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Energia, non solo una partita tra Enel e Eni, tra Starace e Calenda

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Il nuovo amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace, in una audizione al Senato nell’ottobre del 2014 (l’audizione si tenne il 15 ottobre) sostenne che Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche a seguito di un eccesso di offerta di elettricità, il calo dei consumi, l’aumento della generazione rinnovabile. Interessante notare che il suo predecessore, Fulvio Conti, in una audizione in senato, solo due mesi prima (il 26 marzo 2014), non aveva fatto alcun accenno a future dismissioni. Il processo prevede il confronto con tutti i soggetti presenti sui territori interessati. Si profila così la opportunità di un nuovo paradigma per l’energia che comprenda prodotti e servizi per l’efficienza energetica, la gestione intelligente dei consumi e soluzioni per la mobilità sostenibile.

Per Montalto di Castro (3300 MW) e Porto Tolle (2640 MW), due “monumenti” dello sviluppo delle fonti fossili in Italia, sono da tempo aperti i bandi e, con essi, un’occasione importante di decarbonizzazione. Visto il numero di impianti coinvolti non sarebbe fuori luogo una riflessione di livello nazionale, in particolare per considerare i possibili effetti sull’occupazione.

Il piano Futur-e rappresenta una “provocazione” che il governo non ha ancora osato proporre a livello nazionale. Si pensi alla Sen varata dall’ex ministro Passera focalizzata sul gas e pure alle indicazioni dell’attuale ministro Calenda rilasciate prima della bocciatura del referendum costituzionale, assai poco orientate allo sviluppo delle rinnovabili.

Sono anni che il nostro Paese si trova in una situazione di fragilità delle reti e sovracapacità produttiva, con un numero di centrali termoelettriche sovradimensionato, frutto degli effetti del cosiddetto decreto “Sblocca Centrali” del 2002, per cui nell’arco di un decennio (2003/2012), sono stati autorizzati cicli combinati a gas per oltre 30GW.

Il piano di chiusura di 25 mila megawatt di centrali a olio combustibile, carbone e gas va nella direzione di migliorare il quadro elettrico nazionale, chiudendo impianti obsoleti, poco efficienti. e con output nocivi e sollecitando un aggiornamento della rete che sostenga la produzione distribuita e consenta lo stoccaggio. Ridurre l’inquinamento dell’aria di cui si parla molto – in particolare nel bacino della pianura Padana – in questo inverno scarso di precipitazioni significa ridurre progressivamente la combustione in tutti i settori, compreso quello della generazione elettrica.

Vista la novità della posizione Enel e a fronte della chiusura di 25 mila MW di termoelettrico, abbiamo – anche sul piano temporale – la straordinaria occasione di esigere e co-progettare adesso la contropartita rilanciando la generazione da rinnovabili, la valorizzazione dei bilanci e dei piani energetici territoriali, l’efficienza degli edifici e la rivoluzione del sistema della mobilità. A quanto trapela dalle stanze ministeriali, non sembra che questo sia l’approccio con cui il Governo e il ministro Calenda, ispirati dal miraggio Eni di fare del Pese l’hub europeo del gas, intendano varare la Sen, Strategia Energetica Nazionale.

Enel invece chiude impianti improduttivi, perché è più redditizia la gestione delle reti e delle vendite; quindi la capacità installata termo (in Italia e fuori) continuerà a ridursi e si prevede che scenda a 36,5 GW nel 2019: gli scenari della compagnia prevedono ricavi da nuove attività legate alla vendita di dispositivi per l’efficienza energetica, alla mobilità elettrica e a nuovi servizi ancora da definire. Proprio sulla mobilità elettrica il governo è fortemente latitante e sembra ignorare i benefici effetti sulla qualità dell’aria nei centri urbani.

Tornando alle centrali del progetto Futur-e, riteniamo che si debba chiedere una partecipazione attiva ma non per evitarne la chiusura ma per trovare, nei vari territori, soluzioni che siano compatibili con una politica di creazione di posti di lavoro e di miglioramento ambientale. Vanno evitate soluzioni speculative che prevedano nuove colate di cemento, va studiato ogni singolo territorio per scoprirne le risorse e sostituire impianti inquinanti con imprese capaci di coniugare lavoro e risorse naturali. E’ tempo di porsi su posizioni innovative e non di mera difesa del passato. Il quadro dell’energia è cambiato e servono attori che possano confrontarsi con imprese e governo con una visione ampia a sufficienza da contenere occupazione, benessere ambientale per l’intera popolazione e riqualificazione della politica industriale.

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Efficienza in casa

Piccola guida su come ridurre i consumi dell’energia che usiamo in casa, utilizzando incentivi e detrazioni fiscali.

Nelle nostre case consumiamo quasi un terzo dell’energia che utilizziamo e causiamo un terzo delle emissioni di CO2, pertanto se vogliamo consumare meno risorse ed inquinare meno per preservare l’ambiente ed il clima, dobbiamo ridurre i consumi domestici.

Costruire una casa ecologica ben progettata non costa molto di più di una casa “energivora” (indicativamente il 15%), e il costo in più si ripaga molto velocemente, anche entro due o tre anni di utilizzo della casa. A conti fatti è sempre conveniente nel medio e lungo periodo investire in sistemi di risparmio energetico e di utilizzo delle fonti di energia rinnovabile, ma come sempre è importante progettare bene realizzando strutture e impianti semplici e correttamente dimensionati.

Perché costruire case a ridotto consumo energetico?

Se facciamo riferimento ai consumi medi nazionali ed al parco immobiliare di riferimento si valuta che una unità residenziale di 90/100 mq, in un fabbricato multipiano, realizzata con finitura media e con le tradizionali caratteristiche costruttive richiede in termini energetici per la sua costruzione circa 100 tonnellate di materiali (cemento, calce, laterizi, piastrelle, sanitari, ecc) in gran parte prodotti mediante processi di cottura, con un costo energetico medio di circa 750 kCal/kg prodotto. Se ne deduce che il costo energetico dei materiali necessari a realizzare una abitazione di questo tipo si aggira sui 5,5 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio), considerando anche il costo energetico del cantiere, delle movimentazioni terra, del trasporto degli inerti, ecc. Valutando i consumi medi per il riscaldamento pari a circa 1tep/anno in poco più di 5 anni una abitazione consuma, per il solo riscaldamento, una quantità di energia uguale a quella impiegata per la sua costruzione( ENEA).

In questo testo ci occuperemo di case già costruite, ma prima di pensare a quali interventi fare è indispensabile capire quanto e come consumiamo energia. Le statistiche ci dicono che nelle utenze residenziali il consumo energetico maggiore è sicuramente quello per riscaldare gli ambienti; segue quello per riscaldare l’acqua calda sanitaria e poi ci sono i consumi di energia elettrica.

Visto che l’energia è utilizzata principalmente per riscaldare gli ambienti, una delle azioni prioritarie deve essere quella di migliorare l’isolamento, dopodiché occuparsi del sistema di riscaldamento.
Misurare quanta energia consumiamo ci servirà poi per valutare quanta possiamo risparmiarne; statisticamente le nostre case consumano mediamente da 10.000 ai 20.000 kWh l’anno. Verificati i consumi vanno determinati i costi. Di solito i vari combustibili fossili sono misurati in kg o in litri; per comparare le diverse fonti di energia è importante non solo sapere quanto costa un litro o un chilo o un metro cubo di un combustibile, ma sapere anche come è utilizzato (classe della caldaia, caldaia a condensazione, recupero calore), il suo potere energetico o calorico (quanti kWh ottengo con un litro, un Kg o un metro cubo) e come viene distribuito alle utenze. Quella che segue è una tabella indicativa che mostra che teoricamente la legna rimane ancora il combustibile meno costoso, seguito dal pellet e dal gas metano.

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Bolletta elettrica: le novità del 2017

 

a cura di Roberto Meregalli

Per prima cosa col primo gennaio è scattato un leggero aumento delle bollette, per la precisione dello 0,9%, causato fra l’altro dalla situazione di crisi del nucleare francese che già nell’ultimo trimestre da ridotto la convenienza delle importazioni d’oltralpe. Ma aldilà di questo aumento, col nuovo anno sono diverse le novità rilevanti, soprattutto per chi è rimasto nel servizio di maggior tutela.

Il servizio di maggior tutela: un servizio in scadenza

Ciascuno di noi riceve una bolletta emessa da un “venditore” di elettricità che può operare in ambito di servizio di maggior tutela o di mercato libero. Non tutti in verità ne sono coscienti, ma basta guardare l’intestazione della bolletta per capirlo perché sotto il logo del fornitore deve essere chiaramente riportato se si tratta si servizio di maggior tutela o no (Altra novità dell’anno è che Enel Servizio Elettrico ha cambiato nome in Servizio Elettrico Nazionale…

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La rivoluzione Enel

Enel chiude 23 centrali e le riconsegna al territorio: una occasione straordinaria per il paese di recuperare aree progettandone nuovi usi.

a cura di Roberto Meregalli

rivoluzione-enel

Con l’avvento di Francesco Starace alla guida di Enel (maggio 2014), la politica dell’ex monopolista elettrico ha subito una decida sterzata. Il nuovo amministratore delegato, in una audizione al Senato nell’ottobre dello stesso anno, spiegò che in uno scenario così rivoluzionato, come quello della generazione elettrica, Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche, divenute ormai una zavorra difficile da sostenere.

Eccesso di offerta di elettricità, calo dei consumi, aumento della generazione rinnovabile sono l’origine di questa colossale iniziativa di chiusura di centrali che hanno fatto la storia del nostro Paese.

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Calo delle energie rinnovabili in Italia. Perché?

a cura di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

logo-il fatto quotidiano 2015Nell’indice Recai relativo al 2015 (Renewable Energy Country Attractiveness Index) la produzione delle rinnovabili nel mondo risulta in netta crescita, con una sorprendente eccezione dell’Europa. Nella classifica mondiale solo la “testarda” Germania difende il quinto posto, mentre scivolano in basso Francia (ottava), Regno Unito (tredicesimo), Olanda (diciassettesima), Belgio (ventesimo). L’Italia non scivola perché sprofonda al ventiseiesimo posto (eravamo al quinto nel 2012!).

Nel resto del mondo, invece, il 2015 è stato un nuovo anno record per gli investimenti green: 329 miliardi di dollari sono stati spesi per rinnovabili ed efficienza energetica. La quota delle rinnovabili, in euro, è stata di 298 miliardi, +26% rispetto al 2014, ed è stata appannaggio soprattutto del fotovoltaico e dell’eolico: 116 i miliardi investiti nel sole, 92 nel vento. È giusto sottolineare che “ciò che è veramente straordinario di questi risultati è che sono stati raggiunti nel momento in cui i prezzi dei combustibili fossili erano ai minimi storici e che le fonti rinnovabili sono rimaste in svantaggio significativo, in termini di sussidi governativi alle fossili” (Citazione di Christine Lins, Segretario esecutivo di REN21).

Concentrandoci sugli investimenti in nuovi impianti, ci sono tre elementi da sottolineare:

Gli investimenti europei sono calati da 90 a 64 miliardi di euro; solo Regno Unito, Germania e Francia, con rispettivamente 13, 11 e 5 miliardi di investimenti (oltre il 45% del totale europeo), continuano ad avere piani di sviluppo delle rinnovabili di qualche rilevanza. L’Italia è tornata purtroppo a giocare un ruolo marginale”, dopo aver recitato un ruolo di primo piano nel periodo 2010-2012.

Interessante notare come la crescita delle Fer (Fonti energetiche rinnovabili) vada di pari passo con la creazione di nuovi posti di lavoro; secondo l’agenzia Onu Irena (International Renewable Energy Agency), ci sono 8,1 milioni di persone che lavorano nel settore delle energie rinnovabili, un dato in costante crescita al di fuori dell’Europa, dove invece, negli ultimi due anni, gli occupati sono in calo. Purtroppo l’Europa non sta mostrando lungimiranza nella sua strategia energetica, prigioniera delle grandi lobby energetiche. Pari dignità viene dato allo sviluppo di shale gas e alla cattura e sequestro del carbonio per continuare a rimanere nel settore fossile. Riguardo poi al nucleare, il recente Nuclear Illustrative Programme (Pinc) parla della necessità di investire dai 3.200 ai 4.200 miliardi di euro dal 2015 al 2050, per mantenere la produzione attuale del nucleare, generata oggi da 129 vecchi reattori, la cui età media è di trent’anni.

Più in dettaglio, per l’Italia abbiamo 50,3 gigawatt di potenza installata per fare elettricità; un terzo è costituito da centrali idroelettriche (il 90% c’era già prima del 2008), un terzo di solare, un terzo suddiviso fra eolico, biomasse e geotermia. Sono valori di eccellenza a livello mondiale, ma sono il risultato del passato perché, rispetto al 2014, lo scorso anno registriamo un calo produttivo del 9,6%. L’andamento è preoccupante ed è confermato dai dati dei primi quattro mesi del 2016 che indicano un ulteriore calo del 6,5% della produzione di energia da fonti rinnovabili; calo determinato da una diminuzione del 12,3% della produzione da idrico e da una flessione del 13,7% della produzione da fotovoltaico, mitigata dalla produzione da eolico, in salita del 10,3%. Per il solare si tratta della prima flessione di produzione, sinora era sempre stato in crescita e ciò deve suonare come un campanello di allarme.

Siamo leader sulle energie rinnovabili in Europa. Quelli che dicono il contrario dicono il falso (…). L’obiettivo è arrivare al 50% delle rinnovabili entro fine legislatura sul totale dell’energia elettrica” (Matteo Renzi). Anche questa volta tra il dire e il fare c’è di mezzo… un mare di petrolio e gas.

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