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Cambiamento climatico, così l’inettitudine dei governi lo accelera

Mario Agostinelli – il Fatto Quotidiano

Da tempo su questo blog insisto a fornire informazioni sulla gravità del cambiamento climatico e a mettere in evidenza le omissioni e le sottovalutazioni di chi ci governa. In questo inizio estate gli eventi inconsueti e devastanti sulle rive settentrionali del Mediterraneo (tempeste di grandine, tornado, mareggiate sconvolgenti, venti violentissimi e improvvisi) suonano come un allarme annunciato ma disatteso colpevolmente, nell’ossessione di rendere impenetrabili ad altri esseri umani le nostre sponde, risospingendoli anche con ferocia implacabile verso i territori che già il clima e la guerra avevano reso loro impraticabili.

Ora può toccare a noi, se la minaccia climatica non diventa la priorità del futuro più prossimo e le nostre risorse economiche, culturali e sociali non si riconvertono rapidamente verso la cura della casa comune. In questi stessi giorni, oltre 250 esperti del mondo scientifico italiano hanno scritto ai presidenti della repubblica, del senato, della camera e del consiglio, una lettera dal titolo: Il riscaldamento globale è di origine antropica, chiedendo altresì “una urgente riconversione dell’economia in modo da raggiungere il traguardo di zero emissioni nette di gas serra entro il 2050”.

Senonché, invece di cominciare a precisare le date successive, già da domani, per la eliminazione delle fonti climalteranti (chiusura delle centrali a carbone, eliminazione delle prospezioni e delle estrazioni petrolifere, sostituzione della combustione del gas in impianti di nuova progettazione con sistemi di reti rinnovabili e accumuli distribuiti, riconversione degli impianti industriali e progressiva conversione dei consumi individuali e familiari), i nostri rappresentanti hanno continuato a recitare, nel teatro che i media ci allestiscono a ogni ora, l’insopportabile e unica rappresentazione del braccio di ferro intorno al fantasmagorico “contratto di governo”.

Ma mentre i topi ballano la nave prende acqua anche da falle impreviste. Esaminiamone alcune, che ci aiutano a capire come non si stia invertendo la rotta a tempo debito, né a livello globale, né sul piano nazionale.
1. Per inseguire nuovi profitti con l’estrazione di minerali, gas e petrolio dalle zone più inaccessibili e dalle profondità marine o con l’apertura di nuove rotte di navigazione rese praticabili in seguito allo scioglimento delle lande ghiacciate, la quota di fossili non convenzionali – vale a dire estratti e trasportati con bilanci energetici (ed emissioni) sempre più svantaggiosi – è in costante aumento e viene bruciata a ritmi sempre più elevati.
2. Entro la metà di questo secolo, l’aumento di temperatura, anche se moderato, porterà ad un aumento della domanda di energia, sia a livello globale che nella maggior parte delle regioni. Lo rivela uno studio pubblicato su Nature Communications da ricercatori dell’Università Ca’ Foscari, da Cmcc (Italia) e Boston University (Usa). Addirittura, l’effetto non avrà solo ripercussioni geografiche differenti, ma inciderà maggiormente sui redditi bassi. Dato che i cambiamenti climatici porteranno la domanda globale di energia nel 2050 a un aumento compreso tra l’11% e il 27% se il riscaldamento sarà modesto, e tra il 25% e il 58% se il riscaldamento sarà elevato, la domanda riguarderà in particolare l’elettricità per raffreddare gli ambienti nell’industria e nel settore dei servizi. Di conseguenza le imprese e le famiglie richiederanno meno gas naturale e petrolio per via delle minori esigenze di riscaldamento e, viceversa, più energia elettrica per soddisfare le maggiori esigenze di raffreddamento degli ambienti, con una pressione proporzionalmente più elevata sui meno abbienti.

3. Solo ora sono stati comunicati i dati per cui, in media, dal 2014 ogni anno è “sparita” dal polo sud (Antartide) una superficie di ghiaccio antartico pari a circa due volte e mezza l’Italia. Un fenomeno prima trascurato e che sembrava riservato quasi esclusivamente all’Artico. I negazionisti, che hanno sempre ignorato questa complessità, da oggi hanno un alibi in meno.

4. Secondo le Bloomberg Opinion Sparklines del 10 maggio, WattTime ha annunciato che utilizzerà la tecnologia satellitare per misurare l’inquinamento atmosferico da ogni grande centrale elettrica del mondo e per rendere disponibili questi dati al pubblico. Ciò farà venir meno la possibilità per molte centrali elettriche (comprese le nostre) di tener segreto il loro inquinamento e di ignorare la carbon tax.

5. Come riportato dalla stampa, il 14 giugno 2019 la Commissione Europea ha dato il via libera al capacity market italiano che, come impostato a oggi, prevede incentivi fino a 1,4 miliardi di € all’anno per 15 anni alle centrali a gas, esistenti e nuove. Il governo ha deciso di tirare dritto con il benestare dell’Authority, nonostante siano state sollevate proteste subito messe a tacere.

6. Il Coordinamento Nazionale No Triv il 10 Luglio 2019 ha reso noto Il Decreto Ministeriale 15 febbraio 2019, con cui sono state approvate le “linee guida nazionali per la dismissione mineraria delle piattaforme per la coltivazione di idrocarburi in mare e delle infrastrutture connesse”. A oggi l’elenco non è stato reso pubblico. Se si tiene conto che i costi di smantellamento e di bonifica dei siti sono stimati tra i 15 ed 30 milioni di dollari per singola struttura, si può capire come i proprietari Eni ed Edison di oltre 100 piattaforme in funzione possano contare su un tardivo od omesso smantellamento.

Anche senza dover tirare in ballo Erdogan o Putin o Blair, ci domandiamo: come si può procedere – come se niente fosse – a bucare l’Adriatico, sostituire il gas al carbone nelle centrali di Civitavecchia o Spezia o continuare a connettere tubi alla Puglia (Tap) e allestire centrali di pompaggio nel Parco degli Abruzzi?

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Petrolio, carbone e gas salveranno il lavoro?

Mario Agostinelli – il Fatto Quotidiano

I delegati di oltre 200 Paesi delle Nazioni Unite erano arrivati ai colloqui sul clima a Katowice con l’incarico di sostenere l’accordo di Parigi 2015. Pur trattandosi di un appuntamento “tecnico” per fare il punto sui progressi o i ritardi rispetto all’agenda fissata tre anni fa, l’attenzione si è focalizzata sulle responsabilità che i leader mondiali si sarebbero assunti nei confronti dell’emergenza climatica. A un mese dalla conclusione della Conferenza possiamo dire che sono state confermate le previsioni più pessimistiche: in tre anni non solo non si sono verificati miglioramenti apprezzabili ma, alla luce degli ultimi dati diffusi dal Global Carbon Project, le emissioni di gas serra sono aumentate per il secondo anno consecutivo nel 2018.

Preso atto di ciò, si deve constatare che l’incombente crisi climatica sta andando oltre le nostre capacità di controllo. Vale allora la pena di andare oltre la ricerca dei colpevoli del passato (peraltro tanto noti quanto insensibili), per metterci in azione come persone e soggetti sociali attivi, capaci con le loro reazioni e comportamenti di imporre un cambiamento di rotta. Tanto urgente da doversi realizzare in un arco temporale breve che, secondo l’Ipcc, non può andare oltre i prossimi 15 anni.

Se questo è il contesto, occorre rendersi conto che la fobia verso i migranti e l’inganno della crescita a spese della natura non servono ad altro che a distrarre l’opinione pubblica, per mantenere immutate le disuguaglianze sociali anche a fronte della sfida del clima. Una sfida di primaria importanza che richiede due impegni cogenti: lasciare sottoterra i combustibili fossili e garantire i diritti umani e sociali nella transizione energetica. Sono queste le autentiche ipoteche per la civiltà a venire e non si riscuoteranno senza conflitti, per cui ogni individuo, ogni soggetto, ogni associazione, ogni organizzazione di interessi o di valori sarà tenuta a contrapporre una visione strategica all’interesse a breve, come è sempre avvenuto nelle fasi di profonda trasformazione.

Sappiamo da dove partire. Il mantenimento della crescita economica avviene tuttora al prezzo di un aumentato consumo di combustibili fossili. Negli ultimi anni – senza andare lontano e tirare in ballo la sconsiderata imprevidenza di Donald Trump Polonia, Germania e Italia non hanno fatto alcun passo indietro nel ricorso al carbone e al gas. In fondo, Katowice ha messo in luce quanto le élite globali, compresi i sovranisti nostrani del “cambiamento”, si aggrappino al business dei fossili e quanto i governi difendano i loro interessi nazionali a essi associati, accettando in compenso l’ineluttabilità del disastro climatico. La situazione è così compromessa e l’inerzia del sistema economico-finanziario così rigida da richiedere che tutte le componenti sociali forniscano un supporto per attuare quella che altro non è se non una vera rivoluzione dell’economia mondiale. Ad ora manca totalmente quella consapevolezza espressa con lucidità nella Laudato Si’ e cioè che “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale”.

Data la mia esperienza, ritengo che sia ora che entri in gioco il sindacato, fin troppo silenzioso ma (mi auguro) già capace di segnali al prossimo congresso Cgil. L’accordo di Parigi, oggi messo da parte perfino dall’Europa, accanto ai diritti umani parla esplicitamente di sicurezza alimentare, diritti delle popolazioni indigene, uguaglianza di genere, partecipazione pubblica, equità intergenerazionale, integrità degli ecosistemi e, per il clima, propone una transizione giusta. C’è da chiedersi: su quali gambe? Forse su quelle malferme e incapaci di murare la strada delle corporation e della grande finanza? Al punto in cui siamo, continuare a fare della combustione dei fossili una ragione primaria di profitto porta a violare i diritti umani e a ricattare i lavoratori sotto il profilo occupazionale e dei diritti sociali. Ed è altrettanto chiaro, anche se ce ne scordiamo facilmente, come le persone possano perdere i loro diritti tradizionali di vivere in una foresta (Amazzonia), o in una valle (Tav) o lungo un litorale marino (Tap) quando si infrange l’equilibrio climatico potenziando la filiera fossile oltre il tollerabile. Tutte materie su cui il sindacato ha titolo pieno per essere informato e per negoziare a favore dei suoi organizzati.

I crescenti conflitti sociali legati all’eliminazione progressiva delle industrie fossili danno senso al termine “giusta transizione”, che non può che basarsi su un’attuazione completa della giustizia climatica. Per cominciare, ciò dovrà includere la limitazione del riscaldamento globale a un massimo di 1,5°C, altrimenti il ​​cambiamento climatico aggraverà globalmente le ingiustizie sociali. Carbone, petrolio e gas vanno rapidamente eliminati con una radicalità cui ci ha costretto lo sviluppo industriale ininterrotto e la cui espansione non è negoziabile, anche se ciò minaccia posti di lavoro. È d’obbligo che i lavoratori dipendenti dal sistema fossile non vengano lasciati a se stessi, ma affidati a una rete di sicurezza che li faccia transitare verso un lavoro socialmente significativo e che conservi la loro dignità. Non si tratta di assistenza, ma di diritti, di riconversione “win to win”.

Proprio con una visione strategica un sindacato non corporativo può prevenire una divisione irreparabile tra lavoratori e le comunità colpite dai cambiamenti climatici. Oggi è in atto una campagna insidiosa al riparo della quale governi e grandi attori fossili, in particolare nei Paesi industrializzati, hanno iniziato a chiedere solo compensazioni finanziarie e sgravi per le loro attività inquinanti, al fine di allungare il più possibile i tempi della fuoriuscita da carbone, petrolio e gas e usando come grimaldello per i loro interessi la questione dei posti di lavoro nelle filiere fossili inquinanti. Le stesse associazioni imprenditoriali e le corporation che sostenevano la necessità di chiudere impianti e delocalizzare per competere, di fronte alla crisi climatica si scoprono accaniti difensori del valore sociale e professionale del lavoro nei territori da cui traggono profitti, chiedendo nel contempo una sponda nel sindacato. Capisco come la situazione non sia facile e le cose non siano limpide, ma la posta è troppo alta perché il ricatto ricada su tutti sotto la veste di un interesse di pochi.

I tempi si avvicinano più di quanto si prevedesse e l’attacco è già in corso. Il governo polacco ha ottenuto a Katowice un’ambigua dichiarazione (Solidarity and Just Transition Silesia) per ottenere con l’appoggio di 49 delegati una marcia più lenta rispetto agli accordi internazionali nell’abbandono del carbone. La Commissione Ue è alle prese con un protocollo di sostegno all’industria del carbone e alla siderurgia nei paesi dell’Europa centrale e orientale che hanno chiesto di aderire all’Ue. In entrambi i casi non c’è ombra di organizzazioni sindacali, ancora prede forse delle storiche contraddizioni tra ambiente e lavoro. Basta rammentare quanto sia preveggente la posizione dei metalmeccanici piemontesi a fianco delle ragioni degli abitanti della Val di Susa e quanto imprudente sia l’annuncio di uno sciopero dei lavoratori impegnati nelle grandi opere, senza distinzione della loro utilità e del loro impatto ecologico, da parte del sindacato nazionale degli edili. Temi vecchi e nuovi su cui dibattere, non privi della massima urgenza, per non trascurare l’ineluttabilità di quanto accade in atmosfera e non cedere alla favola che la salute climatica la debbano pagare i lavoratori e i più indigenti.

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Germania: il primo treno passeggeri ad idrogeno del mondo

Approvata la messa in servizio in Germania del treno ad idrogeno Coradia iLint

 

Il Coradia iLint di Alstom, il primo treno passeggeri del mondo a celle a combustibile idrogeno, ha ottenuto approvazione dall’Autorità ferroviaria tedesca (EBA) per l’entrata in servizio in Germania. Oggi, Gerald Hörster, presidente dell’EBA, ha consegnato ad Alstom il certificato di omologazione presso il Ministero federale dei Trasporti e delle Infrastrutture a Berlino, alla presenza di Enak Ferlemann, segretario di Stato parlamentare presso il ministro federale per il traffico e l’infrastruttura digitale e membro del Parlamento tedesco.

Un primato in Germania: con l’approvazione dell’Autorità ferroviaria tedesca (EBA), arriva sui binari il primo treno passeggeri con tecnologia a celle a combustibile. Questo è un forte segnale di mobilità del futuro. L’idrogeno è veramente un’alternativa al diesel, è efficiente e a basse emissioni. Soprattutto sulle linee secondarie, dove le linee aeree di contatto non sono economiche o non ancora disponibili, questi treni sono un’opzione pulita ed ecologica. Ecco perché supportiamo e vogliamo far emergere questa tecnologia” ha dichiarato Enak Ferlemann, il delegato del governo federale tedesco per il trasporto ferroviario.

“Questa approvazione è un momento cruciale per il Coradia iLint e un passo decisivo verso una mobilità pulita e orientata al futuro. Alstom è profondamente orgogliosa di questo treno regionale alimentato a idrogeno, che rappresenta una rivoluzione nella mobilità a emissioni zero e che ora entrerà in servizio regolare” ha affermato Wolfram Schwab, vicepresidente di Alstom per l’R&D e Innovazione.

Nel Novembre 2007, Alstom e l’autorità locale per il trasporto della Bassa Sassonia (LNVG) hanno firmato un contratto per la consegna di 14 treni a celle a combustibile idrogeno, relativa manutenzione per 30 anni e fornitura di energia. I 14 treni trasporteranno i passeggeri tra le località di Cuxhaven, Bremerhaven, Bremervörde e Buxtehude da dicembre 2021.

In seguito all’approvazione da parte di EBA, due prototipi di Coradia iLint entreranno nella fase pilota di operazioni nel network Elbe-Weser. L’inizio del servizio passeggeri è previsto per la tarda estate.

Il Coradia iLint è il primo treno passeggeri alimentato da celle a combustibile idrogeno, che producono energia elettrica per la trazione. Questo treno a zero emissioni ha livelli minori di rumore e l’unico scarico è costituito da vapore acqueo e acqua di condensa. Il Coradia iLint è unico per via della combinazione di diversi elementi innovativi: conversione di energia pulita, possibilità di immagazzinare l’energia nelle batterie, una gestione intelligente dell’energia di trazione e di altra energia a disposizione. Progettato specificamente per le linee non elettrificate, opera a rispetto dell’ambiente, assicurando, allo stesso tempo, un’ottima performance.

Il Coradia iLint è stato progettato dal team Alstom di Salzgitter (Germania), centro di eccellenza per i treni regionali e a Tarbes (Francia), centro di eccellenza per i sistemi di trazione. Il progetto beneficia del supporto del Ministero dell’Economia e di quello dei Trasporti tedeschi. Lo sviluppo del Coradia iLint è stato finanziato con 8 milioni di euro dal Governo tedesco come parte del Programma nazionale per l’innovazione nella tecnologia a idrogeno e celle a combustibile (NIP).

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Il contratto Salvini-Di Maio ignora il clima e i target di Parigi

di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

Con una lettera aperta pubblicata dal Financial Times perfino le società petrolifere riconoscono che devono fare di più per combattere il cambiamento climatico. Arrivando ad «assumere la responsabilità di tutte le emissioni» di gas serra, comprese quelle prodotte dall’impiego di combustibili fossili, come la benzina per le auto o il gas con cui scaldiamo le nostre case. A chiederlo è un gruppo di 60 grandi investitori- fondi, banche e assicurazioni, che insieme gestiscono più di 10.400 miliardi di dollari e che alzano la pressione sulle major a livelli senza precedenti proprio a pochi giorni dalle assemblee degli azionisti, in cui l’ambiente promette di essere un tema centrale.

La Royal Dutch Shell voterà una mozione che chiede un taglio più aggressivo delle emissioni di CO2 rispetto al dimezzamento a cui il management «ambisce» entro il 2050. Nonostante le riserve, si sono schierati a favore anche la Church of England e il fondo pensioni dell’Agenzia per l’ambiente britannica. Il testo afferma che «a prescindere dal risultato all’assemblea di Shell» tutte le compagnie del settore dovrebbero «chiarire come vedono il loro futuro in un mondo low-carbon». La richiesta in particolar e è che le Major assumano «impegni concreti» per ridurre in modo significativo la CO2, per stimare l’impatto delle emissioni legate all’impiego dei combustibili che producono e per «spiegare come i loro investimenti siano compatibili con il percorso verso gli obiettivi di Parigi», che impegnano a contenere il riscaldamento globale almeno entro 2° C. Sono ormai diversi anni che il mondo della finanza ha preso coscienza dei rischi legati al cambiamento climatico: rischi non solo per l’ambiente, ma anche per gli investimenti stessi

Il 2018 è l’anno in cui dovrebbero essere realizzate le prime bozze dei Piani Energia e Clima, gli strumenti con cui i Paesi Membri dell’Unione Europea dovranno mostrare le politiche e le strategie per raggiungere gli obiettivi fossati per il 2030 e che, per l’Italia, rappresentano l’occasione per dare concretezza a quanto scritto nella Strategia Energetica Nazionale (SEN), predisposta oramai da quasi un anno.

Della SEN in verità, al di fuori degli addetti ai lavori e della stampa specializzata, se ne è parlato poco. Probabilmente non a torto perché si tratta di un documento che ha solo valore di indirizzo, approvato da un governo in scadenza, quasi un lascito a quello successivo per la sua messa in pratica. È comprensibile quindi che dopo la sua approvazione, l’ad di Enel Starace, rispondendo ai giornalisti abbia detto che “abbiamo la direzione ma non ci sono stati dati strumenti per arrivare agli obiettivi indicati”. (Vedi “Stop al carbone al 2025, Starace: vanno indicati gli strumenti”, Staffetta quotidiana del 22 novembre 2017).

Il tema di cui si era dibattuto era soprattutto quello della chiusura delle centrali a carbone entro il 2025, decisione che porrebbe qualche problema all’impianto di Torrevaldaliga nord, avviato nel 2009 e che quindi avrebbe bisogno di qualche anno ancora dopo il 2025 per ammortizzare l’investimento. La realtà però è che la politica si muove più lenta delle imprese perché il ministero ancora non ha dato l’ok a dismettere la centrale di umbra di Bastardo, che Enel ha deciso da tempo di non utilizzare più.

La SEN, ricordiamolo, prevede una decarbonizzazione completa (ossia chiusura di tutte le centrali a carbone) entro il 2025, produzione con fonti rinnovali del 55% dei consumi elettrici (quindi significa arrivare a generare 184 miliardi di chilowattora l’anno con le FER) e riduzione dei consumi finali di energia dell’1,5% annuo fra il 2021 e il 2030.

Qual è la realtà?

La realtà è che i consumi non scendono, nel 2017 i consumi di energia primaria sono aumentati dello 0,8% rispetto al 2016. Di positivo è da segnalare che sono aumentati della metà rispetto all’aumento del PIL, che nel 2017 è cresciuto dell’1,5%. I consumi finali di energia sono invece aumentati dell’1,3% circa, dunque in misura di poco inferiore all’aumento del PIL, per citare ENEA: “un segnale che nella forte contrazione dei consumi di energia dell’ultimo decennio l’auspicato disaccoppiamento tra crescita economica e consumi energetici ha avuto un ruolo meno rilevante di quello avuto dalla crisi economica”.

Nel 2017 si è consolidato il ruolo del gas naturale come prima fonte primaria del sistema energetico italiano, coprendo il 36,5% del totale. Per il terzo anno consecutivo i consumi sono aumentati in modo significativo (+6%, dopo il +5% del 2016. I consumi di petrolio sono invece diminuiti di un punto percentuale, il carbone presenta per il secondo anno consecutivo un calo in doppia cifra (-12% dopo il -10% del 2016) e si riduce al 6% del mix.

E le fonti rinnovabili? Per il terzo anno consecutivo sono in calo! L’aumento del solare e dell’eolico non hanno compensato la perdita dell’idroelettrico. Più volte abbiamo sostenuto che un sistema basato su queste fonti deve prevedere un mix dimensionato in modo da rendere complementari le fonti, e in Italia solare ed eolico sono fortemente sottodimensionate se si vuole che siano in grado di supplire all’acqua negli anni di siccità. Il risultato è stato l’aumento della generazione termoelettrica: +4,6% (dopo il +4,3% del 2016 e il +9,4% del 2015), che ha raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni.

Le FER hanno generato 103 TWh di elettricità (107 TWh del 2016, -3,4). È dunque scesa anche la quota di fonti rinnovabili sulla domanda, che ha perso due punti percentuali (dal 34,1% del 2016 al 32,3% del 2017). Anche la massima produzione da fonti rinnovabili su base mensile è rimasta lontana sia dal valore massimo raggiunto nel 2016 sia dai storici: nel 2017 il valore più elevato è stato raggiunto a maggio, con una quota pari al 39%, la più bassa degli ultimi cinque anni.

Questi pochi numeri mostrano come la rivoluzione energetica sia ferma, mostrano che gli obiettivi della SEN al momento sono delle chimere: dal 2015 al 2030 per raggiungerli la generazione da FER dovrebbe aumentare del 70% , dovremmo cioè raddoppiare la potenza fotovoltaica installata oggi, mettendo in opera 2,3 GW l’anno, ma nel 2017 (nonostante sia stato un anno di crescita) ne abbiamo installati solo 0,4 GW, come colmare il gap?

Fonte: www.energystrategy.it

I dati delle istallazioni dei primi tre mesi 2018 sono impietosi: fotovoltaico, eolico e idro non hanno superato i 138 MW, con un calo del 5% rispetto al primo trimestre 2017. Nessuna accelerazione all’orizzonte quindi.

Fonte: Anie Rinnovabili

Cosa scoveremo dal cilindro per implementare la SEN? Cosa scriverà il nuovo governo nel Piano per l’Energia e il clima? Il contratto di governo Di Maio – Salvini appare estremamente deludente, clima ed energia emergono (o meglio scompaiono) come problemi molto secondari.

La parola clima non è mai citata, compare il termine “cambiamento climatico” solo nella parte finale della sezione intitolata “Ambiente, green economy e rifiuti zero” (il che già stupisce), “In tema di contrasto al cambiamento climatico sono necessari interventi per accelerare la transizione alla produzione energetica rinnovabile e spingere sul risparmio e l’efficienza energetica in tutti i settori”; una frase così generica da essere perfetta forse per un programma elettorale non di certo per un programma di governo. E la parola “fonti rinnovabili” compare una sola volta in tutto il testo, sempre nelle righe finali di questa sezione: “È necessario avviare azioni mirate per aumentare l’efficienza energetica in tutti i settori e tornare ad incrementare la produzione da fonti rinnovabili, prevedendo una pianificazione nazionale che rafforzi le misure per il risparmio e l’efficienza energetica e che riduca i consumi attuali”. Impossibile commentare, manca qualsiasi elemento di concretezza.

Nessuna citazione sul decreto per le rinnovabili abbozzato dal ministero, nessun chiarimento se davvero per effetto della flex tax scompariranno tutte le detrazioni in vigore (senza le quali le installazioni casalinghe di pannelli fotovoltaici sparirebbero perché i tempi di payback praticamente raddoppierebbero), niente su come rinnovare il parco eolico, sul tema batterie, sulle comunità energetiche, sulla questione che si trascina da anni dello sblocco dei sistemi di distribuzione chiusa per dare la possibilità di fornire elettricità generata da un impianto rinnovabile, al altre utenze contigue. Niente su questa benedetta SEN o sul piano per il clima, quasi fossero affari che riguardano solo la povera e misera Europa.

Insomma al momento il piatto è davvero vuoto. Il clima invece non sta fermo, le centrali termoelettriche continuano a bruciare, così come i motori endotermici. Viviamo tempi esigenti, non frustriamo la nostra intelligenza: clima e ambiente sono uno dei nostri maggiori problemi, insieme alle diseguaglianze sociali. Come scrisse papa Francesco nella Laudato sì. L’avranno letta?

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Trump, i dazi imposti alla Cina hanno a che fare con la vendita di Shale gas

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Donald Trump ci sta abituando a isolare singoli prodotti dell’ampio spettro commerciale per giustificare ritorsioni laddove i prodotti fatti in casa subiscono una più aspra concorrenza. Da questo punto di vista i pericoli non vanno sottovalutati, perché tra sanzioni, ritorsioni, dazi, il mondo si prepara a conflitti via via più insanabili e tutti a spese dei Paesi più indigenti.

Nell’ultimo post ho voluto ricondurre l’attenzione al gas e al petrolio, tradizionali “dominus” di tutte le guerre virtuali, commerciali e – soprattutto – autentiche dei secoli industriali. Ora vorrei mettere in luce come tutti gli scambi energetici smussati sotto Barack Obama siano diventati fonte di grande tensione sotto Trump.

Secondo il segretario al Commercio degli Stati Uniti Wilbur Ross, il gas naturale liquefatto (Lng o Gnl) sarebbe una delle soluzioni per ridurre il deficit commerciale della Cina con gli Stati Uniti. Infatti, in un’intervista con Bloomberg TV, Ross ha suggerito che la Cina potrebbe deviare i suoi acquisti di Gnl verso gli Stati Uniti al fine di non solo diversificare le sue fonti di Lng ma anche ridurre il deficit, che ha raggiunto 375 miliardi di dollari l’anno scorso.

Quanto Lng potrebbe davvero e in effetti contribuire a risolvere il problema e quanto non entrerà nella trattativa sulla riduzione dei dazi e dell’acciaio asiatico? Facciamo qualche conto.

Quest’anno la Cina consumerà 44 milioni di tonnellate (MMt) di Gnl, il doppio della capacità di esportazione degli Usa verso tutti i Paesi (che è di 22 MMt). Se la Cina acquistasse per intero il gas americano, ciò rappresenterebbe 6,7 miliardi di dollari di entrate (ipotizzando un prezzo Lng di 3$ + 115% di Henry Hub, che è il prezzo attualmente utilizzato dagli Lng degli Stati Uniti). In base a questa quantità proposta il deficit si ridurrebbe al 2%.

Si noti che Henry Hub è un hub di distribuzione sul sistema di gasdotti a Erath, in Louisiana, di proprietà di Sabine Pipe Line Llc, una controllata di En Link Midstream Partners Lp che ha acquistato il bene da Chevron Corporation nel 2014. A dimostrazione del ruolo principale di esportatore di gas degli Stati Uniti, per la sua importanza Henry Hub presta il suo nome al punto di prezzo per i contratti future sul gas naturale.

Bloomberg New Energy Finance prevede che le importazioni di Gnl della Cina cresceranno fino a 82 milioni di tonnellate entro il 2030. Se tutto questo venisse acquistato dagli Stati Uniti, potrebbe contribuire con 27,7 miliardi di dollari al risanamento della bilancia commerciale degli Stati Uniti.

Naturalmente, questo ignora che la Cina (e gli Stati Uniti) hanno impegni che sarebbero difficili da rompere con la maggior parte del loro partner. Gli Stati Uniti hanno già venduto 13 milioni di tonnellate delle esportazioni del 2018 e la Cina ha contratto 42 milioni di tonnellate di importazioni da diversi produttori. Ciò lascia 2MM di volume di esportazione di riserva, all’incirca uguale alla quantità che gli Stati Uniti hanno esportato in Cina nel 2017 e che vale 613 milioni di dollari.

Allo stesso modo, solo il 40% delle importazioni cinesi del 2030 non è sotto contratto. Se la Cina avesse acquistato tale volume da una produzione degli Stati Uniti a prezzo ribassato, ciò comporterebbe un ricavo di $ 13,5 miliardi. Le cose, come si vede, sono assai complicate e sono regolate da rapporti di potere, di dipendenza, di facilities sul mercato.

Quindi le spedizioni di Gnl possono risolvere il deficit commerciale tra Cina e Stati Uniti? No. Potrebbero aiutare? Sì. Aumenteranno? Probabilmente. Gli esportatori statunitensi stanno già sollecitando gli acquirenti cinesi e la Cina sta cercando di diversificare le importazioni dall’Australia e dal Qatar, i suoi attuali fornitori primari. Proprio il mese scorso, PetroChina ha firmato il primo contratto di Lng a lungo termine della Cina per il gas degli Stati Uniti con Cheniere Energy. Questa tendenza continuerà probabilmente con l’espandersi del mercato degli Gnl negli Stati Uniti.

Importazioni di GNL della Cina, per fornitore

Fonte: Bloomberg New Energy Finance. Ufficio nazionale di statistica, dogana cinese. Queste sono le previsioni, che influenzeranno anche i dazi sul metallo che viaggia all’inverso dai mari della Cina

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