Archivi tag: nucleare

Carbone a Genova: roba da matti!

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Il 22 novembre scorso, il direttore della Autoritè de suretè nucleaire francese (Asn) Pierre-Franck Chevet, in seguito alla scoperta di una crepa nella copertura del reattore sperimentale Epr (reattore ad acqua pressurizzata) in costruzione a Flamanville, comune situato nel dipartimento della Manica nella regione della Bassa Normandia, ha deciso di riconsiderare l’intera “catena di controllo” per rendere l’atomo più sicuro e di chiudere, per un certo tempo, 20 dei 58 reattori nucleari presenti sul territorio francese. Il problema riscontrato riguarda un eccesso di carbonio nella copertura in acciaio speciale nell’impianto in costruzione (dal 2005!) e si accompagna ad altri riscontri di insufficiente affidabilità in alcune centrali in attività.

La Francia, che è il più grande Paese esportatore netto al mondo di energia elettrica e vende principalmente in Italia, Gran Bretagna, Svizzera, Belgio e Spagna, produce per il 75% con l’atomo, con una disponibilità di potenza di 63.200 MW, ma si è trovata costretta a ridurre pesantemente gli obbiettivi di generazione – dal 1998 previsti sopra ai 400 TWh – in seguito alle ispezioni e ai fermi in atto. Data la mancanza di flessibilità del sistema elettrico francese, le interruzioni di massa drenano potenza da tutta Europa oltre a mettere in discussione il “prestigio” del nucleare transalpino nel mondo.

La produzione è in costante calo da maggio, secondo la Reuters, per due ragioni:

1) EDF possiede la maggior parte dei reattori di Francia, ma l’azienda ha gravi problemi finanziari e molti dei suoi progetti hanno un rating inferiore all’investment grade. Con più di 40 miliardi di dollari di debito le azioni di EDF, di cui il governo francese detiene l’85%, sono crollate del 55% nel corso dell’anno passato.

2) Una legge approvata dal governo francese lo scorso novembre allo scopo di sostenere l’energia solare, richiede di ridurre la quota di produzione di energia nucleare a solo il 50 per cento entro il 2025.

In un Sistema interconnesso come quello europeo, l’aumento del prezzo del MWh nucleare fa arretrare l’importazione dalla Francia per i paesi confinanti mentre richiede che quest’ultima sfrutti impianti sottoutilizzati in territorio estero per supplire il calo di produzione. Ciò vale in primis per la Germania che ha diversificato le sue fonti di alimentazione e accresciuto la sua capacità da fonti rinnovabili lasciando sottoutilizzata in parte la sua flotta convenzionale (i prezzi tedeschi sono stati di 33,65 € / MWh contro i 45,60 € / MWh dell’atomo dei vicini).

L’Italia intanto ha aumentato le sue esportazioni del 198% e ridotto le importazioni nette (-62%) dando fiato a quelle voci che al ministero dello Sviluppo vorrebbero la ripresa della produzione da fonti fossili, pur sapendo che la buona diffusione delle rinnovabili (ora contrastata) fa la differenza tra le varie zone del Paese (l’Italia settentrionale è quella che sta soffrendo di più per l’attuale situazione).

E qui si inserisce il colpo a effetto dell’italiano ministero dello Sviluppo economico: riaprire la centrale a carbone di Genova. Era stata spenta questa estate, dopo aver esaurito le 2.200 ore di produzione autorizzate per il 2016. Per quest’anno era in programma la dismissione programmata dall’Enel, con una chiusura anticipata nonostante sulla carta avesse ancora 2.000 ore previste. Ma la colpa è dei Francesi… Il pericolo di carenze energetiche risveglia dunque appetiti che sembravano sopiti. “Una decisione gravissima – dichiara Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia – che usa scuse rese risibili dalla enorme sovracapacità italiana: siamo in grado di produrre quasi 117 GW di energia elettrica a fronte del massimo picco di domanda interna di 60,5 GW.

La risposta del Gestore dei mercati elettrici (GME) è stupefacente: “La produzione termoelettrica a carbone, la cui quota attualmente è limitata dalla forte competizione con le rinnovabili soprattutto nelle ore vuote, potrebbe tornare a un funzionamento baseload nel medio periodo. Questa possibilità si conferma nell’ipotesi che i mercati delle commodities mantengano lontano lo switching nel merit order fra impianti a carbone e cicli combinati a gas”.

L’uso ormai smodato dell’inglese significa che tra carbone e rinnovabili si torna al punto di prima, con buona pace per la vista sul porto da Sampierdarena, per chi vuole continuare a trivellare in mare, per A2A che brucia lignite in Montenegro, per le nostre bollette in aumento e per l’accordo per la riduzione di emissioni di anidride carbonica COP21, che recentemente è andato in vigore anche con l’approvazione di governo e parlamento italiani.

Condividi

La presidenza di Trump: poco sole, tanto petrolio e… nucleare

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Allo stato attuale delle nomine del suo governo, possiamo già avere idea di quali saranno gli orizzonti energetici della presidenza Trump. E’ un governo di Paperoni e si profila come “il più ricco della storia moderna americana“. La squadra di Bush nel 2001 vantava un patrimonio complessivo stimato in circa 250 milioni di dollari, pari ad appena un decimo della ricchezza del solo Wilbur Ross, il ministro del Commercio scelto da Trump che, secondo Forbes, ha un patrimonio di 2,5 miliardi di dollari.

Todd Ricketts, il vice designato di Ross al Commercio “è figlio di un miliardario ed è comproprietario dei Chicago Cubs”, mentre Steven Mnuchin che Trump ha nominato per guidare il dipartimento del Tesoro, è un ex manager di Goldman Sachs, executive di un fondo speculativo e finanziatore di Hollywood.

Miliardaria anche Betsy DeVos, selezionata come futuro ministro dell’Istruzione: la ricchezza della sua famiglia ammonta a 1,5 miliardi di dollari. Mentre Elaine Chao, prossimo ministro dei Trasporti, è la figlia di un magnate delle spedizioni marittime. Harold Hamm, papabile ministro dell’Energia, è un magnate del petrolio che si è fatto da solo e che figura al 30esimo posto nella classifica di Forbes sui 400 uomini più ricchi d’America.

L’assunzione recente a segretario del Dipartimento di Stato di Tillerson, il Ceo di Exxon (la più grande azienda energetica del mondo). Se si stima la ricchezza del presidente eletto Donald Trump sui 3,7 miliardi di dollari, si può calcolare che i patrimoni del governo che entra in carica valgono più del Pil delle ultime 120 nazioni.

Una squadra siffatta ha presente il business assai più del clima del pianeta. Chris Mooney, Brady Dennis e Steven Mufson, a nome dei gruppi ambientalisti, hanno protestato l’8 dicembre per la nomina di Scott Pruitt, il procuratore generale del petrolio e del gas ad alta intensità dello stato di Oklahoma, a capo della Environmental Protection Agency (Epa), una mossa di aggressione alla pur prudente politica sui cambiamenti climatici del presidente Obama e un segno di svolta dell’eredità ambientale. Pruitt, che è stato anche attivo in gruppi religiosi e ricopre il ruolo di diacono della Prima Chiesa Battista di Broken Arrow, ha trascorso gran parte della sua vita, come procuratore generale, combattendo la stessa agenzia che è stato nominato a guidare.

Pruitt ha difeso la ExxonMobil quando cadde sotto inchiesta da parte dei procuratori generali di Stati più liberali che cercavano informazioni sul fatto che il gigante del petrolio non avesse rivelato informazioni sui cambiamenti climatici. Ora il suo amico siede addirittura al Dipartimento di Stato, con l’applauso dell’Eni di Descalzi e l’assenso di Putin che ha messo in fibrillazione i giacimenti russi in una fase in cui tornerà in crescita il prezzo di petrolio e metano.

L’Oklahoma, il “protettorato di Pruitt, è classificata al quinto posto nella nazione per la produzione di petrolio greggio nel 2014, ha cinque raffinerie di petrolio, 73 impianti di perforazione e ospita Cushing, il gigante di stoccaggio di petrolio da fracking. Appena nominato le quotazioni dell’etanolo per biocarburante sono crollate del 7%.

Ma non è tutto: è partita un’autentica caccia alle streghe. I consulenti per il presidente eletto Donald Trump stanno sviluppando piani per rimodellare i programmi del Dipartimento di Energia, sostenere l’invecchiamento delle centrali nucleari in opera e identificare il personale che ha giocato un ruolo nella promozione dell’agenda per il clima del presidente Barack Obama.

La squadra di transizione ha infatti chiesto all’Agenzia di elencare i dipendenti e collaboratori che hanno partecipato agli incontri sul clima delle Nazioni Unite (Parigi e Marrakesh in particolare) insieme a coloro che hanno contribuito a sviluppare le metriche dei costi sociali dell’emissione di carbonio durante l’amministrazione Obama, utilizzate per la stima e la giustificazione dei benefici per il clima di nuove regole di risparmio e promozione delle rinnovabili.

I consulenti sono anche alla ricerca di informazioni sui programmi di prestito dell’agenzia, per le le attività di ricerca e per fornire la base per le statistiche. In fondo Trump aveva promesso di eliminare gli “sprechi” del governo a favore del pubblico e di annullare l’accordo sul clima di Parigi nel quale quasi 200 paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra. Non sfiniti dal loro attivismo negazionista, gli stessi consulenti del Presidente stanno studiando come rilanciare il piano sospeso di deposito delle scorie di rifiuti radioattivi a Yucca Mountain del Nevada. Se il buongiorno si vede dal mattino…

Condividi

Il pasticcio di Hinkley Point

La centrale nucleare inglese che i francesi vogliono e gli inglesi no

a cura di Roberto Meregalli

Questa storia parla di due reattori nucleari che dovrebbero essere costruiti in Gran Bretagna. Una storia apparentemente lontana da noi, ancor più dopo la Brexit, ma che ci riguarda perché la transizione energetica coinvolge tutti; ed i progetti inglesi non rispondono alla logica di creare sistemi energetici locali, distribuiti, ma al vecchio paradigma di un sistema in mano a pochi perché affare di grandi capitali. Inoltre è una storia che esemplifica come importanti decisioni siano ostaggio di logiche economiche che esulano dal tema in discussione.

Hinkley Point si trova presso la città di Bridgwater, nel Somerset in Inghilterra, ed è sede di un impianto nucleare composto da due reattori, chiusi nell’anno 2000, e da due ancora in servizio, anche se destinati a chiudere i battenti a breve, dopo quarant’anni di attivita.

Nell’ottobre del 2013 il governo inglese concluse un accordo con la francese EDF (Eletricité de France), per evitare la chiusura del complesso, costruendovi due nuovi reattori di tipo EPR (Evolutionary Power Reactor).

Va premesso che la Gran Bretagna nel 2015 ha prodotto il 21% della sua elettricita col nucleare ma gli impianti sono vecchi, sono vent’anni che il settore è fermo, quindi entro il 2023 tutti, tranne uno, chiuderanno i battenti. Doveroso quindi pensare alla loro sostituzione con nuovi impianti o con sistemi di generazione diversi.

EDF l’impresa di stato francese, si era proposta di costruire i due reattori di Hinkley e lo aveva fatto strappando un accordo che le garantirebbe un prezzo fisso dell’elettricita prodotta (garantito per 35 anni). Già al momento dell’accordo furono molte le critiche dell’opposizione a Cameron (allora primo ministro), qualcuno ironizzò che il governo inglese non riusciva a stabilizzare il prezzo dell’elettricità per i cittadini inglesi, ma riusciva a farlo per EDF per 35 anni.

Il (pre)contratto in effetti garantisce un prezzo stabile di 92,5 sterline (117 euro) per ogni megawattora prodotto, stabilendo che il governo inglese pagherà la differenza fra questo importo e quello di mercato. Orbene questo prezzo è il doppio del prezzo della borsa elettrica inglese, è persino più del doppio del prezzo attuale in Italia: 40 euro al megawattora! Inoltre il governo inglese si farebbe garante per tutti i debiti contratti dall’operatore sul mercato finanziario per reperire i fondi necessari alla costruzione, e saranno molti visto che il preventivo del 2012 di EDF era di 16 miliardi di sterline (20 miliardi di euro) ma oggi si parla di 34 miliardi di sterline (43 miliardi di euro). Si tratta quindi di un progetto “titanico” che la stampa francese ha paragonato alla costruzione del canale di Suez, al Concorde e all’Eurotunnel.

SCARICA IL PDF COMPLETO (615 Kb) >>>

Condividi

Quaderno 5: Nucleare 2016 (Fukushima +5)

a cura di Roberto Meregalli

copertina-quad-5Sono passati 5 anni dall’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, ma ancora non se ne vede la fine. Il risultato ottenuto in questi anni è stato quello di tenere sotto controllo i reattori e di ammassare tonnellate di acqua e di terra contaminata, creando enormi discariche. Guardare ogni 11 marzo a Fukushima significa prendere coscienza delle conseguenze delle nostre azioni e riflettere su quali forme di energia basare un futuro con meno paure e minori impatti sull’ambiente.

Il nuovo Quaderno di Energia Felice è in vendita nella sezione Shop.

Condividi

Trivelle, nucleare e shale gas: che brutta Europa

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Niente election day per il referendum No Triv: il Consiglio dei ministri ha infatti fissato al 17 aprile la data della consultazione e  risolutamente e da par suo – Mattarella ha confermato. Sfuma dunque l’ipotesi di accorpare referendum e primo turno delle elezioni amministrative e di garantire così una conoscenza adeguata ai cittadini, facilitando la partecipazione democratica senza moltiplicare inutilmente gli appuntamenti degli italiani alle urne. Cerchiamo di capire come e chi vuole rendere ininfluente un referendum che, come nel caso del nucleare, imporrebbe questa volta una svolta nel ricorso alla combustione delle fonti fossili.

A dicembre si è conclusa a Parigi la Cop 21, con il riconoscimento unanime, almeno sulla carta, della necessità di decarbonizzare in tempi stretti l’economia mondiale. Al pari delle gride manzoniane l’appello, ancorché sottoscritto dai personaggi più illustri, ha lasciato via libera allo scorrazzare dei bravi.

Di lì ad un mese si è riunito il Davos Club. In esso trovano adeguata rappresentanza le 62 persone (nel 2010 erano 388, nel 2014 si erano già ridotte a 80, con un trend di concentrazione impressionante) che possiedono più della ricchezza di 3,6 miliardi di cittadini del mondo (la metà degli abitanti del pianeta) e che, scambiandosi i loro biglietti da visita assistiti da apparati statali, economici e mediatici del massimo livello, puntano a tenere le redini della civiltà della globalizzazione. Da lì è ripartito il suggerimento di applicare le tecnologie più avanzate per procrastinare l’impiego di petrolio, carbone e gas e di mascherarne gli effetti, al fine di sostenere la cosiddetta “rivoluzione industriale 4.0”, in cui robot, intelligenza artificiale e energia a basso prezzo – anche se sporca – dovrebbero risparmiare manodopera e rinnovare la crescita economica. Quindi, investimenti in nuovi gasdotti, trivelle in mari cristallini, pozzi di perforazione per gas di scisto in terreni ormai traforati come un gruviera.

Renzi, incantato dai tweet, dai CEO, come da tutte le rivoluzioni a 2.0, 3.0, 4.0 e così via, ha pensato che qualche concessione di licenza per trivellare i nostri mari valesse bene i 300 milioni di euro che usciranno di tasca non accorpando le scadenze elettorali. Purtroppo, si dimentica che è stato il settore bancario, accanto all’energia, alle materie prime e alle industrie di base afflitte da un eccesso di capacità, a guidare la caduta delle Borse e che la politica economica ha, quella sì, bisogno di innovazione.

Che l’andamento per le fonti fossili non sia entusiasmante, lo si può vedere anche dal trend di declino di carbone, nucleare e gas in Europa, se si guarda alle centrali andate in pensione: nel 2015 si sono fermati o dismessi impianti a carbone per oltre 8 GW, a gas per 4,2 GW, a olio combustibile per 3,3 GW e da fonte nucleare per 1,8 GW. Il nostro Governo, che fa di prammatica la voce grossa a Bruxelles, sulle questioni energetiche va invece completamente a ruota delle lobby continentali che premono su una Commissione ormai smarrita, anche sulla questione climatica. Tutto sembra nascere e decidersi in luoghi ristretti di cui le popolazioni non sono informate.

La Commissione europea ha varato un piano di importazione di gas naturale liquefatto (GNL) e tutti hanno pensato alla imprevista disponibilità di creare infrastrutture per importare gas da fracking USA, al fine di ridurre la dipendenza dalla Russia. Anche se l’accordo di Parigi era stato salutato come un chiaro segnale al mercato che l’era dei combustibili fossili inquinanti era finita, è la politica che si è messa a rilanciare! Eppure il gas naturale – da fracking in particolare – è anche in gran parte composto di metano, un gas serra che ha 86 volte il potenziale di riscaldamento globale del biossido di carbonio. La produzione di energia elettrica a gas è solo un bene per il clima rispetto alla produzione da carbone se eventuali perdite di metano nella produzione, raffinazione e trasmissione, è inferiore al 3,2%. Ma i rilevamenti dei tassi di emissione via satellite hanno recentemente dimostrato che le concentrazioni di metano sono aumentate drasticamente in molte delle principali regioni produttrici di shale gas negli Stati Uniti. Tenuto poi conto che il trasporto avverrebbe via nave, il bilancio delle emissioni diventa insostenibile secondo l’accordo di Parigi.

Infine, va ricordato come un rilancio o un ricondizionamento delle centrali nucleari in Europa sia reso improbabile dai costi e dai rischi. Un documento della Commissione ancora non pubblicato, ma reso noto da Reuters, rivela che l’Europa è in deficit di 118 miliardi di euro per lo smantellamento delle sue centrali nucleari e la gestione dello stoccaggio delle scorie. Infatti, la stima prevista per l’intera operazione è di 268,3 miliardi di € a fronte di riserve nei Paesi per 150,1 miliardi di €. Solo la Germania ha accantonamenti sufficienti, mentre la Francia ha un deficit di 51 miliardi.

La sospensione del programma nucleare in Italia a seguito del referendum risulta oggi una autentica benedizione per una economia in crisi come la nostra. Ragione in più perché i cittadini non stiano a guardare ma, di fronte a governanti così imprevidenti e senza bussola, vadano davvero tutti a votare il 17 Aprile, a dispetto degli inciampi e della disinformazione che vorrebbero frapporre tra casa nostra e le urne.

Condividi