A qualcuno piace caldo

Mentre il pianeta continua a surriscaldarsi, l’Italia si avvia a fare l’ennesima brutta figura in materia di politiche climatiche. Nelle ultime dichiarazioni di Corrado Clini, Direttore Generale del Ministero dell’Ambiente, l’Italia sembra avviata a “tirare il freno” all’azione europea volta a ridurre le emissioni che surriscaldano il pianeta. In discussione c’è l’aumento delle riduzioni dei gas serra, dal 20% al 30% entro il 2030. L’aumento dell’impegno europeo al 30% ha almeno tre motivi.

Il primo è che il 20% risulta insufficiente nelle negoziazioni internazionali: molti paesi in via di sviluppo hanno fatto notare che la responsabilità “storica” dell’Europa – ma anche di Stati Uniti e di altri paesi OCSE – è tale che le riduzioni già promesse non sono sufficienti se si vuole arrivare ad una suddivisione equa degli sforzi.

Il secondo è che la crisi ha ridotto notevolmente le emissioni europee e l’impegno del 30% ora è raggiungibile senza sforzi eccessivi.

Il terzo motivo è stato scritto nero su bianco da tre ministri di Francia, Germania e Regno Unito (Jean-Louis Borloo, Norbert Röttgen e Chris Huhne) che in luglio hanno pubblicato un appello: con impegni blandi, l’Europa potrebbeperdere la corsa nella competizione per un mondo low carbon con Paesi come la Cina, il Giappone e gli Stati Uniti”. Della stessa idea 27 tra le maggiori aziende europee (fra cui l’italiana Barilla) che poche settimane fa hanno pubblicato su Financial Times, Le Monde e Frankfurter Allgemeine Zeitung una lettera–appello di sostegno al nuovo obiettivo, con argomenti molto concreti: “il futuro vantaggio competitivo dell’Unione Europea dipende dalla capacità di incoraggiare e consentire alle sue imprese di guidare la trasformazione dell’economia mondiale che avverrà nei prossimi due decenni, e non di nascondersi da essa”.

Le dichiarazioni di Clini sono avvenute alla Camera dei Deputati, in occasione di una conferenza stampa di presentazione del progetto “Come cambia il cambiamento climatico”, promosso dalla Fondazione Formiche. Il libretto che ha riassunto i risultati del progetto, distribuito in allegato al quotidiano Libero, contiene l’introduzione del Direttore Generale, in linea con le dichiarazioni al convegno: non servono nuovi limiti alle emissioni, ma solo azioni tecnologiche volontarie per ridurre le emissioni. E se queste azioni non ci saranno? Non è il caso di cautelarsi imponendo dei limiti a tutela del pianeta? Non è più conveniente anticipare il cambiamento con misure più incisive? Tutte domande cui Clini non sembra interessato a rispondere.

La “brutta figura” dell’Italia non sarebbe una novità. In passato l’Italia si era distinta per l’opposizione al pacchetto clima energia della Commissione Europea, noto come “20-20-20” (20% di riduzione delle emissioni dei gas che surriscaldano il pianeta, 20% di produzione di energia da fonti rinnovabili e 20% di aumento dell’efficienza energetica), che era stato accusato di comportare costi eccessivi per l’economia Italiana.

Nel marzo di quest’anno, ben dopo l’approvazione del Pacchetto, avvenuta all’unanimità, quindi anche con il consenso dell’Italia, in Senato era stata approvata una mozione che chiedeva all’Italia di uscire dalla politica climatica europea sulla base di una presunta “clausola Berlusconi”. La clausola non esisteva, ma questo non impedì alla maggioranza di votare la mozione. Da notare che la maggioranza respinse la mozione del Senatore Francesco Rutelli che, senza dirlo apertamente, aveva copiato nella sua mozione gli impegni finali del G8 dell’Aquila. Dichiarazione che, ironia della sorte, Berlusconi si era vantato di avere personalmente scritto.

Insomma, la confusione regna sovrana al Ministero dell’Ambiente per quanto riguarda le politiche sul clima: le dichiarazioni di Corrado Clini non sono quindi una novità. Il potente Direttore Generale resta incontrastato da 15 anni al Ministero, e ha attraversato tutti i governi e tutti i ministri dell’ambiente.

In passato aveva scommesso sulla mancata approvazione del Protocollo di Kyoto e questa scommessa è costata cara al sistema industriale italiano che si è trovato impreparato all’entrata in vigore dei meccanismi flessibili del Protocollo, come l’emission trading europeo, il sistema di scambio delle quote di emissione in vigore dal 2005.

Il “no” italiano al passaggio a una riduzione del 30% è grave anche perché l’Italia è uno dei paesi che saranno più colpiti dai cambiamenti climatici. Pur se, come visto quest’estate, anche nella fredda Russia le alte temperature possono causare immani disastri, l’aumento previsto nelle temperature e la diminuzione delle precipitazioni possono mettere in crisi molti ecosistemi e le attività agricole di molte aree del mediterraneo, fra cui in particolare il sud Italia.

I deboli argomenti di Corrado Clini contro la politica Europea sul clima hanno forse anche altre spiegazioni. Il Direttore Generale del ministero risulta fra i componenti dell’executive team dell’Istituto Bruno Leoni (sul sito www.brunoleoni.it, Clini risulta come “senior fellow”), un centro studi torinese improntato al liberismo più sfrenato, che opera da anni come lobby contro le politiche climatiche europee, arrivando perfino a rilanciare le tesi dei negazionisti climatici: l’anno scorso ha pubblicato un libro del Presidente della Repubblica Ceca, Vaclav Klaus, in cui il politico si improvvisava scienziato e negava l’esistenza del riscaldamento globale, con argomenti che hanno fatto sorridere gli scienziati di mezzo mondo. L’Istituto Bruno Leoni è stato candidato al premio “A qualcuno piace caldo” del sito Climalteranti, il premio riservato a chi si distingue nel disinformare sul tema dei cambiamenti climatici.

Se al Consiglio d’Europa del 14 ottobre il no italiano a un maggiore impegno contro i cambiamenti climatici avesse fra gli artefici un “senior fellow” di una nota organizzazione lobbistica, l’Italia non farebbe una gran figura. A Bruxelles i conflitti d’interesse significano ancora qualcosa.

(dal Blog di Mario Agostinelli su Il Fatto Quotidiano online)

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