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Chi non vuole il fotovoltaico e perché

A cura di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

È davvero straordinario quanto successo nel nostro Paese in materia di energia in questi mesi. Nessun altro Paese sarebbe stato in grado di redarre una legge per recepire una Direttiva Europea che ha il solo scopo di favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili, bloccandone la crescita. Col Decreto del 3 marzo scorso, il ministro Romani è entrato a gamba tesa sulle società del settore in maniera brutale: su un campo di calcio sarebbe stato espulso, ma tutto è consentito dentro l’agone politico italiano ai rappresentanti delle lobbies per cui presta la sua opera il Cavaliere. Il Decreto era stato preceduto da una campagna stampa che da più di un anno si accanisce sulle energie pulite. Una propaganda che oggi si concretizza nell’allestimento puntiglioso da parte del Governo di un percorso a ostacoli nei confronti dell’espansione delle fonti naturali. A vantaggio di una stabilizzazione dell’impiego delle fonti fossili e del rilancio del nucleare.

Confindustria ha così lanciato un fuoco di sbarramento, accusando le imprese fotovoltaiche di desiderare il metodo tedesco ma con incentivi all’italiana e insinuando che volessero “nascondere l’interesse a garantirsi inaccettabili rendite sulle spalle dei cittadini e dell’industria”. Detto dallo staff della Marcegaglia, che il 21 febbraio 2011 ha inaugurato un impianto di ben 3 MW a Taranto sui suoi stabilimenti – assicurandosi così per vent’anni con il vecchio conto energia quelle che definisce ora “inaccettabili rendite” – fa una certa impressione! Anche Enel ha perorato la causa per la riduzione degli incentivi, scandalizzandosi per gli oneri in bolletta, ma ignorando deliberatamente che gli incentivi per le fonti rinnovabili pesano per meno della metà del totale degli oneri di sistema che compongono la bolletta elettrica: nel 2010 circa 2,7 miliardi alle rinnovabili su un totale di oltre 5,8 miliardi di euro, con il povero fotovoltaico a pesare per 826 milioni. Perché Confindustria ed Enel non puntano invece il dito contro un miliardo di euro di IVA che in maniera del tutto scorretta lo Stato incamera sugli oneri? Nessuno ricorda poi che ogni anno milioni di euro li paghiamo per il vecchio nucleare (285 milioni nel solo 2010: più del costo del fotovoltaico nel 2009) e che si sono versati 1,2 miliardi di euro per il noto CIP6 che, seppur in esaurimento, ancora nel 2010 incentivava gli scarti di raffinerie.

Confartigianato ha spiegato che “gli incentivi alle rinnovabili hanno fatto nascere 85.000 imprese e 150.000 posti di lavoro, a differenza di altre forme di agevolazione ben più costose che di fatto si traducono in meri sussidi senza generare né sviluppo né occupazione”. Prendiamo ad esempio i 3,3 miliardi l’anno di minor gettito nelle casse dello Stato dovute ad agevolazioni tariffarie su energia e carburanti. Di queste, 1.6 miliardi sono per il trasporto aereo, 817 milioni per l’agricoltura, 492 milioni per il trasporto marittimo. Oppure consideriamo le industrie energivore che non pagano accise sull’energia per 241 milioni di euro l’anno (e si tratta delle stesse industrie che accusano il fotovoltaico per i suoi incentivi!).

Ma c’è un ulteriore motivo per cui il fotovoltaico vede una dura opposizione, in particolare da parte del mondo dei produttori di energia elettrica (Assoelettrica): il suo effetto sul mercato elettrico, perché si comincia ad intuire che questa fonte riduce il prezzo dell’energia elettrica. Pochi italiani sanno che con la fine del monopolio statale e la trasformazione di Enel in una società per azioni, i produttori di energia si sono moltiplicati e per definire il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica è stata creata una Borsa elettrica, dove vengono scambiate quantità stabilite di energia e vengono definiti i programmi di immissione e di prelievo di elettricità della Rete di Trasmissione Nazionale, gestita da Terna. Il Gestore del Mercato Elettrico (GME) riceve le offerte, ora per ora, fino alla saturazione del fabbisogno previsto per il giorno seguente. Per ogni ora del giorno però, l’energia elettrica viene acquistata in blocco al prezzo più alto offerto in quell’ora. Ciò significa che chi ha “piazzato” 100 MWh prodotti col carbone (la fonte fossile meno costosa) riceve lo stesso prezzo (al MWh) di chi ha visto accogliere la propria offerta per una quantità pari a 10 MWh prodotta con un turbogas a costi molto superiori. Nelle ore di punta sono gli impianti più flessibili e più costosi (come i turbogas) a dover essere attivati e ad alzare i prezzi. A meno che ci sia disponibile una fonte calmierante. Ora, siccome il fotovoltaico funziona negli orari di punta ed ha un costo di produzione “marginale” (di esercizio) molto basso, entra in concorrenza con queste fonti fossili più costose, abbassando il prezzo orario e modificando così la formazione dei prezzi. Così, volumi crescenti di energia a costo marginale trascurabile (eolica e solare) spostano la curva di offerta e provocano una riduzione del prezzo di equilibrio. Francesco Meneguzzo di ASPO Italia stima che 1.000 MW di solare fotovoltaico sono in grado di far risparmiare 500 milioni di euro in bolletta, ovvero di pareggiare il relativo costo attuale di incentivazione (pari a circa 450 milioni), così demonizzato da Romani, Confindustria, Enel e compagnia. Il che significherebbe che il fotovoltaico, anche con il vecchio conto energia, si ripaga da sé e in più produce lavoro e fatturato (valutato dal Politecnico di Milano in 7,6 miliardi di euro nel 2010).

Un governo che pensa ai propri cittadini saprebbe da che parte stare. Ma è lo stesso governo che si è prefisso di far saltare il referendum contro il nucleare e di ammazzare le rinnovabili.

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20 aprile: Manifestazione nazionale a Roma

“Non spegnete il sole”

Mercoledì 20 aprile, ore 11.00

Manifestazione nazionale a Roma davanti al Ministero dello Sviluppo Economico

Sciopero Nazionale dei lavoratori dell’intero comparto del fotovoltaico e delle aziende collegate con il settore delle energie rinnovabili

Il decreto sulle energie rinnovabili del 3 marzo scorso ha avuto un solo effetto: ha bloccato l’intera filiera del Fotovoltaico in Italia. Da allora si sono ridimensionati i piani di investimenti e in molti casi, annunciati processi di delocalizzazione e avviato il ricorso ad ammortizzatori sociali. Per dare una prospettiva di sviluppo equilibrato ad un settore strategico per il paese, il decreto va radicalmente modificato.

Proprio nel giorno in cui la Conferenza Stato-Regioni affronta l’argomento, andiamo a dirlo al Governo. Ritrovo in in via Molise, ore 11.00

Organizzano: Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil Nazionali

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Referendum del 12 e 13 giugno

Intervista a Mario Agostinelli apparsa su Zero Emission

Domenica 12 e lunedì 13 giugno sono date fondamentali per il futuro del nostro paese, da annotare bene in agenda. Perciò, si spera che all’invito di andare al mare gli italiani rispondano esercitando il proprio diritto ad esprimersi su questioni cruciali come la gestione dell’acqua e l’energia nucleare

Sì all’acqua pubblica, no al nucleare e al legittimo impedimento. Ecco, in sintesi, le questioni sulle quali sono chiamati ad esprimersi i cittadini italiani ai referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno. Tematiche che per quanto possano apparire eterogenee, hanno invece in comune la necessità di riportare al centro del dibattito politico il “bene comune” e gli interessi dei cittadini italiani al posto di quelli di pochi, o peggio, di uno solo. I referendum sull’acqua e sul nucleare forniscono inoltre a noi tutti l’occasione di “ridare supremazia alla vita sull’economia” e “consentono alla società di ristabilire l’obiettivo primario della sopravvivenza della specie umana attraverso la conservazione di un rapporto con la natura”. Lo spiega a zeroEmission Mario Agostinelli, ex consigliere regionale lombardo, un passato da ricercatore chimico-fisico presso l’Enea e l’Ispra prima di ricoprire la carica di segretario generale della Cgil Lombardia, oggi portavoce del Comitato Vota Sì per fermare il nucleare in Lombardia e membro della presidenza del Comitato nazionale, impegnato come al referendum del 1987 per far passare il ‘no al nucleare’, ma questa volta con la ferma intenzione di ricacciare indietro definitivamente le tentazioni nucleariste di questo e dei futuri Governi.

Agostinelli, perché è importante andare a votare ai referendum del 12 e del 13 giugno?

Perché si tratta di un’occasione straordinaria per ridare supremazia alla vita sull’economia e permettere alla società, dopo la sbornia liberista che dura ormai da tanto, troppo tempo, di ritrovare finalmente un rapporto con la natura ristabilendo come obiettivo primario il recupero di uno stile di vita in armonia con i tempi biologici.

Come possono favorire i referendum il raggiungimento di questi obiettivi?

Ferma restando anche l’importanza della consultazione sul legittimo impedimento, in questo senso assumono particolare rilievo i due referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Il primo riaffida infatti alle istituzioni, che fanno capo ai cittadini, il governo di un bene comune che non può dipendere dal mercato. Con i due quesiti si punta a definire in maniera inequivocabile e irreversibile il carattere non commerciale, non economico, e quindi l’aspetto di proprietà comune dell’acqua, anche come bene da tramandare alle generazioni future. Il referendum contro l’energia nucleare, invece, abroga tutte le disposizioni, approvate tra l’altro senza nemmeno un dibattito pubblico e imposte al Parlamento attraverso il voto di fiducia, che permettono la produzione di energia da processi nucleari nonché lo stoccaggio delle scorie radioattive.

La catastrofe nucleare di Fukushima sta avendo un grande impatto sull’opinione pubblica mondiale. Ha fatto rinascere tutti i dubbi sulla sicurezza di questa tecnologia. Tanto da indurre molti governi, a partire dalla Germania, a un ripensamento sullo spazio da destinare all’atomo nei programmi energetici. Persino il Governo italiano ha detto che è necessaria una ‘pausa di riflessione’ sul piano nucleare ed ha approvato una moratoria di un anno. Come interpreta questa mossa?

E’ un passo puramente tattico. Il suo obiettivo è, per così dire, far passare la nottata. Il Governo non ha nessuna intenzione di fare dietrofront sull’atomo. Sono in gioco importanti interessi economici. Il messaggio che si vuole far passare è che non valgono le decisioni prese sull’onda dell’emotività. Non c’è dubbio che il Governo tornerà al nucleare quando sarà passata l’emergenza nucleare di Fukushima. Ma intanto la cosa più importante è svuotare di significato il referendum. In questo senso, la moratoria è una mossa insidiosa che serve a togliere peso alla decisione dei cittadini che, si dirà, è stata presa sotto l’influenza della tragedia giapponese.

Anche questa volta, per una triste coincidenza, il referendum avrà luogo in seguito a una catastrofe nucleare di dimensioni planetarie. Nel 1987 a poco più di un anno dal disastro di Chernobyl, questa volta a tre mesi dal dramma di Fukushima. Già nel primo caso i cittadini italiani hanno già fatto sapere cosa pensano dell’atomo, cosa significherebbe ora una sua nuova bocciatura?

Il messaggio sarebbe chiarissimo: nessuna possibilità di ritorno del nucleare nel nostro paese, tranne al massimo nei settori della ricerca. Ed è questo quello che più teme il Governo, che invece ha puntato molto sull’atomo e sul quale ha incentrato gran parte dei suoi interessi economici, non certo del paese.

Rispetto a Chernobyl, qual è la lezione che dobbiamo imparare da Fukushima?

L’elemento nuovo è un ribaltamento completo di posizione: lo dimostra la linea che stanno adottando tutti i Governi che hanno a che fare con il nucleare, in questo senso più sfortunati di noi che al momento non abbiamo questo problema: cioè riuscire a spiegare il problema posto dall’incidente di Fukushima, che non lo dimentichiamo è avvenuto nel paese più avanzato tecnologicamente al mondo. Il che impone di considerare il nucleare sotto il suo aspetto più caratteristico: cioè che esiste qualcosa di intrinseco, che fa sì che l’incidente sia un elemento fisiologico, non patologico, a questa tecnologica.

Vuol dire che l’incidente fa parte della natura del nucleare?

In realtà il reattore nucleare è lui stesso un incidente latente, o meglio, un incidente in corso che viene governato, moderato con mille accorgimenti, tenuto sotto controllo dai dispositivi di sicurezza, che normalmente si estrinseca lentamente nella durata di vita di una centrale, ma che in caso di errore umano o di un cataclisma come lo tsunami giapponese può sprigionare in pochi, brevissimi istanti tutto il suo potenziale distruttivo, danno luogo a una catastrofe il cui impatto non è assolutamente paragonabile a nessun altra forma di inquinamento poiché le sostanze sprigionate hanno un carattere assolutamente estrinseco e incompatibile alla vita sulla terra, che la natura stessa non riesce assolutamente a disperdere e i cui effetti risultano persistenti nell’arco di migliaia di anni.

Ma perché allora si continua a correre questo rischio?

In realtà il nucleare favorisce una sorta di continuità con il modello energetico oggi predominante in quanto risponde alle stesse dinamiche geopolitiche (presidiare con gli eserciti le miniere di uranio non è poi molto diverso da farlo per i giacimenti di petrolio) ma consente anche l’utilizzo delle stesse tecnologie. Che si utilizzi petrolio, gas, carbone o uranio l’obiettivo è lo stesso: produrre calore per fare bollire l’acqua in un pentolone, il cui vapore sarà poi utilizzato per fare girare una turbina elettrica. Questa continuità conviene dunque ai grandi gruppi energetici. Peccato che non si possa dire la stessa cosa per i cittadini. Basti pensare che oggi per realizzare 1,6 GW ci vorrebbero 8 miliardi, è una stima di Moody’s. Ma i costi sono in costante crescita. In Italia c’è poi l’aggravante dell’incapacità da parte del Governo di una visione di lungo termine. Il passaggio alle energie rinnovabili comporterebbe invece l’abbandono di un sistema centralizzato a favore di uno decentrato: una vera e propria rivoluzione in cui la generazione di energia distribuita oltre a togliere il controllo della produzione di energia dalle mani di pochi, presenterebbe anche anche un altro inconveniente per i fautori dello status quo: richiederebbe un sistema di distribuzione dell’energia fatto di reti completamente nuove sul territorio. Un modello assolutamente incompatibile con quello attuale.

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I tagli alle rinnovabili sono pro-nucleare?

Da Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2011

Da più parti viene biasimata la politica degli incentivi alle energie rinnovabili, colpevoli – a sentire i critici meno disinteressati – non solo di pesare sulla bolletta dei consumatori, ma anche di aver favorito “grassi affari garantiti” a speculatori e malavita. Innanzitutto bisogna respingere l’idea che il fotovoltaico sia in mano a speculatori, multinazionali e mafiosi. In Italia i primi investitori nel settore sono state le famiglie, con impianti di piccola taglia, che hanno mobilitato risorse economiche ancorate territorialmente, dando anche la spinta a diverse imprese locali ad investire nel settore. Tuttavia, poiché il governo è intervenuto pesantemente, proviamo ad analizzare brevemente la questione.

Il 25 gennaio 2011, durante un’audizione informale davanti alla X Commissione Senato, il Gestore dei Servizi Elettrici ha paventato la possibilità che gli impianti fotovoltaici installati in Italia al 31 dicembre 2010 abbiano già raggiunto i 7.000 Mw, per un totale di 200.000 impianti. Anche se non ancora allacciati alla rete, 55mila di questi impianti (per un totale di 4.000 MW), se entreranno in esercizio entro giugno 2011, avranno diritto alle tariffe di incentivazione previste per il 2010. Stando così le cose, nel corso del 2011 sarebbe raggiunto il target di 8.000 Mw di fotovoltaico installato, che il Piano di Azione Nazionale sulle fonti di energia rinnovabili (Fer) aveva previsto per l’anno 2020.

Secondo l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, per tutte le rinnovabili complessivamente, il costo degli incentivi corrispondenti a un prelievo dalle bollette è stato di 2,5 miliardi di euro nel 2009, 2,75 nel 2010 e potrebbe raggiungere i 5,7 miliardi nel 2011. La composizione dei prelievi a carico dei consumatori non è però sempre ben esplicitata. Se prendiamo gli oneri in bolletta nel 2010, scopriamo che dei 5.808 miliardi di euro totali soltanto il 47% è imputabile alle rinnovabili. La restante parte è suddivisa tra assimilate (ben 1.214 miliardi), oneri nucleari (285 milioni di euro), agevolazioni tariffarie per le Ferrovie dello Stato (355 milioni), mentre la restante parte è suddivisa tra ulteriori forme di finanziamento e agevolazioni.

Tutti puntano il dito su quei 2,75 miliardi di incentivi alle rinnovabili, ma nessuno lo fa contro il quasi miliardo di euro di Iva che in maniera del tutto scorretta lo Stato incamera sulle bollette. Nessuno ricorda che ogni anno milioni di euro li paghiamo sia, come detto, per il vecchio nucleare, sia per il noto Cip6 (“assimilate” = 1,2 miliardi nel 2010, seppure in esaurimento), quando i “costosissimi” incentivi al solo fotovoltaico sono stati 826 milioni. Detto questo, il discorso va completato con un’altra considerazione: le Fer, a fronte dei sussidi che ricevono, producono effettivamente (nessun impianto non funzionante prende incentivi!) lavoro, entrate fiscali, risparmi negli acquisti di combustibili fossili, riduzione delle emissioni climalteranti e nessuna ipoteca sul futuro dei nostri figli, diversamente dal nucleare. E, per di più, evitano al nostro paese l’esposizione a multe per il mancato raggiungimento degli obiettivi di Kyoto.

Prima di toccare le rinnovabili, perciò, si potrebbe intervenire sulla cifra equivalente che dovrebbe al massimo essere riversata sulla fiscalità generale e non sui consumi in bolletta. Eppure il Governo è andato giù duro ed ha deciso la sospensione, in attesa di un definitivo pronunciamento a giugno. Ci sarebbe da sorridere, se il blocco non passasse attraverso il decreto che recepisce nella nostra legislazione la Direttiva 2009/28/Ce, relativa alla promozione dell’uso delle fonti rinnovabili in Europa. Il peggio che si possa fare con queste fonti è quello di fare politiche a singhiozzo, come fecero gli Usa nel periodo 1998-2005: l’altalena dei provvedimenti causò un’altalena degli investimenti che crollavano e poi si impennavano.

Noi pensiamo che la critica agli incentivi per le rinnovabili sia di natura politica. Se non fosse così, si discuterebbe della transizione fino all’avvenuto “apprendimento” e al consolidamento sul mercato; si penserebbe a rimodulare gli incentivi in base alla grandezza degli impianti, affinché non vadano a ingrassare le società multinazionali e vadano a premiare le scelte virtuose delle famiglie e delle imprese. Oppure, si farebbe di tutto perché nascano filiere economiche locali legate alle fonti naturali, in modo che gli incentivi alla produzione ricadano soprattutto all’interno del territorio e non sulle aziende cinesi, magari già incentivate in loco per esportare la produzione.

In definitiva, riteniamo che si voglia attaccare un settore senza un vero motivo, per preparare il terreno agli investimenti nel nucleare. La verità è che è in atto una campagna per gettare fango sull’intero settore delle fonti eoliche e solari, che in un solo anno ha installato capacità generativa equivalente a uno dei mega reattori nucleari da 1.600 Mw che si vogliono imporre in Italia e che hanno bisogno di minimo otto anni, per essere costruiti. E chi assicura i consumatori che gli investimenti per il nucleare non incideranno ancora di più sulle bollette energetiche?

di Mario Agostinelli e Giovanni Carrosio

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Appello per il fotovoltaico

A tutti coloro che sono interessati alla sopravvivenza del fotovoltaico

Il Governo intende presentare in pre-consiglio martedi una bozza che di fatto bloccherà il fotovoltaico con effetto quasi immediato se non retroattivo. Tetto di 8.000 MW e stop agli incentivi un MW dopo. Chi finanzierà gli impianti in queste condizioni di incertezza e dopo tutta la disinformazione che è stata fatta in questi giorni?

Stiamo agendo su vari fronti per cercare di parare il colpo:

1) oltre 55 parlamentari hanno firmato la lettera da noi predisposta per il capo dello stato e il presidente del consiglio dei ministri

2) lunedì terremo una conferenza stampa congiunta di fronte al ministero dello Sviluppo con Legambiente, WWF, GreenPeace, Aper, Anev, AssoSolare, Grid Parity Project e Kyoto Club

3) stiamo cercando di organizzare una manifestazione di fronte a Palazzo Chigi per il giorno previsto di approvazione del Dlgs (mercoledi).

Tutto questo potrebbe non bastare purtroppo. E’ il momento di fare sentire quanti interessi sono toccati da un provvedimento cosi sbagliato.

Abbiamo predisposto il testo di una lettera. Ciascuno di noi lo dovrebbe inviare e impegnarsi a farlo inviare a quante più persone possa. Se non ci muoviamo ora faremo la fine della Spagna e saremo spazzati via. Dobbiamo far capire che non siamo pochi speculatori ma un vero settore industriale. Ogni operaio, ogni elettricista, ogni collaboratore dovrebbe mandare la mail.

Se ci credete diffondete agli amici, ai colleghi e ai collaboratori. Se non lo facciamo adesso la settimana prossima potrebbe essere troppo tardi.

L’e-mail dovrebbe essere indirizzata ai seguenti indirizzi e-mail:

segreteria.presidente@governo.it, Segreteria.ministro@sviluppoeconomico.gov.it, Saglia.segreteria@sviluppoeconomico.gov.it, Segreteria.capogabinetto@sviluppoeconomico.gov.it, Ufficio.legislativo@sviluppoeconomico.gov.it, segreteria.ministro@minambiente.it, atelli.massimiliano@minambiente.it, Lucarelli.paola@minambiente.it, Degiorgi.marco@miniambiente.it, segreteriaMinistroSacconi@lavoro.gov.it

in cc andrebbe messo il seguente indirizzo:

info@sosrinnovabili.it

Ancora meglio se potete fare inviare anche dei fax. Vi fornisco i numeri di fax:

Presidenza del Consiglio dei Ministri: 06 67793067

Ministero dello Sviluppo economico: 06.47887964

Ministero dell’Ambiente: 0657288513

Ministero del Lavoro: 064821207

Se avete un profilo su Facebook, su Linkedin o su un altro social network diffondete la lettera. Di silenzio si muore.

Testo del messaggio da spedire:

On. Presidente del Consiglio dei Ministri
On. Ministro dello Sviluppo Economico
On. Ministro dell’ambiente, della tutela della natura e del mare
On. Ministro del Lavoro, Salute e Politiche Sociali

In questi giorni, si decide la morte per decreto delle energie rinnovabili in Italia. Quindicimila famiglie rischiano di perdere in pochi mesi il posto di lavoro, un indotto che occupa  altre 100.000 persone sarà colpito. E’ un prezzo altissimo, in termini sociali ed economici, che verrà pagato da uno dei pochissimi settori produttivi non colpiti dalla crisi e da un numero importante di lavoratori e famiglie. E’ quello che succederà se il Consiglio dei Ministri approverà il decreto sulle rinnovabili nella versione che circola in questi giorni all’interno del Parlamento e su cui si leggono anticipazioni di stampa.

Dopo pochi mesi dalla (lungamente attesa) approvazione, nel mese di agosto dello scorso anno, della legge sul nuovo conto energia, lo scorso 31 gennaio la Commissione europea ha adottato, come noto, una raccomandazione in cui invita gli Stati membri ad incoraggiare le politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili, scoraggiando esplicitamente strumenti normativi retroattivi, causa di incertezza sul mercato e di congelamento degli investimenti.

A dispetto di queste premesse, nelle bozze del decreto legislativo rinnovabili leggiamo la previsione di introdurre retroattivamente un limite vincolante di 8.000 MW. Stop ai progetti autorizzati e in corso di autorizzazione. Stop a molti cantieri in corso. Un vero e proprio tetto al fotovoltaico, più di 6 volte inferiore a quello fissato dalla Germania. È questa la prospettiva che annienterebbe il settore fotovoltaico a partire dalla prossima settimana con l’eventuale approvazione in Consiglio dei Ministri. A farne immediatamente le spese saranno circa 150.000 lavoratori impiegati direttamente e indirettamente nel fotovoltaico.

In queste condizioni  un’industria nascente è condannata a morte prima ancora di essere diventata pienamente adulta. Se nell’arco di pochi giorni non si riuscirà a introdurre dei correttivi, il fotovoltaico rischia una Caporetto, con ripercussioni molto pesanti sia in termini occupazionali che di credibilità del sistema Paese. Mentre gli Stati Uniti di Obama, pur in presenza di un taglio delle spese pubbliche molto robusto, mantengono saldo il timone verso lo sviluppo delle rinnovabili, l’Italia rischia un nuovo tracollo dopo quello degli anni Ottanta.

Siamo sbigottiti, è incomprensibile. Non è abbastanza promuovere l’ambiente e la salute di noi tutti, generare ricchezza e dare lavoro a oltre 15.000 addetti diretti e fino a 100.000 indiretti, offrire l’opportunità a oltre 160.000 famiglie di diventare indipendenti energeticamente? Quali interessi si vogliono davvero tutelare? Chi sono i poteri forti che stanno eliminando ad una ad una tutte le rinnovabili? Prima l’eolico, oggi il fotovoltaico. Che destino attende un paese che distrugge sistematicamente le proprie opportunità di sviluppo?

Nonostante il parere positivo in sede di Commissioni Parlamentari (per cui lo schema di decreto attuativo della direttiva 2009/28 sull’energia da fonti rinnovabili si inserisce nel quadro della politica energetica europea volta a ridurre la dipendenza dalle fonti combustibili fossili e le emissioni di CO2) il dibattito in corso, specie per le notizie di stampa spesso espressione di interessi non necessariamente palesi e esplicati in sede politica e sociale, sembra preludere ad un intervento legislativo che andrà, si teme, in senso diametralmente opposto a quello, voluto dalla Commissione, di incoraggiamento delle politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili.

La realtà è diversa. A fronte di una crisi che non smette di mordere il tessuto produttivo, è vero che il settore delle rinnovabili si muove in netta controtendenza. Gli incentivi (che, ricordiamo, non gravano sul bilancio dello Stato ma nemmeno su quello delle famiglie, come invece si è letto in questi giorni) hanno creato un volano virtuoso che ha consentito al Paese di riavvicinarsi al gruppo dei paesi leader nel campo dell’innovazione e della capacità produttiva. Il fotovoltaico, in un contesto così difficile come quello che abbiamo visto delinearsi negli ultimi anni, rappresenta un settore in crescita occupazionale e di fatturato, oltre che un settore tecnologicamente in evoluzione.

Confidiamo nell’equilibrio e nella saggezza del Governo e del Parlamento affinché si voglia intervenire per evitare che un altro tassello della nostra economia cada vittima di contrapposti interessi e di battaglie ideologiche. Confidiamo che saprete dare un futuro alle nostre famiglie e ai nostri figli che si trovano oggi incolpevoli nella precarietà e nell’incertezza.”

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