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La terza rivoluzione industriale secondo Jeremy Rifkin (video)

Crisi economica, riscaldamento globale, scarsità di combustibili fossili: la nostra civiltà si sta avvicinando alla fine di un ciclo. La stessa specie umana è minacciata. Jeremy Rifkin, economista americano e consulente della Commissione europea ha appena pubblicato il libro “La terza rivoluzione industriale”. Secondo l’economista solo con la diffusione di energia rinnovabile e con il potere laterale possiamo superare la crisi e garantire un futuro felice per i nostri figli.

Intervista pubblicata da Euronews l’11 luglio 2012.

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Pomodori e pannelli

di Angelo Consoli

L’art 65 del decreto liberalizzazioni ha fatto partire una discussione sulla necessità di preservare il territorio dal silicio. Con un intervento assolutamente non programmato è stata inserita da questo articolo una nuova normativa che tenta di regolare il delicato rapporto fra agricoltura e rinnovabili, tagliando demagogicamente a colpi di slogan questioni molto complesse che necessitano un tavolo di discussione serio e approfondito. Da ultimo, il Ministro Clini, novello fustigatore di speculatori delle rinnovabili” (quelli del petrolio o del nucleare non sembrano avergli mai dato troppo fastidio!), ha affermato che “nei campi bisogna far crescere i pomodori, non il silicio, annunciando ulteriori “punizioni” per gli immondi affamatori di esseri umani che preferiscono impiantare pannelli fotovoltaici piuttosto che cibo.

A parte che in provincia di Brindisi per centinaia di ettari non si possono più coltivare nè pomodori, nè carciofi, ne ulivi, nè lattuga, nè zucchine, nè nient’altro destinato all’alimentazione umana, e non è per il fotovoltaico ma per il carbone della centrale ENEL di CERANO, (e i cittadini stanno ancora aspettando un’impennata di indignazione del Ministro anche su questo…) credo che sia venuto il momento di mettere ordine nei pensieri senza facili demagogie, nè pilatesche fughe in avanti.

E perciò sento il dovere di intervenire in questa discussione che sento un po’ (molto) anche mia, in quanto ho contribuito a elaborare le linee guida per l’energia e le produzioni sistemiche per lo Slow Food e per Terra Madre (che troverete a questa pagina web) e le ho illustrate a Terra Madre 2010 nel panel dell’assemblea finale.

Metto subito, come si suol dire, le mani avanti, per chiarire che nessuno più di me è convinto che la terra fertile e il territorio vadano usati per l’agricoltura e non per il fotovoltaico! A ulteriore riprova, mi auto citerò in un articolo sull’argomento che ho scritto insieme a Carlo Petrini n relazione alla situazione Pugliese comparso in prima pagina su Repubblica il 17 aprile 2010 dal titolo PANNELLI FOTOVOLTAICI VIA DALLE CAMPAGNE, che valorizzava un accurato studio scientifico dell’ARPA Puglia, ingiustamente trascurato dalle istituzioni (in caso non ne abbiate abbastanza di questo post, lo potrete leggere a questo link). Ciò detto però, devo dire che non mi convincono le norme a presunta tutela del territorio agricolo frettolosamente incluse nel decreto liberalizzazioni e INSISTO per la soppressione pura e semplice dell’art. 65 che le ha introdotte. NON E’ UNA QUESTIONE DI MERITO MA DI METODO.

Si sperava ch questo governo a differenza del precedente avrebbe chiuso con la politica opportunistica di infilare di straforo provvedimenti che necessitano una attenta discussione e riflessione, in atti legislativi che non c’entrano niente solo per fare un favore a questa o quella lobby.

Non entro nel merito delle previsioni dell’art 65 (che prevedono maggiori incentivi per impianti su serre senza alcuna limitazione e pongono limitazioni retroattive a molti altri impianti su terreni agricoli e non). Dico solo che il rialzo degli incentivi alle serre è speculativo anch’esso, se non è accompagnato da regole per la presentazione di piani agronomici e commerciali validi e credibili per quello che si deve coltivare sotto le serre.

Se non parto da quello che deve essere coltivato sotto la serra, innanzitutto assicurandomi che la situazione di ombreggiamento lo permetta, e poi garantendogli un mercato perchè i prodotti non rimangano sulle piante (come succede troppo spesso anche fuori dalle serre), allora la serra sarà solo una scusa per aggirare il divieto di fotovoltaico su terreni fertili.

Fare 25 MW di serre a Su Scioffu in Sardegna, con capitali indiani e manodopera americana, senza garantire che i prodotti sottostanti abbiano una filiera commerciale che giustifica i pannelli soprastanti, è speculativo quanto farli a terra, e nel frattempo l’agricoltura sarda muore, come quella siciliana, pugliese e di tutto il Paese.

Quindi ha ragionissima chi risponde a Clini che non è vietando gli impianti fotovoltaici che si rilancia il mercato del pomodoro. Quello che ammazza la nostra agricoltura, caro Clini, è la filiera intermediaria parassitaria. Esattamente come nell’energia! Abbiamo il paradosso del tarocco siciliano che rende solo 0,09 cents al produttore di Catania, ma costa 2,5 al consumatore di Milano. Chi si fotte tutta la plusvalenza? Il sistema mafioso-intermediario della logistica (e questo vale per tutto il paese non solo per la Sicilia: il Comune di Fondi dove è intervenuto un decreto prefettizio di scioglimento per infiltrazioni mafiose dovute ai suoi mercati generali, è nel Lazio e non in Sicilia!).

Ovunque ci sia grande distribuzione centralizzata di orto frutta e altri prodotti agricoli, vengono “spremute” le due estremità (produttori e consumatori) a esclusivo vantaggio dei parassiti intermedi.

Poi abbiamo il paradosso del bilancio carbonico esagerato anche per prodotti che potrebbero essere a chilometro zero, solo perchè i sistemi di distribuzione sono orientati esclusivamente al profitto. Un caso di scuola è ormai quello famosissimo dei pomodori di Pachino che potrebbero essere venduti a chilometro zero a Siracusa, e invece vengono trasportati nelle grandi centrali di imballaggio nel nord per poi ritornare negli ipermercati della grande distribuzione siciliana, e da chilometro zero diventano a chilometro 1.800! Ma perchè? Npon si possono imballare localmente, dando lavoro a impianti i imballaggio locali? No!

Abbiamo creato il mostro della grande concentrazione anche in agricoltura, che appesantisce il bilancio carbonico di tutti i prodotti solo per fare delle economie di scala che alzano mostruosamente i profitti e comprimono l’occupazione. E in Italia ci va ancora bene perchè i contadini che si suicidano per questo sistema che li estromette dai mercati, non sono moltissimi. In India l’industrializzazione del cibo causa almeno 20.000 morti l’anno di “contadini che si suicidano perchè non riescono a far fronte ai debiti contratti per acquistare sementi, fertilizzanti e pesticidi” (Carlo Petrini, TERRA MADRE,2008 Slow Food editore, pag 84).

Dunque, perchè un contadino trovi conveniente continuare a coltivare il pomodoro o il tarocco, bisogna metterlo in condizione di guadagnare di più. diventando competitivo sia con interventi di abbattimento dei suoi orripilanti costi energetici (irrigazione, trasporti, refrigerazione, calore di processo), magari attraverso interventi mirati di rinnovabili (energia rinnovabile in funzione dell’agricoltura e non viceversa) che attraverso interventi di ordine pubblico contro l’illegalità nel settore, dal caporalato, all’aggiotaggio dei mercati generali). Nessun agricoltore sarebbe pronto a cedere i suoi terreni per grandi impianti speculativi se avesse la possibilità di guadagnare il giusto dai frutti della terra, e questa possibilità non ce l’ha perchè il mercato è distorto per mancanza di regole o per mancata applicazione delle stesse. Per mancanza di legalità. Cioè per mancanza di Stato!

Allora la soluzione è una politica nazionale di incoraggiamento fattivo dei giovani alle terre incolte, garantendo loro il mercato e il reddito per i primi anni attraverso politiche di incoraggiamento dei mercati di prossimità un ritorno ai mercatini di prossimità, dove si incontrano direttamente produttori e consumatori, senza intermediari, con adeguate e intensive campagne di comunicazione, invasive e penetranti almeno quanto quelle dei gioielli e generi di lusso (in fondo De Andrè ci ricordava che “dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior…”).

Ecco allora come l’intervento pubblico può essere efficace per regolare il problema dell’uso del territorio per gli impianti energetici: non con divieti e proibizioni, ma rendendo competitiva e redditizia l’agricoltura. E questo non solo a livello nazionale ma anche nei piani regionali o comunali. Esemplare in questo senso il Master Plan di Roma Capitale ispirato alla visione di Jeremy Rifkin e di Carlo Petrini, tradotto nel Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile elaborato da me e Livio De Santoli che prevede proprio interventi di rivalorizzazione della biosfera dell’agro romano, formando e affidando a cooperative di giovani le terre incolte e garantendo lo sbocco sul mercato con interventi di favore per i mercati diretti. Questo piano, per ora solo sulla carta, può fare di Roma Capitale il faro del recupero in chiave umana delle politiche energetiche, ispirandole alle leggi della termodinamica, al rispetto della biosfera e alla valorizzazione della biodiversità e dell’enogastronomia locale. Ci si aspetterebbe che, una volta smesso di spalare la neve e le critiche più o meno ingenerose, l’attuale sindaco si ricordasse di essere stato un buon ministro per le risorse agricole e forestali, e delle impulso agli impegni che ha preso con Jeremy Rifkin e Carlo Petrini, realizzando il piano preparato dal team del professor De Santoli.

Tutto questo dimostra come una materia tanto articolata e complessa non possa davvero essere affrontata marginalmente dall’articolo 65 del DL Liberalizzazioni ma deve essere invece affrontata in modo sistemico (specialmente da un governo tecnico in cui, per fortuna, il Primo Ministro non ha origini “mafiose” come il precedente).

In conclusione si tratta di una materia tanto complessa che non può essere affrontata totalmente fuori contesto, in margine a un decreto liberalizzazioni che e si occupa di apertura del mercato di tassisti, farmacie, notai e scorporo rete del gas etc. Una materia che merita una riflessione attenta e non soloi slogan demagogici ad effetto, da parte di ministri in cerca di popolarità a buon mercato! Anzi, a proposito, se si doveva “liberalizzare” l’energia rinnovabile, non avrebbero piuttosto dovuto mettere mano al monopolio di ENEL distribuzione per la media e bassa tensione, al monopolio del credito da parte delle banche, e alla semplificazione normativa, ad esempio abolendo l’infamissimo registro degli impianti che, introdotto dal decreto Romani, ha spiazzato e messo fuori gioco migliaia di piccoli operatori, bloccandone la crescita e facendoli fallire come mosche? E non solo piccoli. La Solon è fallita la settimana scorsa mettendo centinaia di famiglie in mezzo alla strada in Veneto. La Solsonica sta per fallire a Rieti. E sono solo alcune delle migliaia di vittime fatte dal Killer-Romani con il suo decreto che ha introdotto la più alta instabilità e incertezza normativa in un settore che invece in tutto il mondo vive di stabilità e certezza. Stabilità e certezze che possono essere ottenute solo con interventi ragionati e sistemici (e aggiungo, condivisi) e certo non con quattro righe in un velleitario articolo 65 in un DL liberalizzazioni totalmente fuori tema. Per questo, parafrasando Catone il Censore concludo con una sola esortazione, che ripeterò fino alla noia: “ART. 65 DELENDO EST!”

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Le comunità dell’energia di Livio de Santoli

“Cerchiamo di immaginare centinaia di milioni di uomini che producono la propria energia verde nelle proprie abitazioni, negli uffici, nelle fabbriche, e la condividono reciprocamente in un Internet dell’energia, nello stesso modo in cui condividiamo informazioni online… In un mondo verde e sostenibile, ogni regione viene trasformata in uno spazio sociale, economico e politico altamente integrato… un ecosistema autosufficiente e sostenibile, che sappia produrre gran parte dell’energia di base, dell’alimentazione e della fibra necessarie alla popolazione… Nel XXI secolo, migliaia di biosfere regionali saranno interconnesse da una indivisibile rete energetica… che attraverserà i continenti, permettendo ad ogni nodo della biosfera di condividere i surplus e di colmare i deficit…” (dall’introduzione di Jeremy Rifkin).

Nel suo libro, Livio de Santoli propone “un modello energetico che è anche modello economico e sociale” basato “sulla conoscenza e non sul consumo, sull’attività e non sulla passività, sul sentimento di inadeguatezza del presente…”; rimandando alle necessarie “decisioni politiche ormai non più procrastinabili “ e alle “responsabilità individuali” si chiede: “ma siamo davvero ancora disposti a delegare, come sempre, in un campo che può invece vederci protagonisti?”.

Un sociologo un po’ sognatore? De Santoli è ingegnere, ordinario di Fisica tecnica ambientale alla Sapienza di Roma; è responsabile per l’energia dello stesso ateneo che, a partire dal 2006, si è dotato di una “rete di teleriscaldamento che fa capo a 24 sottostazioni termiche” e “24 cabine di media/bassa tensione per una potenza di trasformazione installata di circa 12 MW”… La Città Universitaria della Sapienza a Roma è una città nella città, costituita da circa un milione di metri cubi tra uffici, aule, dipartimenti, laboratori, con cinquantamila persone che studiano, lavorano, transitano ogni giorno.”

De Santoli dunque ha già sperimentato la sua proposta del “sistema a isola” e dei “distretti energetici” che sarebbero in grado “di utilizzare al meglio le risorse energetiche disponibili, eliminando gli sprechi” che “attualmente, nelle grandi centrali termoelettriche” sono quantificabili “fino al 50% dell’energia potenzialmente presente nel combustibile”. Si tratta di energia che “viene dispersa in ambiente sotto forma di calore, e questo perché tali impianti sono lontani dai centri abitati e dai centri di consumo”. Come per il settore agroalimentare, De Santoli ripropone anche per l’energia il modello “a chilometro zero” e la costituzione di “comunità dell’energia”.

Con Jeremy Rifkin ha partecipato alla stesura di un Master Plan per l’Energia a Roma e ha impostato il Piano d’azione per l’Energia Sostenibile di Roma per il periodo 2011-2020. Poiché “l’obiettivo di Roma è di installare 1GWp di fotovoltaico… che significa il 15% del fabbisogno elettrico della città e quasi il 40% del fabbisogno del milione di famiglie presenti in citta…”, ha dovuto affrontare la problematica dell’inserimento di pannelli fotovoltaici in aree a vincolo architettonico, culturale e paesistico. Al proposito è interessante la descrizione di dettaglio dell’intervento di copertura fotovoltaica dell’aula Nervi.

Un libro che si legge d’un fiato, anche per i non addetti, con un mix di “visione” sociologica e prospettica ben ancorato alla “tecnica” e documentato dalla “pratica”. Non addetti? “Ma siamo davvero ancora disposti a delegare, come sempre, in un campo che può invece vederci protagonisti?”.

di Daniela Patrucco

 

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