Archivi categoria: Nucleare

Per un mondo libero dalle armi nucleari e dall’inquinamento

Contro ilsuicidio dell’Umanità” (Papa Francesco)
Per una coscienza planetaria proattiva

Interveniamo alla COP 23 sui pericoli che incombono più urgentemente sul nostro presente e sul nostro futuro: quello nucleare e quello climatico. E sul loro intreccio.

Lanciamo, da Bonn, l’appello dei Disarmisti esigenti (www.disarmistiesigenti.org), attivi nei movimenti per il disarmo e per la giustizia climatica e sociale, alla mobilitazione globale unitaria della società civile.

La nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere (Stéphane Hessel)

La nostra missione a Bonn

Siamo venuti dall’Italia, da gruppi diversi ma uniti in coalizione, con i seguenti obiettivi, condivisi nella loro essenza dalla nostra delegazione:

perorare la causa del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (secondo alcuni di noi essa può essere rafforzata con il lancio dell’ipotesi di un referendum mondiale antinucleare (da discutere a Milano nel maggio 2018)

sensibilizzare sull’intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica e sulla necessità di contrastarle con un salto di qualità del diritto internazionale

vigilare sui tentativi della lobby filonucleare di inserire la tecnologia “atomica” tra le energie pulite

promuovere la ricerca sulle LENR come ipotesi di soluzione del problema delle scorie radiooattive

rafforzare i collegamenti tra i movimenti disarmisti e i movimenti per la giustizia climatica valorizzando il protagonismo femminile

ribadire la nostra faccia propositiva di alternativi impegnati nella conversione energetica ed ecologica

 

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La nuova SEN vista con gli occhi di Parigi e di Bonn

a cura di Giuseppe Farinella (Energia Felice – Il Sole di Parigi) e Alfonso Navarra (Disarmisti esigenti – AK) – 14 novembre 2017

Il governo Gentiloni ha presentato il suo deludente piano energetico “a tutto gas”

Ma l’eliminazione dell’energia fossile è una “conversione logica” più che “ecologica” (anche verso una società pacifica)!

Meglio tardi che mai: finalmente abbiamo la nuova Strategia energetica nazionale – SEN presentata, a COP 23 di Bonn in corso, dal governo Gentiloni, con un piglio retorico (“uno dei due grandissimi assi della politica industriale dei prossimi anni”) cui non corrisponde la realtà deludente del testo.

La tempistica – la coincidenza con la manifestazione ONU che prosegue il percorso della COP 21 di Parigi – induce a pensare – non considerateci troppo maliziosi! – ad esigenze di immagine “verde” che prevalgono sulla sostanza “grigia”. Si parla di “addio al carbone” nel 2025 – e questo è indubbiamente positivo (l’Italia sarebbe la quarta nel G7 a programmarlo) – ma il ruolo sostitutivo e dominante, nella cosiddetta “transizione energetica”, è di fatto assegnato non alle rinnovabili ma al gas, per il quale si propongono massicci investimenti infrastrutturali. (Il primo pensiero corre alla Puglia e alla vicenda TAP contrastata dalla popolazione ma anche dalle Amministrazioni locali).

A garantirne l’attuazione si prevede una “cabina di regia”, in cui saranno coinvolti vari ministeri (in primo luogo Ambiente e Sviluppo economico, ma anche Economia, Trasporti, Beni culturali…).
Per la mobilità sostenibile, si prospetta l’obiettivo di 5 milioni di vetture elettriche al 2030, con incentivi da studiare per svecchiare il parco circolante: da finanziare sempre con bollette più care?
Perché, noi che , da ecopacifisti, abbiamo preparato la “missione collettiva a Bonn, per sensibilizzare sul “nesso su minaccia nucleare e mianaccia climatica” (è il titolo dei side event ufficiali che abbiamo incardinato come “Disarmisti esigenti” e WILPF Italia), ci dichiariamo insoddisfatti e lo abbiamo ribadito senza peli sulla lingua nel nostro intervento alla Conferenza ONU?

La concezione di questa SEN, secondo noi, in fondo, resta quella del governo Monti, incentrata sull’Italia come “hub del gas naturale”, con concessioni a nostro giudizio, ma non solo nostro, alquanto secondarie al settore delle rinnovabili. Non si vede come, con l’idea neanche tanto nascosta che la quota di mercato del gas vada comunque tutelata, se non aumentata, possa essere raggiunta la “decarbonizzazione”, nel senso tecnico di zero emissioni di gas serra.
Se guardiamo il problema con gli occhi di Parigi e di Bonn, cioè ponendo mente alla gravità del problema climatico, il giudizio su questa SEN dovrebbe essere logico: stiamo ancora perdendo tempo (e non ce n’è molto, secondo gli ultimi allarmi scientifici) sulla rivoluzione da compiere senza tentennamenti né contraddizioni verso le energie veramente pulite. Bisognerebbe invece puntare ad un “sistema rinnovabile” al 100% subito e proporre questo obiettivo come “imperativo”, secondo l’indicazione data da Hermann Sheer, l’autore della “Bibbia” per la completa riconversione del nostro sistema energetico (Edizioni Ambiente, 2012).

Qui a Bonn è ormai diventata quasi un luogo comune la frase: “Non dobbiamo più parlare di <conversione ecologica> ma semplicemente di <conversione logica>, di fronte ai moniti allarmati della comunità scientifica, sempre più compattamente preoccupata; ma anche alle tendenze evidenti del mercato: dopo l’accordo di Parigi si è manifestamente invertito il trend di investimenti di grandi banche e fondi privati dalle fossili alle rinnovabili! Ci torneremo su con i prossimi interventi.

Va anche considerato che l’Italia dovrà seguire l’Europa nel rivedere al rialzo gli obiettivi al 2030, se si vuole appunto dare seguito all’accordo di Parigi. Bisognerà che il nostro Paese affianchi in questo caso la Germania – e non la Polonia e le altre Nazioni diciamo “paratrumpiane” dell’ex Patto di Varsavia. E’ notevole che in questo senso, in sinergia con i nuovi orientamenti dei grandi investitori privati, si stia muovendo parte dell’industria elettrica europea, inclusa l’ENEL, mentre un’altra parte, in Italia l’ENI, vuole continuare a basarsi essenzialmente su gas e prodotti petroliferi.
Dopo anni di aggressione masochistica, con il taglio agli incentivi, al nostro settore delle rinnovabili – ci si è messi d’impegno nel tentare di ammazzare un business che prometteva benissimo! – si fa ora una parziale marcia indietro, ma non è l’inversione ad U richiesta dall’Accordo di Parigi, come già l’industria più intelligente comincia a chiedere.

Sarebbe opportuno, a nostro avviso, fare il contrario: tagliare i 16 miliardi circa di sussidi alle fonti fossili dirottandoli alle rinnovabili. Insomma, niente più sostegno pubblico (a spese dei consumatori) all’incenerimento dei rifiuti con il CIP6, alla costruzione dei rigassificatori, alle facili trivellazioni su mare e su terra!
Con l’orizzonte degli obiettivi climatici sarebbe importantissimo adottare una carbon tax non più rinviabile, che potrebbe essere applicata innanzitutto nei settori riscaldamento e trasporti (oggi beneficiati con varie esenzioni fiscali per chi consuma carburante), con collegata riduzione della pressione fiscale sul lavoro.
(Questo spostamento del carico fiscale dal reddito e dal lavoro alle attività dannose per l’ambiente viene indicato come “riforma fiscale ecologica”).

Va modificato il modello che definisce il mercato elettrico come un sistema basato su un numero ridotto d’impianti di generazione centralizzata e sulla distribuzione capillare attraverso le reti elettriche di alta, media e bassa tensione verso piccoli e grandi consumatori, sempre in modo unidirezionale. Per far fronte alla necessità di ricorrere a metodi di produzione d’energia elettrica sostenibili e in grado di fronteggiare la crescente domanda energetica a livello mondiale, le tecnologie della generazione distribuita, in particolare quella fotovoltaica ed eolica, permettono oggi di rendere disponibile energia pulita in prossimità dei punti di consumo, a prezzi sempre più competitivi.

Si tratta di appoggiare una nuova proposta di Direttiva UE che prevede espressamente che gli Stati membri debbano assicurare che le comunità locali abbiano diritto a generare, consumare, immagazzinare e vendere l’energia rinnovabile, anche attraverso accordi di acquisto di energia, senza essere soggette a procedure burocratiche esagerate e ad oneri sproporzionati. L’orizzonte sembra quindi definito, quantomeno a livello europeo, nonostante il percorso normativo-regolatorio non sia omogeneo e lineare neppure all’interno del nostro continente.

Altro punto da non dimenticare: la conferma del “no al nucleare”, che il popolo sovrano ha affermato con ben due referendum. dovrebbe comportare una gestione seria e non affaristica (o affaristico-clientelare) del triste lascito delle scorie radioattive, cosa di cui l’attuale struttura SOGIN non ci garantisce affatto.  Nel corso degli anni la SOGIN ha accumulato ritardi nei lavori che sono arrivati fino al 170%, i costi preventivati sono più che raddoppiati e l’incremento di attività degli ultimi anni è un dato “drogato” perché è dovuto all’impegno sullo smantellamento delle strutture civili, mentre la parte nucleare è ancora al palo.

La morale di questo intervento è che dobbiamo prendere sul serio il “bando dei combustibili fossili” decretato a Parigi il 12 dicembre del 2015. Questo grande cambiamento richiede una “transizione” con aspetti di gradualità ma l’indirizzo del percorso deve essere chiaro: il passaggio al 100% rinnovabili deve avvenire quanto prima possibile, escludendo la “centralità del gas” o “l’imbroglio nucleare”. Tanto più se si considera che il modello energetico rinnovabile è intrinsecamente collegabile ad una società più pacifica, non fosse altro perché ciascun Paese può controllare risorse diffuse di cui dispone “a casa sua”, senza dipendere da situazioni esterne, magari da “stabilizzare” con pressioni o addirittura interventi militari.
O seguiamo una strategia coerente o proseguiamo per inerzia facendoci annebbiare da una cappa fumosa di parole: ma ci permettiamo ancora una volta, scusandoci della ripetitività, di mettere in guardia da questa seconda opzione, comoda ma catastrofica. Il risultato più probabile di essa sarà di ottenere che il Pianeta, rotto l’equilibrio, faccia fuori la nostra arrogante ma stupida specie.

Dovremmo parafrasare la formula di Albert Einstein sulle armi nucleari, e qui a Bonn stiamo provando a condividerla con molte orecchie consenzienti: “O l’Umanità farà a meno dei combustibili fossili, o la Terra farà a meno dell’Umanità!”.

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Tutti zitti sul nucleare: perché?

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015I loquacissimi e filonucleari Chicco Testa, Franco Battaglia e via discorrendo si sono presi le vacanze con molto anticipo. Nemmeno più un cenno ai mirabolanti benefici futuri dell’atomo, dopo i disastri economici che colpiscono Toshiba e Westinghouse; nemmeno una nota sulle decisioni di Areva e Edf di chiusura precauzionale di reattori; nulla sulla California che ferma la sua ultima centrale. E che silenzio tombale sul deposito nazionale delle scorie, che adesso non balla più solo tra Saluggia, Sardegna e Scanzano, ma fa capolino addirittura a Ispra (Varese) in un capannone per ora inaugurato solo per artisti temerari.

Mentre si avvia il dibattito sulla Nuova strategia nazionale (Sen) confezionata dal ministro Calenda, capace di entusiasmare tutti i fan delle fonti fossili e di rimandare ad altri tempi l’introduzione di un paradigma energetico finalmente innovativo, tutto si concentra sulle virtù del gas e dei gasdotti che sbarcherebbero sulle nostre coste. Direi che – freudianamente – le virtù taumaturgiche dell’atomo, troppo azzardate e impopolari da riproporre per il futuro dell’elettricità, vengono trasferite al gas, combustibile meno gravido di Co2, ma pur sempre evocativo – con le sue grandi centrali e migliaia di km di tubi – di una crescita illusoria, di una esuberanza e di uno spreco di energia.

Tutto, purché si stia lontano dalle fonti naturali, dall’efficienza, dalle reti digitali e dagli impianti di immagazzinamento di energia elettrica. E’ il modello dei grandi impianti che continua ad entusiasmare ministri ed esperti oggi più timidi e silenti. Anche questa è la ragione per cui la crisi del nucleare francese non trova spazio sulla stampa, né commenti all’altezza della gravità dei fatti.

Proprio in questo inizio di estate il Coordinamento antinucleare “Sud-Est France” ha ripubblicato il processo del 30 agosto 2016 a Parigi in cui aveva difeso il sito del blogger Mediapart che attaccava Luc Oursel (ora morto di cancro, era un ingegnere e caposquadra nelle miniere di uranio di Areva in Gabon), presentando una denuncia contro l’attività estrattiva di uranio in condizioni di rischio altissimo.

Nel testo ripubblicato, Areva viene accusata di aver firmato un accordo di “sponsorizzazione con la morte nucleare”; di svolgere attività culturali locali per i bambini in modo da far loro sottovalutare i pericoli di radiazione; di aver sovvenzionato la grande mostra sull’Egitto ad Avignone con i ricavi della vendita di combustibile Mox alla centrale di Fukushima. Queste accuse si aggiungono a difficoltà attuali di bilancio per Areva, a spese pazzesche per il progetto di fusione Iter, ai difetti del contenitore degli Epr in costruzione. Il nucleare zoppica davvero. E non solo in Francia.

In questi giorni, dopo la decisione Svizzera di non costruire nuove centrali nucleari, dall’altra parte dell’emisfero, in California, si sta prendendo una decisione determinante con conseguenze di vasta portata: Pacific Gas e Electric co hanno annunciato di non rinnovare la licenza per i due reattori presso la centrale nucleare di Diablo Canyon che chiuderà nel 2025, terminando un tumultuoso rapporto durato 31 anni con la popolazione e il governo locale e con una perdita economica annuale di circa un miliardo di dollari.

La chiusura fa parte di un accordo con le organizzazioni del lavoro e dell’ambiente in cui la multiutility accetta di aumentare gli investimenti in efficienza energetica, energia rinnovabile e immagazzinamento elettrico per compensare la potenza che non sarà più prodotta dalla centrale nucleare. Canyon Diablo è l’ultima centrale nucleare operante nello Stato, dopo l’arresto nel 2012 della stazione di generazione nucleare di San Onofre, a sud di San Clemente.

Il presidente di Pg&E Tony Earley ha dichiarato: “Il paesaggio energetico della California sta cambiando profondamente con l’efficienza energetica, la rinnovabilità e l’immagazzinamento che sono essenziali per la politica energetica dello Stato. Mentre compiamo questa transizione, la produzione completa di Diablo Canyon non sarà più richiesta fino a esaurirsi”. Diablo Canyon impiega quasi 1.500 lavoratori e contribuisce con più di un miliardo di dollari all’economia locale. È il più grande datore di lavoro privato della contea di San Luis Obispo, ed elargisce un salario medio annuo di 157mila dollari.

Si tratta di un accordo storico che definisce una data certa per la fine dell’energia nucleare in California e assicura il rimpiazzo con il risparmio, la sicurezza, il costo competitivo dell’energia rinnovabile, l’efficienza energetica e l’immagazzinamento di energia.

L’accordo è anche condizionato dall’approvazione da parte della multiutility pubblica statale dei programmi di Pg&E per la sostituzione della potenza di Diablo Canyon e delle altre grandi centrali con risorse senza gas a effetto serra. In definitiva, l’efficienza energetica e l’energia rinnovabile dal vento e dal sole possono sostituire gli impianti nucleari e a combustibile fossile.

Inoltre, la riconversione di tutti gli occupati sulle nuove tecnologie – ha detto un sindacalista locale – assicura “che i posti di lavoro della classe media siano una parte centrale dell’economia emergente pulita e rinnovabile“. Piacerebbe sentire anche in riva ai nostri mari discorsi di questo tono nell’estate assolata in cui il clima fa sentire i suoi morsi.

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Nikola Tesla e Donald Trump: con la testa rivolta alle spalle

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Trump e Tesla si collocano ad almeno 120 anni di distanza l’uno dall’altro, ma un confronto tra le loro visioni risulta impietoso per l’arrogante Tycoon e il tempo, a giudicare dal programma energetico del nuovo Presidente, sembrerebbe essere trascorso invano.

Nikola Tesla in una intervista di fine ‘800 affermava che ci sono tre maniere con le quali l’energia che determina il progresso umano può essere aumentata. “In primo luogo, noi possiamo aumentare la massa. Questo, nel caso dell’umanità, significherebbe il miglioramento delle condizioni di vita, la salute, la cura della prole ecc… In secondo luogo, noi possiamo ridurre le forze di attrito che impediscono il progresso, come l’ignoranza, l’insanità, e il fanatismo religioso. In terzo luogo, noi possiamo moltiplicare l’energia a disposizione della massa umana imbrigliando le forze dell’universo, come quelle del sole, dell’oceano, dei venti e delle maree. Il primo metodo aumenta la quantità di cibo e il benessere. Il secondo metodo porta alla pace. Il terzo metodo aumenta la nostra capacità di lavorare e di raggiungere risultati. Non ci può essere progresso che non sia costantemente diretto verso un incremento del benessere, della salute, della pace e dei risultati del lavoro. Questa concezione, ancorché meccanicistica della vita, è uno degli insegnamenti di Buddha e del Sermone della Montagna”.

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Carbone a Genova: roba da matti!

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Il 22 novembre scorso, il direttore della Autoritè de suretè nucleaire francese (Asn) Pierre-Franck Chevet, in seguito alla scoperta di una crepa nella copertura del reattore sperimentale Epr (reattore ad acqua pressurizzata) in costruzione a Flamanville, comune situato nel dipartimento della Manica nella regione della Bassa Normandia, ha deciso di riconsiderare l’intera “catena di controllo” per rendere l’atomo più sicuro e di chiudere, per un certo tempo, 20 dei 58 reattori nucleari presenti sul territorio francese. Il problema riscontrato riguarda un eccesso di carbonio nella copertura in acciaio speciale nell’impianto in costruzione (dal 2005!) e si accompagna ad altri riscontri di insufficiente affidabilità in alcune centrali in attività.

La Francia, che è il più grande Paese esportatore netto al mondo di energia elettrica e vende principalmente in Italia, Gran Bretagna, Svizzera, Belgio e Spagna, produce per il 75% con l’atomo, con una disponibilità di potenza di 63.200 MW, ma si è trovata costretta a ridurre pesantemente gli obbiettivi di generazione – dal 1998 previsti sopra ai 400 TWh – in seguito alle ispezioni e ai fermi in atto. Data la mancanza di flessibilità del sistema elettrico francese, le interruzioni di massa drenano potenza da tutta Europa oltre a mettere in discussione il “prestigio” del nucleare transalpino nel mondo.

La produzione è in costante calo da maggio, secondo la Reuters, per due ragioni:

1) EDF possiede la maggior parte dei reattori di Francia, ma l’azienda ha gravi problemi finanziari e molti dei suoi progetti hanno un rating inferiore all’investment grade. Con più di 40 miliardi di dollari di debito le azioni di EDF, di cui il governo francese detiene l’85%, sono crollate del 55% nel corso dell’anno passato.

2) Una legge approvata dal governo francese lo scorso novembre allo scopo di sostenere l’energia solare, richiede di ridurre la quota di produzione di energia nucleare a solo il 50 per cento entro il 2025.

In un Sistema interconnesso come quello europeo, l’aumento del prezzo del MWh nucleare fa arretrare l’importazione dalla Francia per i paesi confinanti mentre richiede che quest’ultima sfrutti impianti sottoutilizzati in territorio estero per supplire il calo di produzione. Ciò vale in primis per la Germania che ha diversificato le sue fonti di alimentazione e accresciuto la sua capacità da fonti rinnovabili lasciando sottoutilizzata in parte la sua flotta convenzionale (i prezzi tedeschi sono stati di 33,65 € / MWh contro i 45,60 € / MWh dell’atomo dei vicini).

L’Italia intanto ha aumentato le sue esportazioni del 198% e ridotto le importazioni nette (-62%) dando fiato a quelle voci che al ministero dello Sviluppo vorrebbero la ripresa della produzione da fonti fossili, pur sapendo che la buona diffusione delle rinnovabili (ora contrastata) fa la differenza tra le varie zone del Paese (l’Italia settentrionale è quella che sta soffrendo di più per l’attuale situazione).

E qui si inserisce il colpo a effetto dell’italiano ministero dello Sviluppo economico: riaprire la centrale a carbone di Genova. Era stata spenta questa estate, dopo aver esaurito le 2.200 ore di produzione autorizzate per il 2016. Per quest’anno era in programma la dismissione programmata dall’Enel, con una chiusura anticipata nonostante sulla carta avesse ancora 2.000 ore previste. Ma la colpa è dei Francesi… Il pericolo di carenze energetiche risveglia dunque appetiti che sembravano sopiti. “Una decisione gravissima – dichiara Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia – che usa scuse rese risibili dalla enorme sovracapacità italiana: siamo in grado di produrre quasi 117 GW di energia elettrica a fronte del massimo picco di domanda interna di 60,5 GW.

La risposta del Gestore dei mercati elettrici (GME) è stupefacente: “La produzione termoelettrica a carbone, la cui quota attualmente è limitata dalla forte competizione con le rinnovabili soprattutto nelle ore vuote, potrebbe tornare a un funzionamento baseload nel medio periodo. Questa possibilità si conferma nell’ipotesi che i mercati delle commodities mantengano lontano lo switching nel merit order fra impianti a carbone e cicli combinati a gas”.

L’uso ormai smodato dell’inglese significa che tra carbone e rinnovabili si torna al punto di prima, con buona pace per la vista sul porto da Sampierdarena, per chi vuole continuare a trivellare in mare, per A2A che brucia lignite in Montenegro, per le nostre bollette in aumento e per l’accordo per la riduzione di emissioni di anidride carbonica COP21, che recentemente è andato in vigore anche con l’approvazione di governo e parlamento italiani.

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