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Sono passati 14 anni dal referendum tradito sul nucleare e l’acqua pubblica

Mi colpisce come dallo schieramento governativo si assuma l’esito dei referendum appena svolti come una definitiva sconfitta dei quesiti posti ed una conferma della loro inattualità solo perché sancita non da un dibattito franco sui contenuti, ma dalla indebita pressione esercitata per disertare le urne. Una prova – quest’ultima – più di debolezza che di capacità di stare in un confronto in campo aperto che segni una strategia su lavoro e cittadinanza come la Cgil ha proposto in auspicabile discontinuità con tutta la politica per i prossimi anni.

E che dire del tentativo di screditare lo strumento costituzionale di democrazia diretta, forse per avere mani libere sulle modifiche ai principi della nostra Carta?

Più nello specifico e in relazione alle continue improvvide incursioni del ministro dell’Ambiente che ripropone l’atomo nella transizione energetica da qui al 2050, si vuole forse suffragare e giustificare un comportamento contrario al rispetto del voto popolare di un altro referendum, questa volta ampiamente accreditato dal raggiungimento del quorum: quello cioè del 2011 che ha ribadito l’esclusione del nucleare dal territorio nazionale?

Avanzo qui alcune riflessioni al riguardo, proprio nell’anniversario di quel 13 giugno di 14 anni fa, segnato da una grande mobilitazione popolare, caratterizzata dalla centralità dei temi dell’acqua e dell’energia scossi anche dall’incidente catastrofico alla centrale di Fukushima qualche mese prima della prova elettorale. Un avviso chiaro quello del 2011 di come i beni comuni siano assai cari ai cittadini e meno ai governi, se si pensa alla scarsa considerazione mostrata verso l’acqua come risorsa pubblica e bene comune e all’improntitudine con cui il governo Meloni-Pichetto Fratin oggi parla un giorno sì ed uno no di ritorno del nucleare nel programma energetico del nostro Paese.

Si dirà: l’emotività aveva caratterizzato il voto dopo Fukushima. Un’emotività, si continua a riportare, oggi superata da rassicurazioni verificabili. Ma… non banalizziamo!

Non solo l’incidente giapponese è responsabile di oltre 65 morti con certezza e di un numero assai maggiore attribuito allo stress successivo o agli effetti di danni radiologici, ma rimane oggi una ferita non rimarginabile sul territorio e nel mare circostante. La società che gestisce l’impianto sta infatti trattando e rilasciando l’acqua contaminata nell’Oceano Pacifico (già 90.000 tonnellate tra 2023 e 2024), oltre a cercare di rimuovere detriti pericolosissimi di combustibile fuso (dentro i reattori permangono 880 tonnellate di materiale estremamente pericoloso, che presenta livelli di radiazioni così elevate da essere trattate solo con robot telecomandati).

Nonostante i tentativi di sminuire il rischio dalla tecnologia di fissione, rimane un ordine di grandezza dell’energia atomica incompatibile con la finestra energetica in cui si sviluppa la vita. Per di più, non ci possiamo sottrarre alle emergenze concomitanti di questa fase storica: clima, guerre e ingiustizia sociale devono far riflettere sulle ferite inferte alla natura anche da scelte politiche avventate e sulla conseguente impronta umana sulla Terra. Ce l’ha insegnato anche Francesco nella predicazione della Laudato Si’, lasciando un pegno che molti dei commentatori alla sua dipartita hanno magari provato a celebrare per poi comportarsi come se il suo messaggio non fosse arrivato al cuore delle emergenze prima citate. L’energia nucleare, anche su scala globale, non allontana certo le minacce che incombono su una tregua ed una giustizia disarmata tra gli uomini e verso la biosfera.

Nel richiamo al nucleare bandito dal referendum, come giustificare l’assoluta mancanza di novità di rilievo riguardo al rischio di incidente dei reattori e allo smaltimento delle scorie radioattive, se non con una improvvida ed arrogante infrazione del risultato di un atto di democrazia diretta raggirato dalle deleghe ad un Esecutivo che non transita mai dal Parlamento? Una infrazione che si manifesta anche questa volta con decreti legge reiterati nel tempo che anticipano risoluzioni che sono allo stato attuale impugnabili di diritto.

Come è possibile che governo italiano e industria francese siglino in questi giorni un accordo per il nucleare europeo in cui la Francia assume un ruolo guida nel rilancio del settore in Europa, in un contesto di rinnovato entusiasmo per l’energia atomica nell’Unione europea? Dove sta il mandato? In questo accordo sottoscritto a Bruxelles la Francia, come Paese più nuclearizzato del continente, è alla testa di un’alleanza crescente di Stati membri dell’Ue, tra cui l’Italia, che promuovono il nucleare come “mezzo per decarbonizzare la produzione elettrica”. In quella sede il governo ha annunciato l’intenzione di aderire all’alleanza nucleare in estensione avviando un iter legislativo per rilanciare la produzione nazionale.

Il nuovo contratto rappresenta una dichiarazione di intenti politica, assai impegnativa, secondo cui la potente industria nucleare francese dovrebbe svolgere un “ruolo guida” nei progetti di collaborazione europea, visti anche come opportunità per riempire il portafoglio ordini nazionale.

Come giustificare sul piano giuridico che siano stati presi impegni perché: “sotto l’impulso della Francia, questo ecosistema europeo possa costituire un blocco unito e coerente, se i mercati globali lo richiedono” e come accettare che “affinché si raggiunga questo obiettivo, diventi necessario avviare precocemente protocolli di cooperazione europea, al fine di proporre un’offerta di esportazione coerente e avanzata”? Naturalmente, “l’alleanza per il nucleare” ha immediatamente chiesto un accesso dell’energia atomica ai meccanismi di finanziamento europei. Quando poi l’accordo celebra i suoi fasti senza ritegno alcuno – testualmente: “Abbiamo bisogno di nuovo nucleare per inaugurare un’età dell’oro dell’energia pulita e abbondante: è l’unico modo per proteggere i bilanci delle famiglie, riprendere il controllo della nostra energia e affrontare la crisi climatica” – chi ha autorizzato il nostro governo a condividere questa prospettiva?

E i referendum traditi ed i ritardi sulle rinnovabili a chi imputarle se non a una classe dirigente priva di una valorizzazione di quell’esercizio della pedagogia politica che confida nei cittadini e si colloca in comunicazione con loro, non rinchiudendosi in quelle élite che, al riparo di un populismo mal dissimulato, non esibiscono un sufficiente riguardo della rappresentanza e delle sue regole di democrazie diretta e delegata.

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Il governo gestisce irresponsabilmente la transizione energetica: serve uno sguardo allarmato

Forse occorre uno sguardo allarmato sulla gestione della transizione energetica che il governo attuale gestisce irresponsabilmente, a dispetto dell’attenzione che meriterebbero i cittadini. La situazione è allarmante:

– il Pnrr è stato bocciato dalla Corte dei Conti Ue perché i programmi di spesa sono stati definiti incerti. Si avvicina la scadenza di giugno 2026 ed è sempre più chiaro che alcune misure non saranno attuate in tempo. Più che una revisione generale del Piano, servono modalità e strategie alternative, che permettano di salvaguardare gli obiettivi. Tuttavia, più passa il tempo e più gli spazi per una revisione complessiva si restringono, dati i tempi tecnici di realizzazione che una tale riformulazione richiede, difficilmente compatibili con le scadenze fissate dall’Ue. Per ragioni non solo settoriali, ma anche sistemiche, questo ritardo ostacola anche aspetti urgenti della riconversione ecologica, come emerge dalla riorganizzazione del polo carbonifero di Civitavecchia.

– Anche il Pniec italiano è stato bocciato dalla Ue perché sono insufficienti i programmi, soprattutto sulle rinnovabili, compresi i progetti di eolico offshore non alle viste, anche laddove già validati dalle popolazioni locali.

– Il presidente presso le commissioni Via-Vas e Pnrr-Pniec, Massimiliano Atelli, si è dimesso perché, a quanto ho potuto constatare personalmente, non ci sono risorse per pagare i componenti della commissione, con pagamenti fermi al 2023, comprese le relative trasferte. A nulla è valso denunciare le insufficienti dotazioni informatiche e le scarse risorse di personale amministrativo. Metà della commissione si è dimessa, l’altra metà è sopraffatta dalla mole di lavoro. L’approvazione dell’eolico di Civitavecchia è ferma anche per questo motivo.

– Il governo non riesce a nominare i presidenti delle Autorità portuali perché non trovano, tra FdI e Lega, l’accordo sui candidati. Il presidente della Commissione Trasporti della Camera, Salvatore Deidda (FdI), ha formalmente chiesto la sospensione delle votazioni in attesa che il governo trasmetta tutte le proposte di nomina, comprese quelle ancora bloccate da trattative politiche o in stallo nei rapporti con le Regioni. Anche la Commissione Trasporti del Senato ha adottato la stessa linea. Di conseguenza, paralisi nei porti italiani fino al 2026, con conseguenti impedimenti per il varo degli hub portuali per l’allestimento delle piattaforme galleggianti di pale eoliche al largo.

Secondo Terna e Mase, è necessario mantenere in servizio le due centrali sarde a carbone almeno fino a giugno 2026, anziché chiuderle, come previsto, a fine 2025. Mancano infatti all’appello centinaia di MW di accumuli contrattualizzati con il capacity market del 2024: finora ne sono effettivamente entrati in esercizio solo 110 su un totale di 506 MW.

Intanto l’Italia annuncia il suo ingresso nell’Alleanza nucleare europea. Il governo di Giorgia Meloni sembra sempre più intenzionato a reintrodurre in Italia la tecnologia del nucleare, che era stata bandita dopo i referendum del 1987 e 2011. Al Consiglio Energia del 16 giugno a Lussemburgo, il ministro italiano dell’Energia, Gilberto Pichetto Fratin, annuncerà che l’Italia aderirà all’Alleanza nucleare, lanciata dalla Francia per promuovere questa fonte di energia “a zero emissioni”. Dopo l’arrivo al potere di Meloni, l’Italia aveva deciso di partecipare all’Alleanza nucleare come paese osservatore. “C’è una scelta del governo in questa direzione”, ha detto Pichetto Fratin. E ha aggiunto con sbadata leggerezza: “L’Italia consuma 310 miliardi di chilowattora e la previsione è che già nel 2040 saremo a 600 miliardi. Da qualche parte, quindi, dobbiamo produrre l’energia se vogliamo rimanere un paese del gruppo di testa nel mondo, un paese ricco e che dà futuro ai nostri figli e nipoti”.

Non c’è dubbio che il governo stia mettendo in campo una strategia di dilazione dello sviluppo delle rinnovabili, così convenienti per la posizione geografica e l’autonomia energetica del Paese. Ma non sembra più questa la direzione di Pichetto Fratin e Meloni che nascondono un ulteriore ricorso al gas sotto il miraggio del nucleare. L’Italia si muove lungo una traiettoria sempre più interconnessa con gli Stati Uniti e il recente accordo bilaterale sul gas naturale liquefatto (Gnl), sostenuto da Giorgia Meloni e Donald Trump, si inserisce in una dinamica più ampia che travalica il piano energetico per toccare anche i settori della difesa, del commercio e dell’innovazione tecnologica.

Inoltre, il “piano di Azione 2025-2030 Italia-Argentina”, adottato a giugno dalla presidente del Consiglio e dal presidente argentino Javier Milei, impegna a favorire l’interazione tra le aziende argentine e italiane nello sfruttamento dello shale gas del bacino di Vaca Muerta. E che dire allora e in questo contesto della riconversione da carbone a rinnovabili a Civitavecchia, voluto da un progetto dal basso e forse anche per questo osteggiato dall’alto?

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Dalla Lombardia all’Ue, tutti pazzi per il nucleare: cresce la propaganda di opportunisti e negazionisti

Nella sottovalutazione della sinistra nazionale e di una dirigenza Ue assorbita dalle pretese di riarmo, cresce una propaganda per il ritorno del nucleare sostenuta da impegni istituzionali e da schieramenti sempre più insistenti. Non è più solo la presunzione di azzerare i referendum 1987 e 2011 da parte di Pichetto Fratin, Salvini e Meloni, o la pretesa delle lobby nucleariste operanti a Bruxelles a rompere il silenzio: ormai da più parti risuona la grancassa della inevitabilità di una transizione energetica fondata sull’atomo. Una “necessità” non più contrapposta alle rinnovabili, ma “sdoganata” in funzione della stabilizzazione della loro intermittenza con piccoli impianti di fissione disseminati sul territorio (Smr e Amr).

Il disegno si articola su più piani. Innanzitutto, si deve far credere che il risultato di ben due referendum era stato suggerito dall’emotività seguita a due eccezionali incidenti catastrofici (Chernobyl e Fukushima) e che un salto tecnologico alle porte (?) sarà in grado di evitare rischi di funzionamento e scorie esiziali attive per generazioni. Poi, si insinua che i tempi lunghi di realizzazione del “nuovo nucleare” si possono tollerare con quella dose di negazionismo dell’urgenza della crisi climatica che dall’America trumpiana varca tranquillamente l’Atlantico verso il nostro governo e la commissione Ue.

Infine, si mobilitano istituzioni opportuniste, “esperti” e comitati di ingegneri o docenti universitari a contatto con gli studenti, che, sotto la rassicurante regia di istituzioni come la Giunta lombarda qui da noi o la Commissione per la Tassonomia Verde a Bruxelles, avviino programmi di start up o promuovano joint venture tra enti del settore fossile per progettare Smr o Amr mai accreditati da alcuna agenzia preposta all’autorizzazione. Tra le righe di una propaganda senza un briciolo di rigore scientifico, si arriva addirittura alla sfrontatezza di dichiarare il ricorso all’atomo per una impossibile riduzione in bolletta, quando in tutte le pubblicazioni il costo del chilowattora nucleare risulta superiore di un ordine di grandezza rispetto a quello delle rinnovabili.

In questo rumore di grancassa a sostegno dell’energia atomica, forse l’intervento più stupefacente e al limite dell’arroganza riguarda l’imprudente uscita del presidente della Lombardia Attilio Fontana, che ha siglato con l’Aiea un protocollo per il nucleare in Lombardia (!). Le sue dichiarazioni sono esemplari della leggerezza di questa offensiva: “Il nucleare rappresenta una strada sostenibile per favorire la transizione ecologica ed è una delle opzioni da sfruttare all’interno di un mix energetico green”. E ancora: “Le tecnologie moderne sono molto sicure e consentono di sfruttare al meglio questa tecnologia: parliamo di tecnologie completamente diverse rispetto al passato”.

Il nucleare con gli Smr e Amr a Milano e nella zona più popolata d’Europa significherebbe piani di emergenza ovunque, un crollo dei valori delle abitazioni e costi in bolletta insostenibili per le famiglie, ma, soprattutto, una contaminazione del suolo per migliaia di anni e una militarizzazione dei territori dovuta ai controlli del trasporto del combustibile e delle scorie verso un deposito geologico oggi nemmeno programmato. Una regione come la Lombardia, che ha acqua, monti ventosi e dove sviluppare pompaggi per accumulare energia prodotta da fonti naturali, spazio sugli edifici e le aree dismesse dove riflettere la radiazione solare con sempre maggiore efficienza, come reggerebbe la boutade di una Giunta che non ha aperto ancora la discussione nemmeno nel Consiglio Regionale? Perché coinvolgere una istituzione rilevante in una ipotesi insostenibile per i cittadini che ne dipendono?

Una chiave interpretativa la danno forse le iniziative partite a rimorchio. L’evento, dal titolo “Politica Energetica Nazionale al 2050: il Nucleare come parte del futuro?”, si svolge il 6 giugno 2025, a Bergamo. La sua presentazione è allusiva: “Le energie rinnovabili sono fondamentali per la transizione energetica, ma per raggiungere l’obiettivo del 100% di energia pulita potrebbero non bastare. Quali sono le valide alternative, compagne della transizione?” E qui l’Ordine degli ingegneri della provincia di Bergamo ritiene che si debba far luce sul possibile ruolo dell’energia nucleare nell’Italia del futuro. L’ordine degli ingegneri non solo promuove, ma distribuisce crediti formativi e invita gli studenti. Intanto, a Piacenza ci si prepara per giugno 2026 alla seconda edizione (la prima senza riscontro) del Nuclear Power Expo, la “prima mostra-convegno italiana dedicata al comparto dell’energia nucleare”.

Tutte proliferazioni sostenute dall’offensiva pro-nucleare del Ministro dell’Ambiente e della coalizione di governo che avviene in un silenzio della sinistra divisa anche al suo interno, sia a livello nazionale che europeo. Al Consiglio “Competitività” dell’Ue di giovedì 22 maggio (v. Bruxelles, 25/04/2025 Agence Europe), diversi ministri europei favorevoli all’energia nucleare hanno accolto con favore l’ammorbidimento della posizione della Germania nell’ambito della nuova coalizione guidata da Friedrich Merz. “Abbiamo concordato – ha detto la Ministra svedese dell’Energia – che le tecnologie a basso contenuto di CO2 avranno la priorità nella tassonomia. Accogliamo quindi con favore il ritorno della Germania a una politica energetica meno ideologica e più scientifica (…). Avevamo già la maggioranza in questa direzione. Possiamo andare ancora oltre con i tedeschi a bordo”.

Sarebbe bene non sottovalutare un autentico cambio di marcia, per cui il ritorno del nucleare copre anche un revival del gas sotto le spoglie del Gnl che Trump ha concordato con Meloni a New York.

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Nucleare, Meloni e Pichetto Fratin centralizzano le decisioni. Risultato: ritardi e scelte sbagliate

di Mario Agostinelli e Alfiero Grandi

Nel disprezzo del governo Meloni verso le altre istituzioni si intrecciano diversi obiettivi pericolosi per il funzionamento della democrazia italiana. Vengono sistematicamente ignorati i vincoli e i ruoli previsti dalla Costituzione per gli altri poteri istituzionali che hanno il dovere dei controlli sul potere esecutivo, mentre vengono disattese le leggi in vigore, evidenziando una deriva trumpiana.

E’ utile aprire una riflessione su come questa dinamica, interna agli equilibri del governo, impedisca il dispiegamento di una dialettica parlamentare e di un confronto con i movimenti e le associazioni, oltre che al necessario coinvolgimento dei cittadini. L’unico modo per gestire le diversità nella maggioranza è una centralizzazione forsennata delle decisioni, nelle mani della premier. Ne è esempio il modo di affrontare il rilancio del nucleare in Italia affidato alle esternazioni di Pichetto Fratin e di Giorgia Meloni, rilanciate da giornalisti ed “esperti” compiacenti, senza alcun confronto sul merito e sulle conseguenze che i processi di fissione atomica imporranno ai bilanci energetici, economici, sociali e ambientali del Paese, esponendo a rischio le generazioni future.

Cominciamo dai costi e dai tempi di fare resuscitare il nucleare. Pichetto Fratin ha affermato che il nucleare futuro abbatterà i costi delle bollette del 40%, valutando il prezzo attorno a 50 euro/MWh, e ha aggiunto che i tempi per la realizzazione dei “piccoli” impianti (SMR e AMR) si attesterebbe attorno al 2030. Piccoli è un eufemismo, visto che si parla di centrali fino a 300 MW: le centrali ormai dismesse (Trino, Latina, ecc.) erano al di sotto di questa soglia.

Edwin Lyman, un insigne scienziato nucleare, afferma che i reattori più piccoli produrranno elettricità più costosa di quelli più grandi, mentre un’analisi del 2023 condotta dal Natural Resources Defense Council (NRDC) negli Stati Uniti ha rilevato che il prezzo non sovvenzionato dell’elettricità prodotta dal progetto NuScale SMR in Idaho sarebbe stato di oltre 180 dollari per MWh, 6-7 volte più dei 24 dollari/MWh dell’eolico terrestre e del Ftv.

Gli SMR o i reattori avanzati AMR non saranno commercializzati prima di dieci, quindici anni perché impiegando nuovi combustibili (a partire da una percentuale di Uranio235 più alta) o nuovi cicli di raffreddamento, saranno sottoposti a procedure di approvazione inedite, più lente, sia per quanto riguarda la sicurezza che per valutare le scorie del combustibile.

I rifiuti andranno stoccati in depositi diversi rispetto a quelli riservati ai reattori oggi in funzione. Ci saranno quindi oneri e costi aggiuntivi per il loro imballaggio e smaltimento, con effetti economici rilevanti già nei trattamenti intermedi prima che vengano stoccati in un deposito geologico (in Italia siamo all’anno zero). In Italia avremmo altre scorie radioattive particolarmente pericolose senza una custodia adeguata, dato che anche il Ministro Pichetto Fratin durante l’evento “Nuove energie”, organizzato da La Stampa a Torino, ha ritenuto superati i due depositi definitivi per le scorie e ha detto di puntare sui 22 siti oggi provvisori, che così diventerebbero definitivi, con la prospettiva che i prossimi stoccaggi temporanei nascano accanto agli SMR, magari nei cortili delle aziende che ne hanno fatto richiesta!

Il Ministro dovrebbe attuare le leggi esistenti, invece si prende la responsabilità di fermare tutto sui depositi delle scorie senza neppure essere andato in Parlamento a fare approvare una nuova legge, se gli riuscirà.

C’è anche la questione dell’approvvigionamento dell’uranio. L’esperto americano Gail Tverberg ricorda che non c’è abbastanza uranio nelle miniere per tutti gli usi previsti e che la riserva delle atomiche da dismettere e riutilizzare nei reattori è ormai in esaurimento. Secondo la Cnn, il piano per la costruzione di piccoli reattori modulari avanzati prevede di utilizzare combustibile con una concentrazione di uranio 235 dal 5% al 20% che può provenire dalla Russia o dal “down-blending” delle bombe in dismissione, già consumato per l’85%.

L’ottimismo di maniera sul ricorso al nucleare è infondato. Quanto ricordato finora conferma tempi lunghi di realizzazione e quindi non ne verrà un contributo significativo al raggiungimento di emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Il progetto di legge del governo presentato da Pichetto Fratin non è ancora arrivato in Parlamento e avrà effetti negativi sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione per il 2030 e anche per il 2050, perché il tentativo di ribaltamento delle decisioni dei due referendum (1987 e 2011) sembra servire più per nascondere i ritardi nell’investire nel fotovoltaico, nell’eolico offshore, nel geotermico, nel rafforzamento dell’idroelettrico e nei pompaggi, soluzioni indispensabili e adeguate per realizzare gli obiettivi di Parigi.

I 60 GW che dovrebbero essere realizzati in Italia sono in forte ritardo e gli errori fatti dal Ministro con il decreto sulle localizzazioni porteranno ad ulteriori ritardi. Forse il Governo Meloni-Pichetto vuole importare fossile per altre decine di anni, compiacendo Eni che ai costi ad oggi stimati gestirà tanti miliardi (200 miliardi annui x 30 anni = 6.000 miliardi!), magari sotto le spoglie del cosiddetto Piano Mattei.

La colpevole dilazione dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione si accompagna ai ritardi in una transizione energetica nella riconversione verde e digitale della nostra manifattura. La crisi dell’Ilva è anche dovuta a queste mancanze.

Un futuro nucleare per l’Italia è inquietante quando si viene a sapere che stanno ritornando in Italia da Francia, Inghilterra e Slovacchia le nostre scorie radioattive ad alta pericolosità, inviate per il riprocessamento.

In una fase di crisi industriale e di aumento della povertà, anche i costi della bolletta elettrica per famiglie e imprese devono essere affrontati. Il governo nel decreto bollette ha premiato Eni, Enel, A2A, ecc. ma ai consumatori è arrivato quasi nulla. La crescita delle rinnovabili, non quella del gas e del nucleare, serve a ridurre i prezzi dell’elettricità, tenuti alti invece dalla formazione dei prezzi sulle centrali a gas, che determinano il costo del KWh per i consumatori. Informare e mobilitare contro le scelte sbagliate di restaurazione conservatrice del governo è l’obiettivo dei prossimi mesi.

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C’è molta confusione nel ‘ritorno al nucleare’ voluto da Pichetto Fratin

di Mario Agostinelli e Alfiero Grandi

La confusione sul ritorno all’energia elettrica prodotta da centrali nucleari è massima ma la situazione non è eccellente, come affermava Mao. Entro quest’anno è previsto il ritorno in Italia delle scorie radioattive ad alta pericolosità inviate in Francia e Gran Bretagna per essere trattate, ma l’Italia non sa dove metterle perché non ha costruito un deposito adatto per custodirle in sicurezza.

Il governo ha approvato il progetto di legge (v. ddl “nucleare sostenibile”) presentato dal ministro dell’Ambiente che ha l’obiettivo di regolamentare la costruzione di nuove centrali nucleari tagliando il tempo per l’approvazione dei decreti attuativi da 24 a 12 mesi. Tuttavia questa fretta si è persa per strada perché il testo del progetto di legge non è ancora stato presentato in Parlamento, creando incertezza sul suo contenuto. Il pdl è una clamorosa (meritata) sconfessione di anni di lavoro della Sogin, che non è riuscita a trovare una soluzione per lo stoccaggio delle scorie nucleari e ha causato reazioni contrarie nei territori, inoltre il governo prevede di aumentare le bollette elettriche per finanziare lo smantellamento delle centrali nucleari chiuse.

La proposta di nuove centrali nucleari è incomprensibile visto che il problema delle scorie nucleari non è stato risolto. A differenza di altri paesi come la Francia l’Italia non dispone di depositi adeguati. Il governo punta su nuove centrali più piccole – in particolare SMR e AMR – ma di queste non ci sono ancora prototipi sperimentati che abbiano dimostrato di essere affidabili e convenienti. Inoltre vengono riproposti metodi come il raffreddamento a piombo fuso abbandonato dai francesi per la sua impossibilità di gestione. Puntare su tecnologie non collaudate e senza prototipi funzionanti solleva dubbi sulla loro effettiva convenienza e sicurezza, oltre che sui costi, più del triplo rispetto alle rinnovabili.

Il governo spera di aggirare la sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale che limita la possibilità di eludere l’esito dei referendum popolari e per questo accredita suggestioni che non hanno alcun fondamento, se non la speranza che nel frattempo intervengano nuove tecnologie risolutive, di cui per ora non esistono prove

In questa confusione, non casuale, è una certezza che l’alibi del nucleare venga usato per distrarre dai ritardi del governo sulle energie rinnovabili. Ad esempio, sulle localizzazioni sono stati decentrati dal Ministero poteri alle Regioni che stanno bloccando le decisioni di installazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili, che Terna invece segnala presentate per livelli altissimi di produzione. Questo significa che ha ragione il piano 100% rinnovabili: l’Italia potrebbe produrre energia elettrica da fonti rinnovabili a costi molto inferiori, anzitutto usando gli spazi che non creano problemi (7% della superficie nazionale) come tetti e aree abbandonate per il fotovoltaico e investendo nell’idroelettrico, nel geotermico e in tante altre fonti possibili, approvando definitivamente il progetto per l’eolico in mare a 30 km dalla costa per Civitavecchia, un apripista, che giustificherebbe ancor di più la chiusura della centrale a carbone.

Il sospetto è che il governo speri nella possibilità di continuare ad usare il gas, magari quello russo a basso costo se la guerra finisse – oltre a quello importato dagli Usa – per produrre energia elettrica con buona pace del cambiamento climatico che sta causando disastri nel nostro paese.

Addirittura, il governo sta ritardando scelte in materia di energie alternative per i trasporti, usando elettrificazione e idrogeno, perché l’ideologia della destra prevede che occorra rivedere le scelte del Green Deal che porteranno altri disastri, a partire da un ritardo dell’Italia e da un’egemonia cinese nelle auto elettriche come è già avvenuto per i pannelli solari. Si favoriscono così interessi economici e politici che non hanno a cuore la sostenibilità ambientale e il benessere a lungo termine del paese e del clima. Una colpevole disattenzione riguarda anche gli accumuli con sistemi misti di idroelettrico e batterie corroborati da risparmio ed efficienza, oltre a investimenti nelle reti di trasporto dell’energia, ad esempio allestendo gigafactory per l’accumulo, come per i pannelli solari.

L’idea di centrali nucleari “fai da te” pone due questioni serissime. Innanzitutto, l’esigenza di un controllo pubblico sulla risorsa energia per programmare, selezionare, creare eccellenze di produzione anche manifatturiere che rafforzino l’alternativa delle rinnovabili, visto che, invece, la reazione delle popolazioni nei territori coinvolti da insediamenti di centrali nucleari diffuse non potrà che essere negativa. La seconda è la sicurezza degli impianti. In Ucraina le centrali nucleari sono un incubo perché sono state sottoposte ad attacchi militari con rischi gravissimi. In questo clima di guerra vogliamo sul serio aggiungere il pericolo di rischi legati a guerre, attentati, incidenti?

Questo governo pensa seriamente di disseminare decine e decine di “piccole” centrali nel territorio creando incubi ai cittadini delle aree contigue agli insediamenti?

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