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Nucleare, il piano del governo accentra i poteri e ignora i territori: serve un dibattito pubblico

Sta passando in una relativa indifferenza del mondo politico e in una acritica adesione di quello dell’informazione uno sforzo della destra al governo ben più meritevole di attenzione: si tratta del disegno di legge delega sul nucleare sostenibile, approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 ottobre 2025, che mira a creare un quadro giuridico e operativo per il ritorno della produzione di energia nucleare nel nostro Paese dopo i due referendum del 1987 e 2011.

L’impostazione è fortemente lesiva di principi costituzionali in vigore, mal sopportati da una compagine di centrodestra che infrange le regole con un piglio di arroganza pari alla sottovalutazione di un’opinione pubblica democratica non ancora avvertita, se non addirittura distratta.

La normativa presentata dal ministro Pichetto Fratin mira a creare un quadro giuridico e operativo per la produzione di energia nucleare, concentrando i poteri decisionali nelle mani dello Stato, escludendo Regioni e Comuni e promuovendo un modello economico basato sul rischio d’impresa. Nel disegno di legge delega, in una inedita centralizzazione dei poteri, il Ministero dell’Ambiente assume il controllo delle autorizzazioni e dell’attuazione dei progetti nucleari, superando eventuali ostacoli locali. È perfino previsto un titolo abilitativo unico calato dall’alto che include varianti urbanistiche, dichiarazioni di pubblica utilità e vincoli per l’esproprio.

Saranno gli operatori privati, con un accesso alla finanza pubblica, ad essere responsabili di tutti gli oneri economici e ambientali, inclusa la disattivazione degli impianti e la gestione dei rifiuti radioattivi, senza costi per lo Stato. Il nucleare – definito “sostenibile e parte del processo di decarbonizzazione” – sarebbe sostenuto da “campagne informative nazionali e consultazioni capillari per le popolazioni interessate, integrate nei procedimenti autorizzativi”.

Entro il 2027 dovrebbe essere definito il Programma Nazionale con la società Nuclitalia – costituita da Enel, Ansaldo Energia e Leonardo – “a coordinare la filiera italiana delle tecnologie di nuova generazione”.

E’ di recente uscito in nuova edizione il libro Lo stato atomico di Robert Jungk, che denuncia i pericoli dell’energia nucleare e l’ideologia della deterrenza atomica: il suo contenuto è di grande attualità e appropriatezza se lo si applica all’incauta sortita in corso da parte della lobby nucleare. L’autore descrive l’energia nucleare come una forza che ha introdotto una nuova dimensione di violenza, capace di minacciare non solo gli avversari militari, ma anche i cittadini comuni.

L’autore sottolinea che l’energia nucleare, sia civile che militare, è intrinsecamente ostile alla vita e comporta rischi che non possono essere completamente eliminati. La sua diffusione richiede segretezza, sorveglianza e controllo e misure di sicurezza straordinarie, che spesso sfociano in restrizioni alla libertà e alla partecipazione democratica. E’ questa la dimensione che va richiamata a fronte di un’incauta ripresa di una politica energetica nazionale che svolta senza un adeguato dibattito dalle rinnovabili verso l’atomo e il consolidamento dell’apporto del gas.

Si tratta di passare da energie rinnovabili e decentralizzate, che rispettano l’ambiente e la giustizia sociale, ad una crescente centralizzazione del potere, nonché da fonti disponibili sul territorio ad una dipendenza da tecnologie pericolose per la convivenza e la salute di generazioni.

Si dirà che, in fondo, i nuovi reattori Smr e Asr sono solo complementari – accessori – alle energie dolci e decentrate di sole, acqua e vento, ma una analisi del modello di governo ostentato dal ddl approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 ottobre 2025 chiarisce che non c’è compatibilità tra una “via morbida” che si ispira all’ecologia integrale e decentralizza il potere e una “via dura” che favorisce la crescita economica a scapito dell’ambiente e della partecipazione. Vie certamente contrastanti e di non scontato pari gradimento per la compagine di governo in carica.

D’altra parte, non è un mistero che l’attuale amministrazione americana del presidente Trump ci vorrebbe acquirenti del gas trasportato dalle sue metaniere e delle tecnologie dell’atomo in rilancio negli States, anziché autonomi e liberi dai balzelli e dai dazi che ci andrebbero imposti.

Ci si dirà: in fondo le ragioni dei referendum del 1987 e 2011 sono ormai superate. Proprio no, come ho già cercato di argomentare in precedenti post. Non siamo assolutamente di fronte a tecnologie sicure, né a costi vantaggiosi per la finanza pubblica e le bollette dei consumatori, né a tempi compatibili con la crisi climatica. Ma piuttosto di una valutazione sommaria e di un dibattito carente, ben vengano le critiche e una discussione franca, all’altezza della fase che attraversiamo e che non consente affatto di imboccare qualsiasi strada a cuor leggero.

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Su Repubblica lo spot al nucleare del Ministero dell’Ambiente

La Repubblica del 15 luglio ha pubblicato un disarmante spot pro atomo che non vale soltanto per il carico di inesattezze riportate, quanto per lo sponsor che l’ha promosso: nientemeno che il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Prosegue così un’inquietante pratica del governo Meloni: superare le disposizioni di legge in vigore disegnando un futuro sulla base dei desiderata dell’esecutivo senza alcun riscontro nelle istituzioni preposte, in disprezzo del Parlamento e del Paese.

Veniamo all’accattivante sottotitolo dell’inserto citato: “Italia e atomo: il futuro è ora”. Niente di più ingannevole per i lettori e di più denunciabile forse anche ai tribunali competenti, che non possono che fare riferimento ai referendum del 1987 e 2011 che impediscono la costruzione sul territorio nazionale di nuovi impianti nucleari. A dire di Vito De Ceglia (che firma l’inserto del giornale), si tratterebbe di una nuova mirabolante generazione di reattori (SMR e AMR) capaci “di chiudere il ciclo del combustibile in un’ottica di economia circolare”. Una tecnologia – quella di questi piccoli reattori – già confutata su questo blog con argomentazioni e valutazioni ampiamente illustrate. Una soluzione, invece, spacciata qui per “sostenibile” sulla base di una “neutralità tecnologica focalizzata sulle scelte degli obiettivi da conseguire, piuttosto che sui mezzi tecnologici per raggiungerli”. L’atomo acquisterebbe così nuova vita attraverso una sua cospicua ed auspicata realizzazione nell’aggiornamento del PNIE dove “compare per la prima volta un’ipotesi di scenario di produzione da fonte nucleare, con una copertura potenziale tra l’11% e il 22% della domanda elettrica al 2050”. A suffragio di tanta ipotesi c’è perfino – continua l’inserto reso accattivante come un brand – un disegno di legge delega – che il Parlamento non ha mai visto – che “disciplina l’intero ciclo di vita del nucleare: dalla ricerca alla costruzione degli impianti, fino allo smantellamento e alla gestione dei rifiuti”.

Dopo uno sguardo alla fusione nucleare, simpaticamente definita “stella in miniatura”, e grafici colorati che illustrano l’interesse dei Paesi europei e non alla rinascita del nucleare, arriva la celebrazione dell’Alleanza Nucleare Ue cui il ministro Pichetto Fratin ha iscritto il governo italiano, forse senza nemmeno sentire… Mattarella. Già, perché l’obiettivo di questa alleanza è problematico per un Paese che ha registrato due rifiuti referendari ampiamente vinti sull’atomo e che dovrebbe giustificare l’obiettivo dell’Alleanza: “Riconoscere pienamente il ruolo dell’atomo come fonte stabile, sicura e a basse emissioni, da affiancare alle rinnovabili nel percorso verso la neutralità climatica, riducendo la dipendenza da importazioni extra-Ue in un contesto di instabilità globale”. E, inoltre, andrebbe presa per buona la conclusione finale dello spot: che “il nucleare sia la fonte più pulita di tutte (incluse le rinnovabili), considerando l’intero ciclo di vita degli impianti” e che “il costo del combustibile nucleare incide poco sul prezzo finale dell’elettricità”.

Quasi vere queste affermazioni, se non fossero formulazioni parziali. Infatti, essere la fonte più pulita e avere un costo del combustibile stabile sono elementi molto critici se valutati lungo l’intero ciclo di vita del materiale fissile in cui comprendere anche l’estrazione e l’approvvigionamento dell’Uranio (tutto al di fuori dei nostri confini nazionali dove, invece, sorge e tramonta il sole e dove nelle valli e sul mare fischia il vento), oltre alla collocazione delle scorie in depositi definitivi, ad oggi nemmeno alle viste.

Che dire poi dell’LCOE delle rinnovabili ad oggi stimato ad un terzo di quello nucleare ed in continua discesa e dei costi di dismissione e confinamento deli rifiuti che durano financo per trecento generazioni? Dove sta la convenienza , oltre, come penso, l’azzardo da non correre assolutamente a distanza di esattamente 80 anni dalle esplosioni di Trinity, Hiroshima e Nagasaki che sconvolgono ancor oggi la memoria delle testimonianze di chi li ha vissuti?

Ma tant’è: di questo periodo ricorderemo le scommesse, gli azzardi, le facili prevaricazioni rispetto alla scienza e al senso comune, magari con assicurazioni di una limitazione del danno. Infatti, l’inserto (a pagamento?) su Repubblica si chiude con un’assicurazione: “Il punto, per chi sceglie il nucleare, non è sostituire le rinnovabili, ma affiancarle per realizzare la transizione energetica”. Tranquilli, insomma, faremmo convivere due densità di potenza di ordini di grandezza spaventosamente distanti sapendo controllare quella di acqua vento e sole, ma solo a fatica e non definitivamente quella di un atomo che è giunto a noi dalle pressioni inaudite di tempi assai remoti dell’Universo, quando ancora non c’era vita sulla Terra.

Insomma: meno male che tra il dire e il fare c’è di mezzo… il referendum.

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Dalla Lombardia all’Ue, tutti pazzi per il nucleare: cresce la propaganda di opportunisti e negazionisti

Nella sottovalutazione della sinistra nazionale e di una dirigenza Ue assorbita dalle pretese di riarmo, cresce una propaganda per il ritorno del nucleare sostenuta da impegni istituzionali e da schieramenti sempre più insistenti. Non è più solo la presunzione di azzerare i referendum 1987 e 2011 da parte di Pichetto Fratin, Salvini e Meloni, o la pretesa delle lobby nucleariste operanti a Bruxelles a rompere il silenzio: ormai da più parti risuona la grancassa della inevitabilità di una transizione energetica fondata sull’atomo. Una “necessità” non più contrapposta alle rinnovabili, ma “sdoganata” in funzione della stabilizzazione della loro intermittenza con piccoli impianti di fissione disseminati sul territorio (Smr e Amr).

Il disegno si articola su più piani. Innanzitutto, si deve far credere che il risultato di ben due referendum era stato suggerito dall’emotività seguita a due eccezionali incidenti catastrofici (Chernobyl e Fukushima) e che un salto tecnologico alle porte (?) sarà in grado di evitare rischi di funzionamento e scorie esiziali attive per generazioni. Poi, si insinua che i tempi lunghi di realizzazione del “nuovo nucleare” si possono tollerare con quella dose di negazionismo dell’urgenza della crisi climatica che dall’America trumpiana varca tranquillamente l’Atlantico verso il nostro governo e la commissione Ue.

Infine, si mobilitano istituzioni opportuniste, “esperti” e comitati di ingegneri o docenti universitari a contatto con gli studenti, che, sotto la rassicurante regia di istituzioni come la Giunta lombarda qui da noi o la Commissione per la Tassonomia Verde a Bruxelles, avviino programmi di start up o promuovano joint venture tra enti del settore fossile per progettare Smr o Amr mai accreditati da alcuna agenzia preposta all’autorizzazione. Tra le righe di una propaganda senza un briciolo di rigore scientifico, si arriva addirittura alla sfrontatezza di dichiarare il ricorso all’atomo per una impossibile riduzione in bolletta, quando in tutte le pubblicazioni il costo del chilowattora nucleare risulta superiore di un ordine di grandezza rispetto a quello delle rinnovabili.

In questo rumore di grancassa a sostegno dell’energia atomica, forse l’intervento più stupefacente e al limite dell’arroganza riguarda l’imprudente uscita del presidente della Lombardia Attilio Fontana, che ha siglato con l’Aiea un protocollo per il nucleare in Lombardia (!). Le sue dichiarazioni sono esemplari della leggerezza di questa offensiva: “Il nucleare rappresenta una strada sostenibile per favorire la transizione ecologica ed è una delle opzioni da sfruttare all’interno di un mix energetico green”. E ancora: “Le tecnologie moderne sono molto sicure e consentono di sfruttare al meglio questa tecnologia: parliamo di tecnologie completamente diverse rispetto al passato”.

Il nucleare con gli Smr e Amr a Milano e nella zona più popolata d’Europa significherebbe piani di emergenza ovunque, un crollo dei valori delle abitazioni e costi in bolletta insostenibili per le famiglie, ma, soprattutto, una contaminazione del suolo per migliaia di anni e una militarizzazione dei territori dovuta ai controlli del trasporto del combustibile e delle scorie verso un deposito geologico oggi nemmeno programmato. Una regione come la Lombardia, che ha acqua, monti ventosi e dove sviluppare pompaggi per accumulare energia prodotta da fonti naturali, spazio sugli edifici e le aree dismesse dove riflettere la radiazione solare con sempre maggiore efficienza, come reggerebbe la boutade di una Giunta che non ha aperto ancora la discussione nemmeno nel Consiglio Regionale? Perché coinvolgere una istituzione rilevante in una ipotesi insostenibile per i cittadini che ne dipendono?

Una chiave interpretativa la danno forse le iniziative partite a rimorchio. L’evento, dal titolo “Politica Energetica Nazionale al 2050: il Nucleare come parte del futuro?”, si svolge il 6 giugno 2025, a Bergamo. La sua presentazione è allusiva: “Le energie rinnovabili sono fondamentali per la transizione energetica, ma per raggiungere l’obiettivo del 100% di energia pulita potrebbero non bastare. Quali sono le valide alternative, compagne della transizione?” E qui l’Ordine degli ingegneri della provincia di Bergamo ritiene che si debba far luce sul possibile ruolo dell’energia nucleare nell’Italia del futuro. L’ordine degli ingegneri non solo promuove, ma distribuisce crediti formativi e invita gli studenti. Intanto, a Piacenza ci si prepara per giugno 2026 alla seconda edizione (la prima senza riscontro) del Nuclear Power Expo, la “prima mostra-convegno italiana dedicata al comparto dell’energia nucleare”.

Tutte proliferazioni sostenute dall’offensiva pro-nucleare del Ministro dell’Ambiente e della coalizione di governo che avviene in un silenzio della sinistra divisa anche al suo interno, sia a livello nazionale che europeo. Al Consiglio “Competitività” dell’Ue di giovedì 22 maggio (v. Bruxelles, 25/04/2025 Agence Europe), diversi ministri europei favorevoli all’energia nucleare hanno accolto con favore l’ammorbidimento della posizione della Germania nell’ambito della nuova coalizione guidata da Friedrich Merz. “Abbiamo concordato – ha detto la Ministra svedese dell’Energia – che le tecnologie a basso contenuto di CO2 avranno la priorità nella tassonomia. Accogliamo quindi con favore il ritorno della Germania a una politica energetica meno ideologica e più scientifica (…). Avevamo già la maggioranza in questa direzione. Possiamo andare ancora oltre con i tedeschi a bordo”.

Sarebbe bene non sottovalutare un autentico cambio di marcia, per cui il ritorno del nucleare copre anche un revival del gas sotto le spoglie del Gnl che Trump ha concordato con Meloni a New York.

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Nucleare, Meloni e Pichetto Fratin centralizzano le decisioni. Risultato: ritardi e scelte sbagliate

di Mario Agostinelli e Alfiero Grandi

Nel disprezzo del governo Meloni verso le altre istituzioni si intrecciano diversi obiettivi pericolosi per il funzionamento della democrazia italiana. Vengono sistematicamente ignorati i vincoli e i ruoli previsti dalla Costituzione per gli altri poteri istituzionali che hanno il dovere dei controlli sul potere esecutivo, mentre vengono disattese le leggi in vigore, evidenziando una deriva trumpiana.

E’ utile aprire una riflessione su come questa dinamica, interna agli equilibri del governo, impedisca il dispiegamento di una dialettica parlamentare e di un confronto con i movimenti e le associazioni, oltre che al necessario coinvolgimento dei cittadini. L’unico modo per gestire le diversità nella maggioranza è una centralizzazione forsennata delle decisioni, nelle mani della premier. Ne è esempio il modo di affrontare il rilancio del nucleare in Italia affidato alle esternazioni di Pichetto Fratin e di Giorgia Meloni, rilanciate da giornalisti ed “esperti” compiacenti, senza alcun confronto sul merito e sulle conseguenze che i processi di fissione atomica imporranno ai bilanci energetici, economici, sociali e ambientali del Paese, esponendo a rischio le generazioni future.

Cominciamo dai costi e dai tempi di fare resuscitare il nucleare. Pichetto Fratin ha affermato che il nucleare futuro abbatterà i costi delle bollette del 40%, valutando il prezzo attorno a 50 euro/MWh, e ha aggiunto che i tempi per la realizzazione dei “piccoli” impianti (SMR e AMR) si attesterebbe attorno al 2030. Piccoli è un eufemismo, visto che si parla di centrali fino a 300 MW: le centrali ormai dismesse (Trino, Latina, ecc.) erano al di sotto di questa soglia.

Edwin Lyman, un insigne scienziato nucleare, afferma che i reattori più piccoli produrranno elettricità più costosa di quelli più grandi, mentre un’analisi del 2023 condotta dal Natural Resources Defense Council (NRDC) negli Stati Uniti ha rilevato che il prezzo non sovvenzionato dell’elettricità prodotta dal progetto NuScale SMR in Idaho sarebbe stato di oltre 180 dollari per MWh, 6-7 volte più dei 24 dollari/MWh dell’eolico terrestre e del Ftv.

Gli SMR o i reattori avanzati AMR non saranno commercializzati prima di dieci, quindici anni perché impiegando nuovi combustibili (a partire da una percentuale di Uranio235 più alta) o nuovi cicli di raffreddamento, saranno sottoposti a procedure di approvazione inedite, più lente, sia per quanto riguarda la sicurezza che per valutare le scorie del combustibile.

I rifiuti andranno stoccati in depositi diversi rispetto a quelli riservati ai reattori oggi in funzione. Ci saranno quindi oneri e costi aggiuntivi per il loro imballaggio e smaltimento, con effetti economici rilevanti già nei trattamenti intermedi prima che vengano stoccati in un deposito geologico (in Italia siamo all’anno zero). In Italia avremmo altre scorie radioattive particolarmente pericolose senza una custodia adeguata, dato che anche il Ministro Pichetto Fratin durante l’evento “Nuove energie”, organizzato da La Stampa a Torino, ha ritenuto superati i due depositi definitivi per le scorie e ha detto di puntare sui 22 siti oggi provvisori, che così diventerebbero definitivi, con la prospettiva che i prossimi stoccaggi temporanei nascano accanto agli SMR, magari nei cortili delle aziende che ne hanno fatto richiesta!

Il Ministro dovrebbe attuare le leggi esistenti, invece si prende la responsabilità di fermare tutto sui depositi delle scorie senza neppure essere andato in Parlamento a fare approvare una nuova legge, se gli riuscirà.

C’è anche la questione dell’approvvigionamento dell’uranio. L’esperto americano Gail Tverberg ricorda che non c’è abbastanza uranio nelle miniere per tutti gli usi previsti e che la riserva delle atomiche da dismettere e riutilizzare nei reattori è ormai in esaurimento. Secondo la Cnn, il piano per la costruzione di piccoli reattori modulari avanzati prevede di utilizzare combustibile con una concentrazione di uranio 235 dal 5% al 20% che può provenire dalla Russia o dal “down-blending” delle bombe in dismissione, già consumato per l’85%.

L’ottimismo di maniera sul ricorso al nucleare è infondato. Quanto ricordato finora conferma tempi lunghi di realizzazione e quindi non ne verrà un contributo significativo al raggiungimento di emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Il progetto di legge del governo presentato da Pichetto Fratin non è ancora arrivato in Parlamento e avrà effetti negativi sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione per il 2030 e anche per il 2050, perché il tentativo di ribaltamento delle decisioni dei due referendum (1987 e 2011) sembra servire più per nascondere i ritardi nell’investire nel fotovoltaico, nell’eolico offshore, nel geotermico, nel rafforzamento dell’idroelettrico e nei pompaggi, soluzioni indispensabili e adeguate per realizzare gli obiettivi di Parigi.

I 60 GW che dovrebbero essere realizzati in Italia sono in forte ritardo e gli errori fatti dal Ministro con il decreto sulle localizzazioni porteranno ad ulteriori ritardi. Forse il Governo Meloni-Pichetto vuole importare fossile per altre decine di anni, compiacendo Eni che ai costi ad oggi stimati gestirà tanti miliardi (200 miliardi annui x 30 anni = 6.000 miliardi!), magari sotto le spoglie del cosiddetto Piano Mattei.

La colpevole dilazione dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione si accompagna ai ritardi in una transizione energetica nella riconversione verde e digitale della nostra manifattura. La crisi dell’Ilva è anche dovuta a queste mancanze.

Un futuro nucleare per l’Italia è inquietante quando si viene a sapere che stanno ritornando in Italia da Francia, Inghilterra e Slovacchia le nostre scorie radioattive ad alta pericolosità, inviate per il riprocessamento.

In una fase di crisi industriale e di aumento della povertà, anche i costi della bolletta elettrica per famiglie e imprese devono essere affrontati. Il governo nel decreto bollette ha premiato Eni, Enel, A2A, ecc. ma ai consumatori è arrivato quasi nulla. La crescita delle rinnovabili, non quella del gas e del nucleare, serve a ridurre i prezzi dell’elettricità, tenuti alti invece dalla formazione dei prezzi sulle centrali a gas, che determinano il costo del KWh per i consumatori. Informare e mobilitare contro le scelte sbagliate di restaurazione conservatrice del governo è l’obiettivo dei prossimi mesi.

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Miti sul nucleare: così si continua a spararla grossa (e si aggirano gli esiti dei referendum)

Mentre dagli Stati Uniti vengono scagliate affermazioni rodomontesche che disorientano un’opinione pubblica già provata, non sembra venir meno anche da noi la propensione a spararle grosse. E’ da qualche settimana che l’intera compagine al governo si cimenta nel sostegno dell’uranio più o meno arricchito (se non addirittura, nascondendolo con dovuta reticenza, del plutonio di interesse militare) come combustibile in reattori piccoli o grandi (ancora non si distingue bene…).

Sia il Ministro dell’Ambiente che il seguito di stampa e di presunti esperti che lo assecondano si cimentano incautamente sulla strada del ciclo radioattivo e, con dati alquanto opinabili, si prodigano per accantonare l’esito dei referendum del 1997 e del 2011. Sicurezza, remuneratività degli investimenti, sostenibilità, energia infinita e a buon mercato costellano i mantra che ci vengono via via ammanniti. Vediamo un po’ di cosa si nutrono i miti sul nucleare incautamente dispensati. Attingendo dati dalle fonti internazionali meglio accreditate (in particolare il Bulletin of Atomic Scientists).

Si fa notare che alla Cop28 i rappresentanti di 25 paesi, guidati dagli Stati Uniti, hanno assunto l’impegno di triplicare al 2050 la disponibilità di energia nucleare. Parrebbe automatico accodare anche l’Italia a tanta impresa. Peccato che ci siano oggi 100 reattori in funzione in Europa, la maggior parte dei quali sono vecchi e che 90 di questi dovranno essere chiusi entro il 2050. Quindi, avremmo bisogno nel solo vecchio continente di 90 nuovi reattori solo per mantenere l’energia nucleare al suo livello attuale e, per triplicarlo, di 300 nuovi reattori, con la connessione di 15 nuovi grandi reattori in Europa ogni anno dal 2030 al 2050.

C’è posto per l’Italia in tanta impresa? Tanto più se si osserva che l’aumento di potenza di tutte le centrali nucleari nel mondo negli ultimi vent’anni, dal 2004 al 2023, è stato pari a un totale di 7 GW e che nello stesso periodo, la capacità delle centrali solari nel mondo è cresciuta di 1643 GW, passando da 7 GW a 1650 GW.

La spiegazione è chiara: le rinnovabili meglio e più velocemente del nucleare competono per tenere a freno la catastrofe climatica: basta confrontare i tempi di realizzazione e la curva di apprendimento delle due tecnologie a totale vantaggio della prima.

L’uranio non è una risorsa abbondante, anzi, e in Italia sarebbe tutta d’importazione. In Europa attualmente non esiste più una miniera di uranio operativa e la capacità di arricchimento del combustibile dovrebbe essere acquisita fuori dai nostri confini. Ma si è valutato chi vorrebbe investire in Occidente in una tecnologia non più sulla cresta dell’onda?

E’ pur vero che la tassonomia Ue purtroppo classifica l’energia nucleare come una risorsa “ecologicamente sostenibile”, ma per rientrare in questa categoria il Paese che ospitasse gli impianti dovrebbe attivare un fondo per la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito e un fondo per lo smantellamento delle centrali nucleari, oltre ad assicurare un deposito già operativo per i rifiuti di bassa e media attività (LILW) e un deposito funzionante entro il 2050 per i rifiuti di alta attività e il combustibile nucleare esaurito. E come si ottempera a questi vincoli in Italia?

Le centrali nucleari si costruiscono in un lasso di tempo non compatibile con l’urgenza climatica e con l’assorbimento di risorse finanziarie così ingenti da avere un costo corrente elevato e pesare sul debito di molte generazioni future. Il reattore EPR della società francese Areva in Finlandia, Olkiluoto 3, è in costruzione da 18 anni; lo stesso reattore a Flamanville in Francia è arrivato all’avvio dopo 17 anni, mentre per Hinkley Point C nel Regno Unito è previsto il completamento della costruzione nel 2031: il che significa 21 anni dalla decisione del governo e 14 anni dall’inizio della costruzione.

Per il reattore francese il prezzo del contratto era di 3 miliardi di euro, mentre la stima del completamento è sui 30 miliardi di euro; gli impianti di Hinkley Point C costeranno 36 miliardi di sterline (43,4 miliardi di euro) ai prezzi del 2015, o 57,7 miliardi di euro ai prezzi odierni. Si capisce perché il ddl del governo sul “nucleare sostenibile” lasci trapelare aiuti pubblici e taccia sullo scarico sulle bollette.

Ma – si dirà – l’Italia punta agli Smr, i piccoli reattori nucleari: ebbene, il prezzo del nuovo Smr BWRX-300 da soli 300 MWe di GE-Hitachi, raggiungerà i 5,4 miliardi di dollari più interessi quando sarà forse costruito nel 2033. Quanto costeranno allora i moduli per sostenere i data center sparsi in tutta Italia che il governo fa trapelare interessati all’atomo?

In quanto ai costi d’esercizio (e al pagamento delle bollette!) va ricordato che è vero che per la centrale nucleare di Krško, vecchia di 43 anni, il prezzo interno dell’impianto era di 34 euro/MWh nel 2022 più 12 euro/MWh per il fondo di smantellamento, i rifiuti LIL e il combustibile nucleare esaurito, per un totale di 55 euro/MWh. Ma si tratta di un impianto largamente ammortizzato, mentre il prezzo dell’elettricità pubblicato per la nuova centrale nucleare di Hinkley Point C è di £ 92,5/MWh ai prezzi del 2012. Ai prezzi odierni, questo stesso prezzo è di £ 136,9/MWh o 159,55 Eur/MWh. Questo prezzo sarà molto più alto entro il 2030.

Secondo il rapporto di Draghi “Il futuro della competitività europea” del settembre 2024, l’elettricità dalle nuove centrali nucleari è aumentata di prezzo del 46% da 123 $/MWh nel 2009 a 180 $/MWh nel 2023. Confrontiamolo allora con il costo livellato dell’energia (Lcoe) nel 2019 di 53 $/MWh per l’elettricità prodotta dall’energia eolica terrestre e di 68 $/MWh per quella fotovoltaica! Per gli Smr tuttora non esistenti la previsione di costo si aggira attorno a 180-260 euro a MWh.

Il nucleare richiederà sostanziali riduzioni dei costi prima che valga la pena di investire, indipendentemente dal fatto che il suo beneficio in termini di energia pulita venga considerato o meno, dato il vantaggio delle rinnovabili rese continue dagli storage avanzati.

In questo post, peraltro, si è trascurato l’aspetto più inquietante: l’assoluta mancanza di progressi decisivi nella tecnologia nucleare che la possano definire di nuova generazione (IV generazione?!). Dove sta allora il superamento dei referendum, per lanciarsi in una avventura fallimentare anche sul piano dei costi e delle prospettive a breve e lungo termine?

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