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NIENTE DI QUESTO MONDO CI RISULTA INDIFFERENTE

Laudato Sì – Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale, in libreria dal 25 maggio 2020

La lezione della pandemia

Questa crisi potrebbe essere l’inizio di una riconciliazione degli esseri umani con il vivente, del lavoro con l’ambiente, del consumo con la pietà, del desiderio con il senso del limite. Una grande presa di coscienza di uomini e donne, perché non è dalle concentrazioni del potere che possiamo aspettarci una via d’uscita, ma dalla forza con cui organizzazioni, società civile, sindacati e movimenti prenderanno la strada dell’autoeducazione, dell’autoformazione, della responsabilità.

«È il tempo del nostro giudizio», ha detto papa Francesco il 27 marzo, in una metafisica piazza San Pietro sferzata dalla pioggia, impartendo l’indulgenza plenaria ai morituri, ai malati di coronavirus, ai loro familiari, agli operatori sanitari, a tutti coloro che si prendono cura di chi sta male, «È il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è». Il tempo «di trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati, e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà». Una fraternità e una solidarietà che prevede l’eguaglianza, l’accoglienza, l’apertura alla bellezza del mondo e la tutela di ogni creatura.

La casa comune

“Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora. Niente di questo mondo ci risulta indifferente”, scrive papa Francesco nell’incipit dell’enciclica Laudato si’. È il filo che segna un percorso di assunzione di responsabilità verso la casa comune, dove ogni pianta, ogni animale, ogni persona, ogni tramonto e specchio d’acqua hanno importanza, nella bellezza ferita del pianeta e nella necessità di una pratica di giustizia e di uguaglianza. Giustizia, uguaglianza, libertà, fratellanza, sorellanza, mitezza: parole usurate, “scartate” anch’esse – non diversamente dagli scarti materiali, produttivi e umani che segnano la nostra cultura – a cui è necessario restituire una funzione politica, perché non esiste giustizia ambientale senza giustizia sociale, e lo stato del pianeta, corroso da crisi rovinose, è il risultato di scelte politiche, economiche e finanziarie che l’enciclica non esita a chiamare criminali.

La catastrofe e l’ingiustizia

Temperature inverosimili incendiano interi continenti mentre i ghiacci si sciolgono e gli oceani, spazzati da tempeste e cicloni, erodono le coste. La desertificazione di intere aree cancella zone fertili e costringe le popolazioni alla fuga, mentre la biodiversità e la riserva di ossigeno garantite dalle foreste amazzoniche sono messe a rischio, assieme alla vita delle comunità indigene che le abitano. Sempre più numerose sono le persone che sopravvivono o muoiono per la strada o nelle baraccopoli del mondo, e sempre più enormi sono le spese militari degli Stati per armamenti concepiti allo scopo di portare distruzione e morte, il cui bilancio potrebbe da solo eliminare la fame nel mondo.

La cultura dello scarto e la conversione ecologica

In questa follia si situa il sistema dello scarto, ovvero di ciò che eccede l’utilità e il consumo, in una continua erosione delle risorse. Scarti non sono solo i rifiuti alimentari, produttivi, industriali, ma anche le persone marginali, malate, disoccupate, abbandonate a se stesse o in istituzioni chiuse, e i migranti che non vengono accolti, che muoiono in mare o per confinamento – così come scarti sono le periferie delle città e del mondo, le terre dei fuochi sparse nei continenti, le culture fragili e minacciate di scomparsa, le specie che stiamo estinguendo. Lo scarto denuda il modello economico, politico e culturale che ci sta conducendo alla catastrofe, che non è solo climatica e ambientale, ma etica e sociale, così che la conversione ecologica della produzione, degli stili di vita, della cultura e delle relazioni tra le persone e con le istituzioni rappresenta – con una serena e liberatoria rivoluzione nei comportamenti – la sola salvezza per la specie umana sul pianeta.

Unire analisi e lotte

Nel gennaio 2019, rispondendo alla richiesta dell’enciclica di fermarsi a riflettere sull’evidenza che l’umanità sta creando le condizioni per la propria estinzione, l’associazione Laudato si’ ha promosso un tavolo di lavoro formato da attivisti, studiosi, rappresentanti dell’associazionismo e dei movimenti, credenti e non credenti, che hanno deciso di confrontarsi, scambiare esperienze e collaborare alla stesura di un documento programmatico che provasse a dare attuazione concreta ai principi dell’ecologia integrale. Il punto di convergenza è stato individuato nella necessità di riconoscere l’interconnessione tra degrado ambientale, sociale, economico e culturale messa in luce dall’attuale crisi climatica, e di unire punti di vista, appartenenze e specialismi per giungere a un’analisi delle sue cause e articolare una risposta territoriale e globale.

Il libro

Niente di questo mondo ci risulta indifferente rappresenta lo sviluppo di questo percorso condiviso e la necessità di tradurre la visione unitaria e sovversiva dell’enciclica in un’analisi per punti che, senza pretese di esaustività, possa dare una comprensione basilare del problema climatico e delle politiche ad esso connesse, fornendo dati puntuali, statistiche, documenti e fonti. Non solo una fotografia della situazione attuale, ma un primo inventario delle molteplici azioni creative che continuamente nascono e producono alternative alla cappa ideologica che pare rinchiuderci. Crediamo in una presa di coscienza che divenga premessa per un’azione diffusa sul territorio e nella comunità, alla ricerca di una via per la salvezza della nostra specie e per la sua riconciliazione con le creature – animali, piante ed ecosistemi. Che la pubblicazione del libro avvenga durante la pandemia di coronavirus, proprio mentre si chiarisce quanto la diffusione di patogeni sia connessa alla distruzione degli ecosistemi e quanto la moria di persone, soprattutto le più fragili, abbia a che fare con una sanità rivolta al profitto anziché alla cura, appare una conferma delle argomentazioni che ci hanno sorretto e della necessità di un radicale cambiamento che investa la politica e gli stili di vita: un cambiamento che può avvenire solo grazie a una vasta azione di formazione e autoeducazione, e ad attività comunitarie capaci di portare sui territori e nelle istituzioni la bellezza, l’equilibrio della natura, la sorellanza e fratellanza tra esseri umani, e tra questi e il vivente: quella che papa Francesco, nella Laudato si’, chiama giustizia sociale e ambientale, retta dall’”intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta”.

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Presidio per Mimmo Lucano l’11 giugno a Milano

Milano scende in piazza: l’11 giugno alle 17.30 tutti alla Prefettura!

 

Il prossimo 11 giugno inizierà a Locri il processo contro Mimmo Lucano. In contemporanea con la manifestazione organizzata dal Comitato Undici Giugno davanti al tribunale di Locri e con i Presìdi in tante città d’Italia, il Comitato Undici Giugno milanese, insieme a tante realtà cittadine, lancia un Presidio davanti alla Prefettura (incrocio corso Monforte – Via Vivaio).

Nonostante il ridimensionamento delle accuse da parte del GIP prima e della Cassazione poi, nonostante la sentenza del TAR che reintegra Riace nel sistema SPRAR, Mimmo Lucano deve affrontare un processo per associazione a delinquere, truffa ai danni dello stato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dopo gli attacchi incrociati che si sono abbattuti sull’esperienza di Riace, i lunghi mesi di un esilio anomalo, l’impossibilità di partecipare alla campagna elettorale, prende ora il via un processo in bilico fra l’abnormità delle accuse e l’insussistenza di fatti realmente accaduti.

E’ l’ultimo atto del tentativo esercitato da pezzi dello stato e del governo di demolire l’esperienza di Riace, esempio di resistenza e solidarietà in una terra difficile come la Calabria, strangolata dalla criminalità organizzata, dove si è cercato di creare in modo concreto un equilibrio fra accoglienza, integrazione e sviluppo locale, rispettoso dell’ambiente, capace di creare posti di lavoro in un paese abbandonato. E del tentativo di perseguitare Mimmo Lucano in quanto artefice di questa esperienza, diventata ormai per tanti, in Italia e all’estero, un simbolo di umanità.

Ma non illudiamoci. Anche se le accuse più gravi sono già state sconfessate dalla stessa magistratura, il processo di Locri non si giocherà su eventuali errori amministrativi che potrebbero essere stati commessi. Sarà un processo politico contro la solidarietà e, in questo senso, non riguarderà solo Lucano, né solo la Calabria, ma tutti noi che di Lucano condividiamo lo spirito di solidarietà e di umanità, il rispetto dei diritti umani e delle persone.

Questo processo è una questione nazionale che ci riguarda tutti. Per questo dobbiamo mobilitarci tutti a fianco di Mimmo Lucano.

Comitato Undici Giugno Milano – Presidio per Mimmo Lucano: Restiamo Umani! con il Comitato Nazionale – Comitato Undici Giugno

Insieme a ASGI, NAGA, Osservatorio Solidarietà, ADIF, Festival Diritti Umani, I Sentinelli, Caritas Ambrosiana zona sesta, Camera del Lavoro di Milano, CNCA Lombardia, Associazione Laudato Si’, Costituzione Beni Comuni, Cantiere-Coordinamento dei Collettivi Studenteschi di Milano e provincia, Rete No ai CPR, Giuristi democratici, Scuola Antonino Caponnetto, Energia Felice, Puntorosso, Coordinamento delle scuole milanesi per la legalità e la cittadinanza attiva, Medicina Democratica, Comitato Milanese Acquapubblica, Osservatorio democratico delle nuove destre, RiMaflow, Fuorimercato-autogestione in movimento, Associazione Milano in Comune, Samia-Insieme per l’Uguaglianza, Osservatorio democratico delle nuove destre, Pressenza, PRC- Federazione di Milano, Odv Comitato quartieri case popolari Calvairate Molise Ponti, Associazione Dimensioni Diverse Onlus Baggio…

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La malattia del clima e la non cura della politica

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Questa volta voglio prenderla alla larga visto che la crisi del rapporto tra politica e società viene sempre svelata ex-post; come una sorpresa superiore alle previsioni dei politici!

La dodicesima notizia più censurata negli Stati Uniti riguarda il problema della fine dei combustibili fossili. “Vivremo se l’80% dei combustibili fossili rimarrà sottoterra”, dice l’Ipcc report, ma gli americani e il resto del mondo non lo devono sapere. E, d’altro canto, di cosa discutono Matteo Salvini e Luigi Di Maio nelle loro apparizioni televisive? Hanno forse rimesso in discussione che l’Italia debba mirare ad essere l’hub del gas d’Europa e che la Sardegna debba essere metanizzata a suon di navi metaniere e rigassificatori?

Ma, davvero, se si escludono eccezioni, la questione del clima può essere sempre più impunemente travolta dalle corporation dei tubi e delle trivelle, dagli interessi finanziari delle multinazionali, da politiche neocolonialiste e dalle manovre di guerra? Sulla rivista After oil, Bill McKibben ha scritto che, per quanto riguarda il cambiamento climatico, il problema essenziale non è “industria contro ambientalisti o repubblicani contro democratici. Sono le persone contro la fisica“. Per questo motivo, i tipici compromessi e compensazioni offerti nella maggior parte dei dibattiti pubblici non funzioneranno abbastanza, perché “è inutile fare pressioni con la fisica”. E, al riguardo, la critica di Bill alla concorrenza, che il gas porta all’espansione delle rinnovabili è molto dura. La parola d’ordine del movimento dello scienziato statunitense “lasciamo sotto terra l’80% delle riserve di carbone, petrolio e gas” è stata censurata e fatta sparire da tutti i media internazionali, escluso il Guardian che l’ha invece ripresa con risalto.

L’invito di McKibben quindi, pur ragionevole ed essenziale, non muove fremiti quanto gli scandali della nomenclatura romana. Dice con naturalezza che “con alternative a combustibili fossili ormai sempre meno costose, per vincere non abbiamo bisogno di questa ostinata lotta per sempre tra climalteranti e sopravvivenza. D’altra parte, se possiamo tenere a bada lo sviluppo dei combustibili fossili (gas compreso!) “per qualche altro anno (…) avremo reso irreversibile la transizione verso l’energia pulita, il 100% di rinnovabili”.

A sostegno di questa scelta e di un percorso realizzabile entro il 2050, in La festa è finitaRichard Heinberg esamina tre livelli ragionevoli e praticabili di intervento anche in una fase di crisi. Interventi che non agiscono tanto sulla domanda, quanto sulle scelte politiche e di comportamento. In primo luogo, la transizione diventa un segnale di partenza vera quando si modificherà in modo sostitutivo la produzione di elettricità dalle fonti a contenuto di carbonio alle fonti di energia eolica e solare. Una volta che l’energia solare ed eolica generano elettricità, “ha senso elettrificare gran parte del nostro consumo energetico il più possibile” Oltre ad adattare gli edifici all’efficienza energetica e ad aumentare la quota di mercato degli alimenti biologici locali, il livello di cambiamento “potrebbe raggiungere almeno il 40% di riduzione delle emissioni di carbonio in 10-20 anni “. Occorre, ovviamente, praticare una politica industriale nella direzione delle fonti sole e vento, sostenuta da una forte spesa in ricerca.

Infine, poiché la produzione di cemento è necessaria e richiede alte temperature, queste potrebbero essere fornite dalla luce del sole, elettricità o idrogeno, ben sapendo che un simile cambiamento significherebbe “una ridefinizione quasi completa del processo di produzione non solo del calcestruzzo, ma anche della pianta urbana, della mobilità, delle modalità di relazioni e convivenza. A ciò andrebbe aggiunta la riprogettazione del sistema alimentare “per ridurre al minimo la lavorazione, l’imballaggio e il trasporto”. Naturalmente, investimenti, programmazione, formazione e lavoro dignitoso per accompagnarne una estesa diffusione.

Aggiungo che senza maggiori sforzi dei governi per promuovere la crescita dello stoccaggio delle batterie e delle interconnessioni energetiche tra paesi diversi, e senza finanziamenti verdi per favorire le utilities elettriche a migliorare i servizi energetici e della mobilità elettrica, il 2018 sarebbe un altro anno perso. Se avanzassero, come dovrebbero, la generazione distribuita, lo stoccaggio di energia e le abitazioni passive, i consumatori necessiterebbero di una tecnologia che consenta loro di gestire la produzione e il consumo di energia domestica con la massima efficienza e di vendere di nuovo alla rete. È il caso, ormai realizzabile, di veicoli elettrici messi in rete: Enel sta collaborando con il produttore di automobili Nissan per creare un sistema grazie al quale i proprietari di Nissan EV possono vendere energia immagazzinata nei loro veicoli alla rete per ottenere un guadagno.

Nulla di quanto qui riportato è assunto come asse strategico nel “contratto” del governo del cambiamento che sì è appena costituito. Mentre la scienza del clima ha fatto quanto poteva, rilevando i sintomi, individuando la patologia e formulando la prognosi, ora tutto è nelle mani del paziente: che sembra non voler guarire, abbandonando la politica ad esercizi di fiacco potere.

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Il contratto Salvini-Di Maio ignora il clima e i target di Parigi

di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

Con una lettera aperta pubblicata dal Financial Times perfino le società petrolifere riconoscono che devono fare di più per combattere il cambiamento climatico. Arrivando ad «assumere la responsabilità di tutte le emissioni» di gas serra, comprese quelle prodotte dall’impiego di combustibili fossili, come la benzina per le auto o il gas con cui scaldiamo le nostre case. A chiederlo è un gruppo di 60 grandi investitori- fondi, banche e assicurazioni, che insieme gestiscono più di 10.400 miliardi di dollari e che alzano la pressione sulle major a livelli senza precedenti proprio a pochi giorni dalle assemblee degli azionisti, in cui l’ambiente promette di essere un tema centrale.

La Royal Dutch Shell voterà una mozione che chiede un taglio più aggressivo delle emissioni di CO2 rispetto al dimezzamento a cui il management «ambisce» entro il 2050. Nonostante le riserve, si sono schierati a favore anche la Church of England e il fondo pensioni dell’Agenzia per l’ambiente britannica. Il testo afferma che «a prescindere dal risultato all’assemblea di Shell» tutte le compagnie del settore dovrebbero «chiarire come vedono il loro futuro in un mondo low-carbon». La richiesta in particolar e è che le Major assumano «impegni concreti» per ridurre in modo significativo la CO2, per stimare l’impatto delle emissioni legate all’impiego dei combustibili che producono e per «spiegare come i loro investimenti siano compatibili con il percorso verso gli obiettivi di Parigi», che impegnano a contenere il riscaldamento globale almeno entro 2° C. Sono ormai diversi anni che il mondo della finanza ha preso coscienza dei rischi legati al cambiamento climatico: rischi non solo per l’ambiente, ma anche per gli investimenti stessi

Il 2018 è l’anno in cui dovrebbero essere realizzate le prime bozze dei Piani Energia e Clima, gli strumenti con cui i Paesi Membri dell’Unione Europea dovranno mostrare le politiche e le strategie per raggiungere gli obiettivi fossati per il 2030 e che, per l’Italia, rappresentano l’occasione per dare concretezza a quanto scritto nella Strategia Energetica Nazionale (SEN), predisposta oramai da quasi un anno.

Della SEN in verità, al di fuori degli addetti ai lavori e della stampa specializzata, se ne è parlato poco. Probabilmente non a torto perché si tratta di un documento che ha solo valore di indirizzo, approvato da un governo in scadenza, quasi un lascito a quello successivo per la sua messa in pratica. È comprensibile quindi che dopo la sua approvazione, l’ad di Enel Starace, rispondendo ai giornalisti abbia detto che “abbiamo la direzione ma non ci sono stati dati strumenti per arrivare agli obiettivi indicati”. (Vedi “Stop al carbone al 2025, Starace: vanno indicati gli strumenti”, Staffetta quotidiana del 22 novembre 2017).

Il tema di cui si era dibattuto era soprattutto quello della chiusura delle centrali a carbone entro il 2025, decisione che porrebbe qualche problema all’impianto di Torrevaldaliga nord, avviato nel 2009 e che quindi avrebbe bisogno di qualche anno ancora dopo il 2025 per ammortizzare l’investimento. La realtà però è che la politica si muove più lenta delle imprese perché il ministero ancora non ha dato l’ok a dismettere la centrale di umbra di Bastardo, che Enel ha deciso da tempo di non utilizzare più.

La SEN, ricordiamolo, prevede una decarbonizzazione completa (ossia chiusura di tutte le centrali a carbone) entro il 2025, produzione con fonti rinnovali del 55% dei consumi elettrici (quindi significa arrivare a generare 184 miliardi di chilowattora l’anno con le FER) e riduzione dei consumi finali di energia dell’1,5% annuo fra il 2021 e il 2030.

Qual è la realtà?

La realtà è che i consumi non scendono, nel 2017 i consumi di energia primaria sono aumentati dello 0,8% rispetto al 2016. Di positivo è da segnalare che sono aumentati della metà rispetto all’aumento del PIL, che nel 2017 è cresciuto dell’1,5%. I consumi finali di energia sono invece aumentati dell’1,3% circa, dunque in misura di poco inferiore all’aumento del PIL, per citare ENEA: “un segnale che nella forte contrazione dei consumi di energia dell’ultimo decennio l’auspicato disaccoppiamento tra crescita economica e consumi energetici ha avuto un ruolo meno rilevante di quello avuto dalla crisi economica”.

Nel 2017 si è consolidato il ruolo del gas naturale come prima fonte primaria del sistema energetico italiano, coprendo il 36,5% del totale. Per il terzo anno consecutivo i consumi sono aumentati in modo significativo (+6%, dopo il +5% del 2016. I consumi di petrolio sono invece diminuiti di un punto percentuale, il carbone presenta per il secondo anno consecutivo un calo in doppia cifra (-12% dopo il -10% del 2016) e si riduce al 6% del mix.

E le fonti rinnovabili? Per il terzo anno consecutivo sono in calo! L’aumento del solare e dell’eolico non hanno compensato la perdita dell’idroelettrico. Più volte abbiamo sostenuto che un sistema basato su queste fonti deve prevedere un mix dimensionato in modo da rendere complementari le fonti, e in Italia solare ed eolico sono fortemente sottodimensionate se si vuole che siano in grado di supplire all’acqua negli anni di siccità. Il risultato è stato l’aumento della generazione termoelettrica: +4,6% (dopo il +4,3% del 2016 e il +9,4% del 2015), che ha raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni.

Le FER hanno generato 103 TWh di elettricità (107 TWh del 2016, -3,4). È dunque scesa anche la quota di fonti rinnovabili sulla domanda, che ha perso due punti percentuali (dal 34,1% del 2016 al 32,3% del 2017). Anche la massima produzione da fonti rinnovabili su base mensile è rimasta lontana sia dal valore massimo raggiunto nel 2016 sia dai storici: nel 2017 il valore più elevato è stato raggiunto a maggio, con una quota pari al 39%, la più bassa degli ultimi cinque anni.

Questi pochi numeri mostrano come la rivoluzione energetica sia ferma, mostrano che gli obiettivi della SEN al momento sono delle chimere: dal 2015 al 2030 per raggiungerli la generazione da FER dovrebbe aumentare del 70% , dovremmo cioè raddoppiare la potenza fotovoltaica installata oggi, mettendo in opera 2,3 GW l’anno, ma nel 2017 (nonostante sia stato un anno di crescita) ne abbiamo installati solo 0,4 GW, come colmare il gap?

Fonte: www.energystrategy.it

I dati delle istallazioni dei primi tre mesi 2018 sono impietosi: fotovoltaico, eolico e idro non hanno superato i 138 MW, con un calo del 5% rispetto al primo trimestre 2017. Nessuna accelerazione all’orizzonte quindi.

Fonte: Anie Rinnovabili

Cosa scoveremo dal cilindro per implementare la SEN? Cosa scriverà il nuovo governo nel Piano per l’Energia e il clima? Il contratto di governo Di Maio – Salvini appare estremamente deludente, clima ed energia emergono (o meglio scompaiono) come problemi molto secondari.

La parola clima non è mai citata, compare il termine “cambiamento climatico” solo nella parte finale della sezione intitolata “Ambiente, green economy e rifiuti zero” (il che già stupisce), “In tema di contrasto al cambiamento climatico sono necessari interventi per accelerare la transizione alla produzione energetica rinnovabile e spingere sul risparmio e l’efficienza energetica in tutti i settori”; una frase così generica da essere perfetta forse per un programma elettorale non di certo per un programma di governo. E la parola “fonti rinnovabili” compare una sola volta in tutto il testo, sempre nelle righe finali di questa sezione: “È necessario avviare azioni mirate per aumentare l’efficienza energetica in tutti i settori e tornare ad incrementare la produzione da fonti rinnovabili, prevedendo una pianificazione nazionale che rafforzi le misure per il risparmio e l’efficienza energetica e che riduca i consumi attuali”. Impossibile commentare, manca qualsiasi elemento di concretezza.

Nessuna citazione sul decreto per le rinnovabili abbozzato dal ministero, nessun chiarimento se davvero per effetto della flex tax scompariranno tutte le detrazioni in vigore (senza le quali le installazioni casalinghe di pannelli fotovoltaici sparirebbero perché i tempi di payback praticamente raddoppierebbero), niente su come rinnovare il parco eolico, sul tema batterie, sulle comunità energetiche, sulla questione che si trascina da anni dello sblocco dei sistemi di distribuzione chiusa per dare la possibilità di fornire elettricità generata da un impianto rinnovabile, al altre utenze contigue. Niente su questa benedetta SEN o sul piano per il clima, quasi fossero affari che riguardano solo la povera e misera Europa.

Insomma al momento il piatto è davvero vuoto. Il clima invece non sta fermo, le centrali termoelettriche continuano a bruciare, così come i motori endotermici. Viviamo tempi esigenti, non frustriamo la nostra intelligenza: clima e ambiente sono uno dei nostri maggiori problemi, insieme alle diseguaglianze sociali. Come scrisse papa Francesco nella Laudato sì. L’avranno letta?

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