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Dalla Lombardia all’Ue, tutti pazzi per il nucleare: cresce la propaganda di opportunisti e negazionisti

Nella sottovalutazione della sinistra nazionale e di una dirigenza Ue assorbita dalle pretese di riarmo, cresce una propaganda per il ritorno del nucleare sostenuta da impegni istituzionali e da schieramenti sempre più insistenti. Non è più solo la presunzione di azzerare i referendum 1987 e 2011 da parte di Pichetto Fratin, Salvini e Meloni, o la pretesa delle lobby nucleariste operanti a Bruxelles a rompere il silenzio: ormai da più parti risuona la grancassa della inevitabilità di una transizione energetica fondata sull’atomo. Una “necessità” non più contrapposta alle rinnovabili, ma “sdoganata” in funzione della stabilizzazione della loro intermittenza con piccoli impianti di fissione disseminati sul territorio (Smr e Amr).

Il disegno si articola su più piani. Innanzitutto, si deve far credere che il risultato di ben due referendum era stato suggerito dall’emotività seguita a due eccezionali incidenti catastrofici (Chernobyl e Fukushima) e che un salto tecnologico alle porte (?) sarà in grado di evitare rischi di funzionamento e scorie esiziali attive per generazioni. Poi, si insinua che i tempi lunghi di realizzazione del “nuovo nucleare” si possono tollerare con quella dose di negazionismo dell’urgenza della crisi climatica che dall’America trumpiana varca tranquillamente l’Atlantico verso il nostro governo e la commissione Ue.

Infine, si mobilitano istituzioni opportuniste, “esperti” e comitati di ingegneri o docenti universitari a contatto con gli studenti, che, sotto la rassicurante regia di istituzioni come la Giunta lombarda qui da noi o la Commissione per la Tassonomia Verde a Bruxelles, avviino programmi di start up o promuovano joint venture tra enti del settore fossile per progettare Smr o Amr mai accreditati da alcuna agenzia preposta all’autorizzazione. Tra le righe di una propaganda senza un briciolo di rigore scientifico, si arriva addirittura alla sfrontatezza di dichiarare il ricorso all’atomo per una impossibile riduzione in bolletta, quando in tutte le pubblicazioni il costo del chilowattora nucleare risulta superiore di un ordine di grandezza rispetto a quello delle rinnovabili.

In questo rumore di grancassa a sostegno dell’energia atomica, forse l’intervento più stupefacente e al limite dell’arroganza riguarda l’imprudente uscita del presidente della Lombardia Attilio Fontana, che ha siglato con l’Aiea un protocollo per il nucleare in Lombardia (!). Le sue dichiarazioni sono esemplari della leggerezza di questa offensiva: “Il nucleare rappresenta una strada sostenibile per favorire la transizione ecologica ed è una delle opzioni da sfruttare all’interno di un mix energetico green”. E ancora: “Le tecnologie moderne sono molto sicure e consentono di sfruttare al meglio questa tecnologia: parliamo di tecnologie completamente diverse rispetto al passato”.

Il nucleare con gli Smr e Amr a Milano e nella zona più popolata d’Europa significherebbe piani di emergenza ovunque, un crollo dei valori delle abitazioni e costi in bolletta insostenibili per le famiglie, ma, soprattutto, una contaminazione del suolo per migliaia di anni e una militarizzazione dei territori dovuta ai controlli del trasporto del combustibile e delle scorie verso un deposito geologico oggi nemmeno programmato. Una regione come la Lombardia, che ha acqua, monti ventosi e dove sviluppare pompaggi per accumulare energia prodotta da fonti naturali, spazio sugli edifici e le aree dismesse dove riflettere la radiazione solare con sempre maggiore efficienza, come reggerebbe la boutade di una Giunta che non ha aperto ancora la discussione nemmeno nel Consiglio Regionale? Perché coinvolgere una istituzione rilevante in una ipotesi insostenibile per i cittadini che ne dipendono?

Una chiave interpretativa la danno forse le iniziative partite a rimorchio. L’evento, dal titolo “Politica Energetica Nazionale al 2050: il Nucleare come parte del futuro?”, si svolge il 6 giugno 2025, a Bergamo. La sua presentazione è allusiva: “Le energie rinnovabili sono fondamentali per la transizione energetica, ma per raggiungere l’obiettivo del 100% di energia pulita potrebbero non bastare. Quali sono le valide alternative, compagne della transizione?” E qui l’Ordine degli ingegneri della provincia di Bergamo ritiene che si debba far luce sul possibile ruolo dell’energia nucleare nell’Italia del futuro. L’ordine degli ingegneri non solo promuove, ma distribuisce crediti formativi e invita gli studenti. Intanto, a Piacenza ci si prepara per giugno 2026 alla seconda edizione (la prima senza riscontro) del Nuclear Power Expo, la “prima mostra-convegno italiana dedicata al comparto dell’energia nucleare”.

Tutte proliferazioni sostenute dall’offensiva pro-nucleare del Ministro dell’Ambiente e della coalizione di governo che avviene in un silenzio della sinistra divisa anche al suo interno, sia a livello nazionale che europeo. Al Consiglio “Competitività” dell’Ue di giovedì 22 maggio (v. Bruxelles, 25/04/2025 Agence Europe), diversi ministri europei favorevoli all’energia nucleare hanno accolto con favore l’ammorbidimento della posizione della Germania nell’ambito della nuova coalizione guidata da Friedrich Merz. “Abbiamo concordato – ha detto la Ministra svedese dell’Energia – che le tecnologie a basso contenuto di CO2 avranno la priorità nella tassonomia. Accogliamo quindi con favore il ritorno della Germania a una politica energetica meno ideologica e più scientifica (…). Avevamo già la maggioranza in questa direzione. Possiamo andare ancora oltre con i tedeschi a bordo”.

Sarebbe bene non sottovalutare un autentico cambio di marcia, per cui il ritorno del nucleare copre anche un revival del gas sotto le spoglie del Gnl che Trump ha concordato con Meloni a New York.

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Nucleare, Meloni e Pichetto Fratin centralizzano le decisioni. Risultato: ritardi e scelte sbagliate

di Mario Agostinelli e Alfiero Grandi

Nel disprezzo del governo Meloni verso le altre istituzioni si intrecciano diversi obiettivi pericolosi per il funzionamento della democrazia italiana. Vengono sistematicamente ignorati i vincoli e i ruoli previsti dalla Costituzione per gli altri poteri istituzionali che hanno il dovere dei controlli sul potere esecutivo, mentre vengono disattese le leggi in vigore, evidenziando una deriva trumpiana.

E’ utile aprire una riflessione su come questa dinamica, interna agli equilibri del governo, impedisca il dispiegamento di una dialettica parlamentare e di un confronto con i movimenti e le associazioni, oltre che al necessario coinvolgimento dei cittadini. L’unico modo per gestire le diversità nella maggioranza è una centralizzazione forsennata delle decisioni, nelle mani della premier. Ne è esempio il modo di affrontare il rilancio del nucleare in Italia affidato alle esternazioni di Pichetto Fratin e di Giorgia Meloni, rilanciate da giornalisti ed “esperti” compiacenti, senza alcun confronto sul merito e sulle conseguenze che i processi di fissione atomica imporranno ai bilanci energetici, economici, sociali e ambientali del Paese, esponendo a rischio le generazioni future.

Cominciamo dai costi e dai tempi di fare resuscitare il nucleare. Pichetto Fratin ha affermato che il nucleare futuro abbatterà i costi delle bollette del 40%, valutando il prezzo attorno a 50 euro/MWh, e ha aggiunto che i tempi per la realizzazione dei “piccoli” impianti (SMR e AMR) si attesterebbe attorno al 2030. Piccoli è un eufemismo, visto che si parla di centrali fino a 300 MW: le centrali ormai dismesse (Trino, Latina, ecc.) erano al di sotto di questa soglia.

Edwin Lyman, un insigne scienziato nucleare, afferma che i reattori più piccoli produrranno elettricità più costosa di quelli più grandi, mentre un’analisi del 2023 condotta dal Natural Resources Defense Council (NRDC) negli Stati Uniti ha rilevato che il prezzo non sovvenzionato dell’elettricità prodotta dal progetto NuScale SMR in Idaho sarebbe stato di oltre 180 dollari per MWh, 6-7 volte più dei 24 dollari/MWh dell’eolico terrestre e del Ftv.

Gli SMR o i reattori avanzati AMR non saranno commercializzati prima di dieci, quindici anni perché impiegando nuovi combustibili (a partire da una percentuale di Uranio235 più alta) o nuovi cicli di raffreddamento, saranno sottoposti a procedure di approvazione inedite, più lente, sia per quanto riguarda la sicurezza che per valutare le scorie del combustibile.

I rifiuti andranno stoccati in depositi diversi rispetto a quelli riservati ai reattori oggi in funzione. Ci saranno quindi oneri e costi aggiuntivi per il loro imballaggio e smaltimento, con effetti economici rilevanti già nei trattamenti intermedi prima che vengano stoccati in un deposito geologico (in Italia siamo all’anno zero). In Italia avremmo altre scorie radioattive particolarmente pericolose senza una custodia adeguata, dato che anche il Ministro Pichetto Fratin durante l’evento “Nuove energie”, organizzato da La Stampa a Torino, ha ritenuto superati i due depositi definitivi per le scorie e ha detto di puntare sui 22 siti oggi provvisori, che così diventerebbero definitivi, con la prospettiva che i prossimi stoccaggi temporanei nascano accanto agli SMR, magari nei cortili delle aziende che ne hanno fatto richiesta!

Il Ministro dovrebbe attuare le leggi esistenti, invece si prende la responsabilità di fermare tutto sui depositi delle scorie senza neppure essere andato in Parlamento a fare approvare una nuova legge, se gli riuscirà.

C’è anche la questione dell’approvvigionamento dell’uranio. L’esperto americano Gail Tverberg ricorda che non c’è abbastanza uranio nelle miniere per tutti gli usi previsti e che la riserva delle atomiche da dismettere e riutilizzare nei reattori è ormai in esaurimento. Secondo la Cnn, il piano per la costruzione di piccoli reattori modulari avanzati prevede di utilizzare combustibile con una concentrazione di uranio 235 dal 5% al 20% che può provenire dalla Russia o dal “down-blending” delle bombe in dismissione, già consumato per l’85%.

L’ottimismo di maniera sul ricorso al nucleare è infondato. Quanto ricordato finora conferma tempi lunghi di realizzazione e quindi non ne verrà un contributo significativo al raggiungimento di emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Il progetto di legge del governo presentato da Pichetto Fratin non è ancora arrivato in Parlamento e avrà effetti negativi sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione per il 2030 e anche per il 2050, perché il tentativo di ribaltamento delle decisioni dei due referendum (1987 e 2011) sembra servire più per nascondere i ritardi nell’investire nel fotovoltaico, nell’eolico offshore, nel geotermico, nel rafforzamento dell’idroelettrico e nei pompaggi, soluzioni indispensabili e adeguate per realizzare gli obiettivi di Parigi.

I 60 GW che dovrebbero essere realizzati in Italia sono in forte ritardo e gli errori fatti dal Ministro con il decreto sulle localizzazioni porteranno ad ulteriori ritardi. Forse il Governo Meloni-Pichetto vuole importare fossile per altre decine di anni, compiacendo Eni che ai costi ad oggi stimati gestirà tanti miliardi (200 miliardi annui x 30 anni = 6.000 miliardi!), magari sotto le spoglie del cosiddetto Piano Mattei.

La colpevole dilazione dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione si accompagna ai ritardi in una transizione energetica nella riconversione verde e digitale della nostra manifattura. La crisi dell’Ilva è anche dovuta a queste mancanze.

Un futuro nucleare per l’Italia è inquietante quando si viene a sapere che stanno ritornando in Italia da Francia, Inghilterra e Slovacchia le nostre scorie radioattive ad alta pericolosità, inviate per il riprocessamento.

In una fase di crisi industriale e di aumento della povertà, anche i costi della bolletta elettrica per famiglie e imprese devono essere affrontati. Il governo nel decreto bollette ha premiato Eni, Enel, A2A, ecc. ma ai consumatori è arrivato quasi nulla. La crescita delle rinnovabili, non quella del gas e del nucleare, serve a ridurre i prezzi dell’elettricità, tenuti alti invece dalla formazione dei prezzi sulle centrali a gas, che determinano il costo del KWh per i consumatori. Informare e mobilitare contro le scelte sbagliate di restaurazione conservatrice del governo è l’obiettivo dei prossimi mesi.

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Miti sul nucleare: così si continua a spararla grossa (e si aggirano gli esiti dei referendum)

Mentre dagli Stati Uniti vengono scagliate affermazioni rodomontesche che disorientano un’opinione pubblica già provata, non sembra venir meno anche da noi la propensione a spararle grosse. E’ da qualche settimana che l’intera compagine al governo si cimenta nel sostegno dell’uranio più o meno arricchito (se non addirittura, nascondendolo con dovuta reticenza, del plutonio di interesse militare) come combustibile in reattori piccoli o grandi (ancora non si distingue bene…).

Sia il Ministro dell’Ambiente che il seguito di stampa e di presunti esperti che lo assecondano si cimentano incautamente sulla strada del ciclo radioattivo e, con dati alquanto opinabili, si prodigano per accantonare l’esito dei referendum del 1997 e del 2011. Sicurezza, remuneratività degli investimenti, sostenibilità, energia infinita e a buon mercato costellano i mantra che ci vengono via via ammanniti. Vediamo un po’ di cosa si nutrono i miti sul nucleare incautamente dispensati. Attingendo dati dalle fonti internazionali meglio accreditate (in particolare il Bulletin of Atomic Scientists).

Si fa notare che alla Cop28 i rappresentanti di 25 paesi, guidati dagli Stati Uniti, hanno assunto l’impegno di triplicare al 2050 la disponibilità di energia nucleare. Parrebbe automatico accodare anche l’Italia a tanta impresa. Peccato che ci siano oggi 100 reattori in funzione in Europa, la maggior parte dei quali sono vecchi e che 90 di questi dovranno essere chiusi entro il 2050. Quindi, avremmo bisogno nel solo vecchio continente di 90 nuovi reattori solo per mantenere l’energia nucleare al suo livello attuale e, per triplicarlo, di 300 nuovi reattori, con la connessione di 15 nuovi grandi reattori in Europa ogni anno dal 2030 al 2050.

C’è posto per l’Italia in tanta impresa? Tanto più se si osserva che l’aumento di potenza di tutte le centrali nucleari nel mondo negli ultimi vent’anni, dal 2004 al 2023, è stato pari a un totale di 7 GW e che nello stesso periodo, la capacità delle centrali solari nel mondo è cresciuta di 1643 GW, passando da 7 GW a 1650 GW.

La spiegazione è chiara: le rinnovabili meglio e più velocemente del nucleare competono per tenere a freno la catastrofe climatica: basta confrontare i tempi di realizzazione e la curva di apprendimento delle due tecnologie a totale vantaggio della prima.

L’uranio non è una risorsa abbondante, anzi, e in Italia sarebbe tutta d’importazione. In Europa attualmente non esiste più una miniera di uranio operativa e la capacità di arricchimento del combustibile dovrebbe essere acquisita fuori dai nostri confini. Ma si è valutato chi vorrebbe investire in Occidente in una tecnologia non più sulla cresta dell’onda?

E’ pur vero che la tassonomia Ue purtroppo classifica l’energia nucleare come una risorsa “ecologicamente sostenibile”, ma per rientrare in questa categoria il Paese che ospitasse gli impianti dovrebbe attivare un fondo per la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito e un fondo per lo smantellamento delle centrali nucleari, oltre ad assicurare un deposito già operativo per i rifiuti di bassa e media attività (LILW) e un deposito funzionante entro il 2050 per i rifiuti di alta attività e il combustibile nucleare esaurito. E come si ottempera a questi vincoli in Italia?

Le centrali nucleari si costruiscono in un lasso di tempo non compatibile con l’urgenza climatica e con l’assorbimento di risorse finanziarie così ingenti da avere un costo corrente elevato e pesare sul debito di molte generazioni future. Il reattore EPR della società francese Areva in Finlandia, Olkiluoto 3, è in costruzione da 18 anni; lo stesso reattore a Flamanville in Francia è arrivato all’avvio dopo 17 anni, mentre per Hinkley Point C nel Regno Unito è previsto il completamento della costruzione nel 2031: il che significa 21 anni dalla decisione del governo e 14 anni dall’inizio della costruzione.

Per il reattore francese il prezzo del contratto era di 3 miliardi di euro, mentre la stima del completamento è sui 30 miliardi di euro; gli impianti di Hinkley Point C costeranno 36 miliardi di sterline (43,4 miliardi di euro) ai prezzi del 2015, o 57,7 miliardi di euro ai prezzi odierni. Si capisce perché il ddl del governo sul “nucleare sostenibile” lasci trapelare aiuti pubblici e taccia sullo scarico sulle bollette.

Ma – si dirà – l’Italia punta agli Smr, i piccoli reattori nucleari: ebbene, il prezzo del nuovo Smr BWRX-300 da soli 300 MWe di GE-Hitachi, raggiungerà i 5,4 miliardi di dollari più interessi quando sarà forse costruito nel 2033. Quanto costeranno allora i moduli per sostenere i data center sparsi in tutta Italia che il governo fa trapelare interessati all’atomo?

In quanto ai costi d’esercizio (e al pagamento delle bollette!) va ricordato che è vero che per la centrale nucleare di Krško, vecchia di 43 anni, il prezzo interno dell’impianto era di 34 euro/MWh nel 2022 più 12 euro/MWh per il fondo di smantellamento, i rifiuti LIL e il combustibile nucleare esaurito, per un totale di 55 euro/MWh. Ma si tratta di un impianto largamente ammortizzato, mentre il prezzo dell’elettricità pubblicato per la nuova centrale nucleare di Hinkley Point C è di £ 92,5/MWh ai prezzi del 2012. Ai prezzi odierni, questo stesso prezzo è di £ 136,9/MWh o 159,55 Eur/MWh. Questo prezzo sarà molto più alto entro il 2030.

Secondo il rapporto di Draghi “Il futuro della competitività europea” del settembre 2024, l’elettricità dalle nuove centrali nucleari è aumentata di prezzo del 46% da 123 $/MWh nel 2009 a 180 $/MWh nel 2023. Confrontiamolo allora con il costo livellato dell’energia (Lcoe) nel 2019 di 53 $/MWh per l’elettricità prodotta dall’energia eolica terrestre e di 68 $/MWh per quella fotovoltaica! Per gli Smr tuttora non esistenti la previsione di costo si aggira attorno a 180-260 euro a MWh.

Il nucleare richiederà sostanziali riduzioni dei costi prima che valga la pena di investire, indipendentemente dal fatto che il suo beneficio in termini di energia pulita venga considerato o meno, dato il vantaggio delle rinnovabili rese continue dagli storage avanzati.

In questo post, peraltro, si è trascurato l’aspetto più inquietante: l’assoluta mancanza di progressi decisivi nella tecnologia nucleare che la possano definire di nuova generazione (IV generazione?!). Dove sta allora il superamento dei referendum, per lanciarsi in una avventura fallimentare anche sul piano dei costi e delle prospettive a breve e lungo termine?

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Perché il cosiddetto nucleare sostenibile è uno schiaffo alla nostra intelligenza

Siamo, per la prima volta e contemporaneamente, al cospetto di una catastrofe climatica, di una guerra mondiale a pezzi – con lo spettro dell’arma nucleare sullo sfondo – e di una disuguaglianza sociale crescente che prospera nel declino della democrazia. L’elezione di Trump, la sua repentina sussunzione del potere in chiave personalistica, assieme all’affidamento a Musk di un ruolo incontrastato nell’amministrazione del potere negli Stati Uniti, costituisce una svolta inedita con cui dobbiamo fare i conti. Lo Stato legislativo viene spodestato dallo Stato governativo, il diritto internazionale non è più il perimetro dell’azione politica entro cui tarare i confini della legge, sottomessa invece ad una ideologia intollerabile, che annulla il conflitto tra economico e sociale in una dilatazione del comando del privato.

Se il caso statunitense, già prefigurato da Capitol Hill, assume le sembianze di un autentico colpo di stato, i riflessi causati in Occidente si fanno inopinatamente conseguenti, come sta a dimostrare l’involuzione cui le istituzioni del nostro Paese sono sottoposte da Meloni e dalla maggioranza di governo in tutte le sue articolazioni. Di seguito, trasferisco il disagio sociale che va maturando al caso della incredibile riedizione nazionale del ritorno al nucleare, anch’esso paradigmatico di una operazione eversiva sul piano democratico e culturale, condotta con spregiudicatezza da Pichetto Fratin e dalla Confindustria, al riparo del vento che gli “Hyperscaler” Usa delle Big Tech – Amazon, Google, Microsoft, Meta – assiemati dal Presidente Trump vanno soffiando sotto la specie accattivante dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.

Innanzitutto, il ritorno del nucleare in Italia ha un aspetto paradossale: quello di un richiamo per entrare fra dieci, quindici anni nel club dei dipendenti dalle riserve di uranio, che sono sottoposte ai controlli delle alleanze militari e ledono l’autonomia energetica nell’epoca delle guerre mondiali a pezzi. Il governo gioca d’azzardo sulla mancanza di dibattito pubblico: regole per i nuovi impianti nucleari entro fino anno, fine del processo normativo nel 2025, già dal 2030 le prime autorizzazioni all’insediamento di reattori. Il ddl presentato il 23 gennaio 2025 nella relazione illustrativa rilancia gli scenari modificati nel Pniec, secondo i quali al 2050 l’atomo potrà coprire tra l’11% e il 22% della domanda, con 8-16 GW di capacità nucleare installata.

Una politica industriale miope si scuote con la riemersione delle vecchie lobby a partecipazione pubblica (Eni, Enel, Terna, Sogin), che tornano a dominare il panorama energetico italiano, dando fiato alle posizioni di Confindustria ispirate alla “neutralità tecnologica” giustamente posta in discussione dalla Cgil. L’ispirazione di fondo è che i data center delle compagnie di informatica possano diventare un segmento di mercato significativo per lo sviluppo di piccoli reattori nucleari e di reattori modulari avanzati (Smr e più in là Amr), magari da collocare direttamente nelle aziende e che non saranno in grado di fornire elettroni alla rete prima di quindici anni.

Lo sviluppo dell’IA, in definitiva, assume un ruolo rilevantissimo e funge da attrattore nella prospettiva di una rivalutazione del nucleare diffuso di piccola taglia, impunemente definito di “quarta generazione” (una specifica di innovazione e di sicurezza, non una particolare macchina, pur se ancora imprecisa nella definizione) anche quando quelle degli Smr sono solo innovazioni di riduzione delle dimensioni dei reattori della “terza” oggi in declino di realizzazione. L’accoppiata IA+Smr richiederebbe un aumento di consumi elettrici rilevante, dato che l’aumento medio per l’elaborazione e il raffreddamento dei sistemi ad apprendimento automatico è valutato dell’ordine del 43% in più rispetto agli analoghi sistemi di computazione tradizionale. Ad oggi si stima che i data center consumino già tra l’1 e il 2% dell’elettricità mondiale, ma l’ascesa di strumenti come ChatGpt e l’alleanza degli Hyperscaler statunitensi prevista da Musk innescano previsioni del consumo energetico globale che potrebbe aumentare decisamente e irreversibilmente.

Occorre poi considerare che la tecnologia in esame richiede un processo più lento di quanto non si dica, anche in ragione del fatto che l’eventuale processo normativo non ha tempi oggi prevedibili. Inoltre, nulla sappiamo della loro curva di apprendimento, mentre è nota quella delle rinnovabili con accumulo con cui dovranno competere e che sono invece l’effettivo bersaglio dell’agitazione pro-atomo.

Inoltre, oltre alla necessità di impiegare una percentuale di Uranio 235 più alta di quella usata nei grandi reattori (e quindi una procedura più vincolante per i fornitori sottoposti a controlli militari), per quanto riguarda i rifiuti e le dismissioni dell’impianto, l’incertezza oggi niente affatto dissipata dal mondo scientifico ostacola il processo decisionale a lungo termine. In effetti, in particolare per gli Amr, i combustibili previsti nel funzionamento sono spesso nuovi, il che significa che i rifiuti di combustibile esaurito sono poco compresi, in alcuni casi completamente sconosciuti e con aumenti di volume di prodotti di scarto molto preoccupanti, che richiedo costi ed oneri aggiuntivi. Per di più, oggi l’elettricità prodotta da nuove centrali nucleari in Europa (con le tecnologie mature esistenti) arriva a 170$/MWh, contro i 50$/MWh del fotovoltaico, stimata da una recente analisi, mentre il fotovoltaico con batterie ha già raggiunto un costo tra 60 e 108€/MWh, secondo il Fraunhofer Institute. Le nuove tecnologie nucleari come gli Smr produrranno a circa 90-110 €/MWh, se e quando raggiungeranno la maturità commerciale.

Non c’è ragione per una opzione nucleare in opposizione alle rinnovabili, oltre all’ideologia di crescita a tutti i costi di un nuovo capitalismo che inquina la democrazia. Il cosiddetto “nucleare sostenibile” è uno schiaffo alla nostra intelligenza e il dibattito che è necessario avviare sgombrerà il campo dall’equivoco.

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Eolico offshore, a Civitavecchia il governo preferisce la Puglia e reprime una lotta dal basso

Le guerre atroci che ci circondano stordiscono e l’asticella di sopportazione si sposta sempre un poco più in là, ma non possiamo tralasciare altre emergenze, anch’esse legate alla salute e alla sopravvivenza della nostra specie. L’Antropocene, purtroppo, si manifesta sotto la più colpevole incuria della terra e della biosfera tutta.

Per concentrarci su quanto accade da vicino, occorre denunciare come l’emergenza climatica in corso stia passando in secondo piano. Anzi, il governo in carica, nonostante la devastazione di interi territori nazionali, traffica per affari sottotraccia, piegando le aspettative e l’urgenza della riconversione energetica “verde” agli interessi delle vecchie lobby, rafforzate nelle loro pretese. E, come capita quando la partecipazione dei cittadini viene messa in secondo piano, si inventano “Piani Mattei”, pur di avere rigassificatori riforniti da GNL dall’Atlantico o da gasdotti trans mediterranei.

Intanto, si cambia in un baleno l’intero quadro di comando delle partecipate statali dell’energia e ci si allea con la Confindustria più retriva, pur di tener fede nel ritardo dell’installazione delle rinnovabili e nel mantenere una quota di gas e di nucleare al 2030. Un progetto assai rischioso, incompatibile coi tempi dell’emergenza climatica, giacché tradirebbe l’obbiettivo di 1.5°C, non eliminando a norma le combustioni fossili e rilasciando diffusamente rifiuti radioattivi letali.

Parto da Civitavecchia ancora una volta, per chiarire come la sconfitta – e quindi la sconfessione di un progetto maturato dal basso – sembra premere al governo di Meloni, Fitto e Pichetto Fratin. L’edizione barese di Repubblica il 29 settembre annunciava che “salgono sempre più le quotazioni della Puglia (con i porti di Taranto e Brindisi insieme) e della Sicilia (con Augusta) come sedi dei grandi hub per l’allestimento delle piattaforme per l’eolico offshore galleggiante”. Non sarebbe male, se fossero in aggiunta al porto laziale, che da lungo tempo ha annunciato la sua candidatura, prefigurando anche l’insediamento di aziende manifatture per l’offshore, con la copertura finanziaria di una joint venture europea già costituita per gli investimenti di 27 pale eoliche a 35 km al largo delle sue coste.

Evidentemente, il credito di Fitto e di alcuni parlamentari pugliesi (ma non solo) della maggioranza ha avuto un suo peso nel non prendere in considerazione il porto che è stato al centro di una partecipazione popolare, del mondo del lavoro e della ricerca.

Evidentemente, i nuovi manager designati nelle Aziende Partecipate dell’energia non nutrono alcuna autonomia dai ministri designatori (non c’è più uno Starace all’Enel!) e riscrivono tra di loro il nuovo PNIEC inviato a Bruxelles, che, nei loro intenti, rallenta le rinnovabili e le sostituisce con il nucleare, bocciato da ben due referendum, ma celebrato nella sua nuova veste di piccola taglia (150 MW tutt’ora non esistenti, ma già valutabili in termini di alto consumo e di rischio elevatissimo, se realizzati) adatta a alimentare i data center per l’intelligenza artificiale.

Pichetto Fratin, in una dichiarazione al Giornale del 24 agosto sfida i referendum e il buon senso: “La transizione energetica è impensabile – dice – senza la sfida del nucleare. anche perché l’’Intelligenza Artificiale contribuirà al raddoppio di energia al 2050”: Quindi, non basteranno le rinnovabili (che intanto sono tenute ferme da mille cavilli). Per perseguire una strategia così penalizzante delle rinnovabili occorre rimuovere in Confindustria Rebaudengo, il responsabile di Energia Futura: e questo è nell’aria.

Ben si capisce allora l’allarme che lancia Marco Piendibene, il nuovo sindaco di centrosinistra di Civitavecchia: “E’ incomprensibile il differente approccio del governo in situazioni paragonabili a quella di Civitavecchia – scrive il 2 ottobre a due deputati del territorio: Battilocchio di Forza Italia e Rotelli, di Fratelli d’Italia – quando invece la promozione delle ragioni di Civitavecchia nei contesti istituzionali nazionali chiede il giusto riconoscimento e supporto nei progetti strategici” che vedono coinvolta una popolazione che per anni si è mobilitata per una soluzione che liberasse il proprio territorio dalla schiavitù dei fossili. Il sindaco chiede, infine, “un incontro urgente per discutere tutte le iniziative che possano essere messe in atto al fine di portare le istanze del territorio all’attenzione di tutti i dicasteri interessati”.

Piendibene e i suoi cittadini sanno che la città potrebbe diventare un punto di riferimento nazionale per la transizione energetica e lo sviluppo delle energie rinnovabili, con la realizzazione di un hub integrato in grado di favorire la crescita economica e occupazionale, valorizzando le infrastrutture portuali e la centralità della sua posizione geografica nel Mediterraneo.

L’attenzione dell’opinione pubblica, una volta edotta, non potrà che richiedere un ruolo proattivo e non distaccato e sterile da parte del governo.

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