero che, se si considera tutta l’energia impiegata e non solo quella che incide sul target, anziché un guadagno netto, si ha un rendimento da numero decimale. E non sarebbe inutile osservare che, dopo ogni singola “iniezione”, occorre raffreddare il sistema ottico e ripristinarne le condizioni normali, con tempi non inferiori al giorno.

Il profluvio di sciocchezze date alla stampa risulta fuorviante e di non trascurabile danno, in particolare nella fase in cui siamo. Si è scritto e detto che “il processo avviene a velocità superiore a quella della luce” (Repubblica), che si impiega “acqua pesante, cioè non distillata da usarsi come materia prima: anche quella di mare” (Rampini sul Corriere) e, ancora, che “una mezza palla da basket” – evidentemente magica – sarebbe dovuta entrare nel “cilindretto lungo pochi millimetri” (Ansa), oppure, che “la fusione inerziale non genera radioattività, non produce scorie” (Descalzi, ceo Eni).

Questo modo di procedere tra scienza a spanne e tecnologia un tanto al chilo, ha innescato un processo politico di coinvolgimento e informazione dei cittadini con l’obbiettivo di mettere sotto il tappeto le emergenze cui dobbiamo porre adesso riparo, a partire dal ripristino della pace e dall’eccessivo riscaldamento climatico. Un popolo incolpevolmente disinformato, una casta di giornalisti incompetenti ma pronti a propalare il mainstream predicato dall’Amministrazione Usa, una diffusione di miti energetici venturi, hanno occultato la “strada verso l’inferno” che stiamo percorrendo “col piede sull‘acceleratore”, come ha affermato il presidente dell’Onu Gutierrez alla Cop 27 in Egitto.

Sono tantissime le sfide tecnologiche che devono ancora essere superate, sia per la fusione a contenimento inerziale con i laser (quella che ha portato al risultato ottenuto a Livermore) sia per la fusione a confinamento magnetico (la tecnica del reattore Iter in costruzione a Cadarache in Francia).

Per averne un’idea, vale la pena di confrontare quello che davvero avviene nel nucleo del Sole a 150 milioni di Km da noi rispetto a quanto possiamo disporre sulla piccola Terra che gli ruota attorno. All’interno della nostra stella c’è un plasma di protoni, che, a quattro per volta, si fondono per dare un nucleo di elio, con un difetto di massa di 0,007 (che si traduce in energia secondo la famosa formula di Einstein E=mc2) grazie ad una temperatura di 16 milioni di gradi e, soprattutto, grazie ad una pressione elevatissima, intorno a 500 miliardi di atmosfere, dovuta all’enorme massa del Sole. Queste condizioni sono estreme su scala umana e pertanto non possono essere riprodotte.

Qui, nei nostri laboratori più avanzati, cerchiamo di ovviare alla impossibile replicabilità del processo di fusione solare, imitandone il principio, ma ricorrendo a due rari isotropi dell’idrogeno – deuterio e trizio – i cui nuclei arrivano a fatica a compenetrarsi alle temperature e pressioni massime cui può giungere la nostra tecnologia più raffinata. L’esperimento a Livermore ha per la prima volta registrato un ritorno di energia, ma la continuità del processo non è affatto all’orizzonte, nonostante l’imponenza degli impianti e l’intensità dei finanziamenti.

Si pensi che il Nif – situato, in California – ha le dimensioni di uno stadio ed è costato oltre 4 miliardi di dollari. Il suo ruolo nella ricerca di armi nucleari ne ha fatto un progetto controverso tant’è vero che il Sole 24 ore si chiede se “gli annunci dell’amministrazione Biden sulla fusione nucleare non siano un messaggio diretto a Vladimir Putin, che non ha niente a che fare con la crisi energetica in corso, ma, piuttosto, con i continui riferimenti del Cremlino a un attacco nucleare”.

E si rifletta sul fatto che Iter, il progetto concorrente a confinamento magnetico, è dotato di enormi toroidi percorsi da correnti di elevatissima intensità ed ha dimensioni di 20 metri di diametro e 10 metri di altezza con una capienza di circa 1000 m3. Se dovesse fornire energia con continuità, produrrebbe tonnellate di materiale radioattivo, essendo una intensissima sorgente di neutroni, che si arrestano solo sulla prima parete solida che incontrano.

Crea una certa apprensione la costruzione di “miraggi e società sempre più tecnocratiche, all’interno delle quali si starebbero perdendo i vincoli d’appartenenza e la possibilità di essere artigiani di legami e rompere le spirali che annebbiano i sensi”, come afferma Bergoglio. Temo che le mistificazioni sul “grande” risultato della fusione nucleare Usa rischino di allontanarci da quel che occorre fare già da ora con le fonti rinnovabili, accontentandoci del reattore a fusione che rimane a 150 milioni di Km. di distanza: il Sole.

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